giovedì, luglio 28, 2005

Vekkio Benni

con questo intervento il Blog Baldrus va in vacanza per due-tre settimane. Ci sentiamo quindi al rientro, speriamo con tante nuove idee. Buone vacanze a tutti.

di Agostino

Lo ammetto, Stefano Benni mi diverte. So che fa strocere la bocca ai palati letterariamente più raffinati, che nessun professore lo metterà mai in una antologia, anche se è uno degli autori più prolifici e più letti degli ultimi anni. Personalmente, fin dai tempi del Bar Sport, ho sempre letto con piacere le sue invenzioni, il suo modo funambolico di raccontare vizi e virtù degli italiani. Margherita Dolcevita però, la sua ultima fatica pubblicata da Feltrinelli, l'ho trovata un po' debole. Il tema è il consumismo, la pubblicità, i bisogni indotti che ci spingono a comprare cose inutili e costose, la necessità di confrontarsi con i vicini: può, tutto questo, corrompere una tranquilla famiglia che vive in periferia? Sembra di sì ma per fortuna una bambina grassottella e sorridente, che gli amici chiamano Dolcevita, oppone resistenza. La scrittura come sempre è brillante e scoppiettante, condita di elementi magici, sconfina spesso nel fiabesco. Sotto questo complesso apparato fantastico, di solito, Benni nasconde riflessioni più o meno amare sui mali del nostro tempo, costruisce personaggi veri e credibili. Stavolta mi è parso che avesse meno da dire. Ciò non toglie che sia una buona lettura estiva, e che gli darò un'altra occasione alla prossima uscita. A proposito di temi sociali trattati con umorismo, analisi spietata dell'attualità e grande fantasia, segnatevi questo titolo: Jonathan Coe, Il circolo chiuso. Magari ne parliamo un'altra volta.

mercoledì, luglio 27, 2005

Very italiano

Un nuovo aggettivo andrebbe inserito nel cosiddetto vocabolario internazionale, il dizionario interlingue, insieme a look, relax, smart, rauss, pizza e altre parole prese da lingue diverse che sono entrate, ormai, nelle lingue di tutto il mondo, ed è italiano. Il significato di italianità, inteso nel suo aspetto più pecoreccio, albertosordiano, è noto a tutti: evoca cialtroneria, ipocrisia, doppio e triplo gioco, menefreghismo, opportunismo, viltà e una lunga lista di eccetera eccetera (poi gli aspetti positivi vengono sottolineati dalle star americane in visita: come si mangia bene, com'è "meravigliosa" [lovely, beatiful] la gente e via discorrendo). Già Henry James nel Carteggio Aspern a proposito del palazzo veneziano in cui vivono le due signore tenutarie del mitico carteggio, parla di "basso standard italiano". Non è razzismo, è un dato di fatto. Basta vedere la classe politica che ci ritroviamo. L’ultimo esempio di very italian è questa storia della pizza e birra a sette euro, presentata in pompa magna alla stampa dalla Confcommercio con grandi paroloni e marce trionfali. Uno si chiede, dove sono queste pizzerie che aderiscono all’iniziativa? Io non ne ho mai vista una. Allora ho cercato in internet, sul sito della Conf: rimanda a un sito apposito (qui) che dovrebbe contenere la lista. Bene, non è mai entrato in funzione. E’ da sempre in aggiornamento. Non è stupendamente italiano tutto questo?

