lunedì, luglio 28, 2014

THE END 2

Ieri, domenica 27 luglio, ho assistito a una scena che mi ha impressionato. Una scena che ha continuato a seguirmi nella memoria, oltre che a suscitare in me molte domande.

Camminavo sull’argine del fiume Senio, ad Alfonsine (RA), sull’erba appena tagliata, quando ho quasi calpestato un piccolo riccio. Era sdraiato su un fianco, appena di lato al sentiero. Morto. Le mosche si posavano sul muso, che sembrava schiacciato, annerito. Contemplavo quel corpo che aveva terminato il suo cammino su questa terra, una delle tante immagini della fine che incontriamo nel nostro, di cammino. Ho impiegato alcuni secondi per accorgermi che qualcosa non andava. C’era una difformità, come un errore. Un particolare sbagliato.
Respirava. Tutta la parte centrale del tronco si alzava e si abbassava. Ho guardato con più attenzione: l’occhio era aperto, e mi fissava. Poi arrivava un moscone che cercava di succhiarglielo, allora lo chiudeva. Il moscone volava via, o si spostava sul muso, e allora lui lo riapriva.

Era ancora vivo, anche se non riusciva a muoversi.
Era morto, col muso distrutto, forse schiacciato dalla ruota di una bicicletta, ma vivo.
Le mosche lo tormentavano. Aspettava la fine. Forse come una liberazione.

Mi sono chiesto con un  senso di angoscia cosa fare. Un gesto di pietà sarebbe stato dargli il colpo di grazia, come si fa con gli animali. Eutanasia, per mettere fine alle sue sofferenze. Ma come? Non potevo schiacciarlo con un piede. Sarebbe stato atroce, col rischio di portare al massimo la sua sofferenza.

Sono rimasto immobile, come in sogno, a guardare quella creatura morta che invece era viva. Mi sono posto domande confuse sulla vita e la morte, sulla pietà, sul destino.

Alla fine me ne sono andato, lasciandolo nella sua condizione di morto-vivo, un animale morto mangiato dalle mosche che continuava a respirare. Chiedendomi se avevo fatto la cosa giusta. Cioè nulla. Non ho fatto nulla.

E continuo a chiedermelo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

siamo cosi...non facciamo nulla. RICORDO QUANDO LA MIA MAMMA era in agonia, all'ospedale. IO NON MI ERO RESA CONTO CHE STAVA ARRIVANDO LA FINE E CONTINUAVO A CHIEDERE ALL'INFERMIERA QUANDO QUELLA SUA SOFFERENZA SAREBBE FINITA PENSANDO ALLA SUA GUARIGIONE, NON ALLA SUA MORTE. Lei mi guardava...poi mi disse, ci vuole tempo anche per morire. Ci vuole tempo anche per morirre e l'unica cosa che possiamo fare quando ormai nulla e' piu' fattibile, e' accompagnare quel passaggio, con i sorrisi e l'amore di sempre, con lo sguardo disteso, come se tutto fosse come sempre. Niente lacrime e niente dolore mostrati alla mia mamma, solo un'infinito grazie. Ma questa e' un'altra storia, forse pero' quel riccio ha sentito il tuo sguardo impotente ma commossso e buono e se ne e' uscito da questa vita serenamente. Quindi, caro Mauro, sorridi. paola