martedì, luglio 26, 2005

Il buongoverno italico

ricevo e (mal)volentieri pubblico

Pubblico impiego Dirigenza: il Ministro Siniscalco, ovvero chi "predica" bene e razzola male.
In una dichiarazione stampa, Michele Gentile, coordinatore del dipartimento settori pubblici CGIL nazionale, torna sulla questione della dirigenza: "Dopo il sensazionale annuncio fatto dal Ministro dell’Economia e delle Finanze sull’"ingovernabilità della spesa pubblica" la sua stessa maggioranza governativa ha provveduto a contribuire all’aumento della spesa attraverso un provvedimento di legge che accorcia i tempi per arrivare alle più alte cariche dirigenziali dello Stato. Così con lo spoils system della coppia Frattini - Saporito hanno promosso sul campo numerosi dirigenti e con la proposta di ieri li fanno diventare dirigenti generali. Poi a seguito di un ripensamento dell’ultima ora definiscono la durata minima ed aumentano la durata massima degli incarichi dirigenziali per assicurare un futuro "tranquillo" e senza patemi di animo ai loro protetti. E’ solo l’ultimo degli esempi di malgoverno e di aumento clientelare della spesa pubblica."

domenica, luglio 24, 2005

La semplice arte di raccontare

L’altra sera ero alla Festa de L’Unità di una cittadina alle porte di Bologna. Dopo un’ottima cena al ristorante del pesce abbiamo fatto la solita puntata alla libreria, che è da sempre uno degli spazi classici delle feste de L’Unità. Per la verità era uno stand piccolo e desolato, nulla che fare con le gigantesche librerie Rinascita delle feste provinciali o di quella nazionale: pochi vecchi libri mal disposti e scontati della metà. Stavo per andare via quando un signore che era seduto di fianco a un espositore indica un libro e fa: “questo l’ho scritto io”. Era un libretto tipo opuscolo dal titolo: Il partigiano delle quattro valli, autore Dino Carabi. Nessun riferimento editoriale, solo la data, in copertina: Aprile 2005. L’uomo aveva circa ottant’anni, ma portati bene; c’era come un tono di orgoglio, di soddisfazione, anche se un po’ malinconica, nelle sue parole. “Qui c’è tutto” ha detto, “ma proprio tutto. C’è la mia vita qua dentro”. Ho sfogliato l’opuscolo, senza capirci granché, come sempre mi capita quando sfoglio un libro qua e là (e pensare che gli editori esaminano in questo modo i manoscritti pervenuti). Poi ho pensato le solite cose, che ho una lista lunga così di letture arretrate eccetera. Comunque non potevo non comprarlo, era fuori discussione dopo le sue parole. Così ho infilato alcuni euro in una scatola di cartone con la scritta a pennarello “offerta libera” e l’ho portato a casa, salutato dai calorosi ringraziamenti dell’anziano signore. L’ho riposto sul tavolino del computer e l’ho dimenticato. Ma ogni sera lo vedevo, lo spostavo, dicevo a me stesso che non è giusto averlo comprato solo per fargli un favore, perché era un anziano, perché non riuscivo a dirgli di no. Così ieri pomeriggio l’ho preso in mano e in un’oretta l’ho letto. Sono 31 pagine, vanno via d’un fiato.
Ebbene, è un bel racconto. E’ scritto in uno stile scarno, naif, ma sincero, originale nella sua cadenza popolare, quasi infantile. La prima parte descrive le durissime condizioni di vita dei contadini della montagna bolognese, schiavi dei proprietari terrieri che oziavano tutto il giorno e falsificavano i conti rubando i già magri guadagni dei mezzadri. Poche pennellate veloci, durissime, senza alcun compiacimento. E per una sorta di talento letterario naturale non si limita al racconto di denuncia, vi sono sfumature di caldo sentimento, sfaccettature di pura bellezza: “eppure, con tanta sofferenza, con tanta miseria, con tante angosce e poche sicurezze, la gente era allegra: cantava e rideva, specie d’inverno quando ci si riuniva nelle stalle, si facevano le trecce e lì al caldo delle bestie qualcuno raccontava favole, qualcuno crollava dal sonno e si addormentava sdraiato di fianco alle mucche che ruminavano”.
Scoppia la guerra e il nostro autore sfugge alla campagna di Russia per puro caso. Gli capita un lavoretto semplice semplice, da imboscato, attendente di un ufficiale medico, ma la tragedia dell’otto settembre, quando Badoglio e il re scappano come conigli lasciando il paese in mano alle bande naziste, lo getta allo sbando come migliaia di commilitoni. Così entra nella leggendaria Brigata Partigiana Stella Rossa che ha combattuto duramente nella zona di Monte Sole, infliggendo forti perdite e gravi disagi nei collegamenti alle truppe naziste. Proprio per vendetta contro le azioni della Stella Rossa i nazisti hanno scatenato gli orribili massacri di Marzabotto, centinaia di vecchi, donne e bambini e alcuni preti che cercavano di proteggerli falciati dalle mitragliatrici degli SS. Ho capito più cose da questo opuscolo, dalla sua scrittura essenziale, sulla guerra e sui partigiani, di molti saggi ricchi di dati e di riflessioni. Certe pagine, pur nell’assoluta differenza di stile, mi hanno ricordato le descrizioni della vita durissima del combattente braccato del Partigiano Johnny, e quelle sulla vita contadina non possono non evocare certi squarci di vita infame de La Malora.
Questo libretto è un perfetto esempio di scrittura e di editoria di base. Scrittura trasversale, sincera, semplice eppure non noiosa, non stereotipata. Questa sarebbe la letteratura di una società utopica in cui chi ha la vocazione di scrivere scrive, chi di dipingere dipinge, senza imitazioni, senza manierismi; e le Melissa P., invece di farsi fotografare seminude su Max, studierebbero all’Università, oppure lavorerebbero in un supermercato, o in campagna.

venerdì, luglio 22, 2005

Zombies moderni

La terra dei morti viventi, di Romero: ben scritto, ben montato, ben prodotto, ottimamente diretto da un maestro; effetti speciali di ultima generazione, ma senza esagerare; veloce, appassionante, duro, violento, horror e splatter senza troppi compiacimenti e senza sbracare nell'ironia pecoreccia americana; fumettistico, semplice, con una fotografia superba. Imperdibile per gli amanti del genere.
Solo due problemi: il cinema è gremito di ragazzotti casinari, e Asia Argento, che come attrice è altamente improbabile. Ci consoliamo con un perfetto Dennis Hopper in uno dei suoi ruoli classici di riccastro cattivo.

martedì, luglio 19, 2005

Romanzo storico e ricerca linguistica

"Il mio segreto è una memoria che agisce talvolta per terribilità"
"allacciava tra loro le cose più disparate e dava rincuorante plausibilità"
"la bocca tranquilla, sapiente di parole assicurative".
E’ Maria Bellonci, la scrittrice del Novecento italiano famosa per i grandi romanzi storici ambientati nel Rinascimento, e per avere inventato, con alcuni amici, nel 1947, il Premio Strega (altri tempi, nulla a che vedere con le manifestazioni per "cumenda" e onorevoli vari dei nostri anni). E’ una nuova scoperta, forse un nuovo amore. Sto leggendo Rinascimento Privato, anni di avventure, tormenti, intrighi alla corte dei Gonzaga di Isabella d’Este, mentre il re di Francia invadeva il ducato di Milano e faceva prigioniero Ludovico il Moro. Io, che adoro il romanzo storico, strabilio di fronte alle ricostruzioni, ai particolari degli arredi, alla rivisitazione della sensibilità dell’epoca, e al lavoro sulla lingua. Perché qui è il limite di molti racconti storici: la scrittura è in qualche modo conformista, scorrevole ma piatta, una scrittura priva di coraggio, indifferente alla ricerca e alla sperimentazione, perché viene privilegiato unicamente il colpo di scena, l’avventura. La Bellonci invece inventa parole, lancia sfide alla lingua, la fa vibrare, ne modifica il respiro e il ritmo. E questo, se non è a discapito della vivacità della narrazione, se permette al lettore di divertirsi e di appassionarsi, è forse il risultato più alto che un romanzo può raggiungere e fa competere ad armi pari una nostra scrittrice con una grandiosa narratrice storica come Marguerite Yourcenar.

venerdì, luglio 15, 2005

Trent’anni fa, una lettera

Qualche giorno fa rovistando in uno scatolone ho trovato una lettera. Era battuta a macchina, su un foglio scritto su entrambe le facciate. Immediatamente l’ho riconosciuta e datata, anche se non ricordo nulla della sua esistenza. E’ stata scritta nel 1972, o 1973, e il mittente era il mio caro amico di allora, Loris; io, dopo il servizio militare, mi ero ritirato in campagna dai nonni per recuperare, con uno studio accanito, due anni di scuola superiore persi tra gozzoviglie e bisbocce varie. Per sei mesi ho vissuto da eremita e non ho visto nessuno, né gli amici né i genitori. Tuttavia con Loris c’era una fitta corrispondenza, anche perché sognavamo di essere dei grandi poeti, e ogni scritto, ogni lettera doveva essere assolutamente poetica. L’ho ricopiata rispettando la punteggiatura, gli a capo e le maiuscole, perché rappresenta, a mio avviso, una originale recensione di Teorema di Pier Paolo Pasolini. Quando l’ha scritta l’autore aveva circa 21 anni.

di Loris Pattuelli

Ieri sera ho rivisto Teorema di Pasolini uno degli attori era Terence Stamp colui che ha impersonato Rimbaud nella Stagione all’Inferno
anche in Teorema Stamp impersonava un po’ l’angelo dell’amore colui che ha rotto tutti gli specchi colui che fa rovinare gli specchiati nella follia lasciandoli nudi a se stessi. Nel film Stamp leggeva Rimbaud seduto in poltrona nel giardino di una villa principesca la serva vedendolo s’innamora va in crisi poi tenta il suicidio Stamp la salva e capendo la sua pena se la scopa poi si scopa lo studentello frustrato che dormiva in camera con lui quando si accorge che stava cercando di scoprire il sesso e la sua vera natura
poi Stamp si scopa la padrona di casa che nauseata dalla vita borghese cerca in lui e nell’amplesso la gioventù il senso della vita poi Stamp si scopa la ragazzina che non conosceva l’amore e il mondo per lei si riduceva alla foto del padre nascosta fra i libri di scuola che lei con freudiana perversione erigeva a simbolo di perfezione spirituale
infine Stamp si scopa il padrone di casa che entra in crisi vedendo il figlio giacere tra le braccia di Stamp e trova estraneo il corpo della moglie e tutta la sua condizione di uomo di potere. A un certo momento Stamp deve partire e la famiglia di cui è ospite entra in una crisi senza uscita… la figlioletta viene portata in manicomio il figlio si rinchiude in un mondo tutto suo e dipinge o meglio piscia e scarabocchia sulle tele chiuso in questo mondo solo suo che non ammette giudizi perché in lui tutto è nuovo e non misurabile coi metodi in uso perciò ingiudicabile nella sua astrusa perfezione la serva torna al paese si chiude in un mutismo totale resta per anni seduta su una panca si ciba soltanto di ortiche finché non diventa una specie di santa poi si fa seppellire viva solo gli occhi e il naso fuori per vedere e respirare e lì resta a piangere volendo trasformare la pozza delle sue lacrime in una fonte, la fonte della gioia… La signora cerca per le strade un viso un corpo che somigli a quello di Stamp e sfoga il suo dolore impotente facendo l’amore con chiunque sia giovane e biondo
il padre dona agli operai la sua fabbrica poi va in stazione a Milano e là si spoglia
il film finisce con quest’uomo che corre nel deserto urlando impazzito, nudo, impotente, solo come un uomo.






mercoledì, luglio 13, 2005

TG Morte

Tripudio di sangue, morte e distruzione ieri al TG 1 delle 20. Hanno superato se stessi, hanno polverizzato il proprio record di necrofilia. Assolutamente impressionante. Tutta la prima parte era dedicata alle stragi, una vera e propria apoteosi del massacro planetario. Poi è arrivato Pisanu, a tranquillizzare l’opinione pubblica spaventata, e gli esponenti della Sinistra, che mettevano a disposizione il loro coro a sostegno di Pisanu. Questo unanimismo, questo stringersi insieme nella caverna buia, riscaldati a malapena dal fuoco mentre fuori imperversa la tempesta e le belve feroci ruggiscono, era particolarmente inquietante. E’ seguito un breve servizio, dimesso e triste, sulla situazione economica del paese, poi è ripartito l’urlo cavernoso del crimine: un elenco di omicidi, rapine, aggressioni. Hanno anche parlato di "una bambina con fegato e reni spappolati". Si avvertiva, nella voce fuoricampo che "informava", il profondo godimento che gli urlatori del regime provano quando possono enfatizzare l’emergenza, l’allarme perpetuo. Quando finalmente è finita avevo lo stomaco contratto e un senso di tristezza. E’ un sentimento – o meglio un sintomo – che si avverte spesso di fronte alla morte. Persino uno degli assassini delle SS, uomini allevati, addestrati allo sterminio dei propri simili, ha confessato che, dopo la strage delle Fosse Ardeatine, lui e i camerati provavano un "profondo scoramento". Sulle cause di questa apologia del crimine e della morte non credo vi siano risposte definitive, ma certamente maline, in un intervento su questo sito, ha colto un aspetto importante: una certa iconografia religiosa, dove i santi sono tutti uccisi in condizioni atroci, ha contribuito a influenzare la fantasia popolare, a renderla particolarmente sensibile alla spettacolarizzazione della morte violenta. Credo comunque che questo gusto perverso sia utilizzato ampiamente dal regime, che cerca di esasperare la paura, così il popolo spaventato si raccoglie sotto la sua ala cercare protezione e sicurezza. Ben venga quindi, per il regime, una informazione terrorista. D’altro canto noi italiani siamo sempre stati dei maestri nella manipolazione dell’informazione. E’ certamente buffa, ma significativa, la famosa velina del Duce che invitata i media di allora, radio e giornali, a dire che il tempo era bello anche se pioveva. Altri tempi, altri stili, ma la struttura, l’eredità genetica, in fondo non sono cambiate granché

sabato, luglio 09, 2005

I cinque libri

Esistono dei giornali, dei mensili, che non si comprano in edicola ma sono distribuiti gratuitamente nei locali, nei cinema, in alcune catene di negozi, che sono più interessanti, brillanti e raffinati di tanti periodici regolarmente in vendita nelle edicole. Questi magazines gratuiti danno molto spazio alle immagini, con foto, disegni, tavole grafiche realizzate spesso dai migliori artisti del momento; parlano di eventi culturali, cinema, musica, libri. Uno di questi è Hot, mensile distribuito in vari locali di Milano, Roma e in tutti i negozi della catena Footloocker. Come immagine rispecchia un po’ i periodici inglesi di taglio giovanile, stile The Face insomma, tanto per semplificare. Il caporedattore è un mio caro e vecchio amico, Pierfrancesco Pacoda, che conosco dai tempi frigidairiani, quando lui era un collaboratore musicale. Sulle pagine letterarie, che sono a cura di Giancarlo De Cataldo, ogni mese uno scrittore indica i suoi cinque libri preferiti. Sul prossimo numero, che uscirà i primi giorni di agosto, toccherà a me. Ho riflettuto a lungo sui cinque titoli, e alla fine ho deciso di non indicare i grandi classici immortali tipo Guerra e Pace o Il Processo, ma libri che ho letto di recente con grande piacere e che spaziano, tutti insieme, in vari campi dell’espressione letteraria. Se qualche lettore del blog vuole indicare i suoi è il benvenuto.

Leggere Lolita a Teheran di Azar Nafisi (Adelphi). Ambientato negli anni Novanta durante la rivoluzione islamica kohmeinista, è un lungo racconto che procede su diversi piani temporali. In quegli anni bui, in cui La Tenebra ha preso il potere sulla vita, sul tempo, sull’immaginario, sui sogni, una professoressa di letteratura straniera dell’Università di Teheran cerca di sopravvivere e di salvaguardare le sue studentesse dall’ omologazione e dall’oscurantismo che soffocano ogni libertà. Solo la letteratura, solo la libera espressione, vietate dal regime islamico, possono garantire l’ultimo piccolo spazio di lucidità e di vita.

Come una bestia feroce di Edward Bunker (Einaudi Stile Libero). E’ considerato il capolavoro di Edward Bunker, uno scrittore che ha passato gli anni migliori della sua vita in carcere, dove ha iniziato a scrivere. Max Dembo sta per uscire di galera in libertà vigilata ed è deciso a chiudere col crimine. Vuole rifarsi una vita, vuole entrare nell’olimpo dei “normali”, anche a costo di enormi sacrifici. Ma il mondo normale, la società cosiddetta civile, non offrono spazi a un ex galeotto, non gli concedono una seconda opportunità. Così inizia la rivolta di Max Dembo, la rivolta nel crimine, nella rapina a mano armata, sempre in bilico tra la vita e la morte, tra la salvezza e la rovina definitiva.

Il Bell’Antonio di Vitaliano Brancati (Mondadori). Un grande classico del Novecento italiano, da cui è stato tratto un famoso film con Marcello Mastroianni. Siamo nella Sicilia profonda, la Sicilia fascista, dove gli uomini maschi sembrano avere un’unica ossessione: il gallismo più estremo. Scritto in uno stile originalissimo, con dialoghi martellanti e folli, in una dimensione di demenza che lo configurano come un grande romanzo nero, segue il triste destino di un ragazzo bellissimo, desiderato da tutte le donne, invidiato da tutti gli uomini, che soffre, in realtà, di impotenza. Questa sua “mancanza”, questa sua “malattia”, nella società dominata da un’ossessione, fanno di Antonio un infelice e l’ultimo dei paria.

L’Ultima Legione di Valerio Massimo Manfredi (Mondadori). Tiziano Scarpa ha inventato per loro, per gli scrittori di romanzi d’avventura, storici, in costume, gli scrittori di gialli, di noir, il termine “narrificatori”. E questo è un capolavoro della narrificazione storica, scritto da un archeologo: è ambientato nel ‘400, quando l’Italia faceva parte dell’Impero romano d’Occidente ormai in fase di dissoluzione. Gli ultimi romani purosangue, depositari dell’antico onore, dell’antica civiltà latina, cercano di portare in salvo l’ultimo degli Imperatori in una fuga avventurosa attraverso l’Europa sconvolta dalle guerre e dalle invasioni barbariche.

Aforismi di Zurau di Franz Kafka (Adelphi). Kafka ha scritto questi testi brevi forse nell’unico periodo di relativa serenità della sua vita, dal settembre 1917 all’aprile 1918, durante un soggiorno nel minuscolo paesino della campagna boema per curarsi dalla tubercolosi. Lapidari, criptici, straordinariamente nitidi come tutti i prodotti della macchina di scrittura kafkiana, si discostano dalla forma classica dell’aforisma alla Kraus per assumere identità letterarie mutevoli: immagini, parabole, riflessioni rapide e taglienti sulla libertà e le catene, la vita e la morte.

giovedì, luglio 07, 2005

Quanto durerà?

E’ difficile, è inquietante scrivere delle nostre cose, i libri, le recensioni, fare del sarcasmo sulla cialtroneria della politica italiana, e divertirci un po’, quando esplode, di colpo, la follia assoluta che ormai sembra governare il mondo. L’ennesima strage di Londra getta tutti nella costernazione, e anche nella confusione. E’ ormai chiaro che esiste un’azienda internazionale che si occupa di massacri. Il mestiere di questi managers è sterminare i propri simili. E lavorano bene, sono dei superprofessionisti.
I "G8" hanno detto che il terrorismo "non cambierà i nostri valori". I loro valori coincidono con quelli del capitalismo globalizzato che sta finendo di divorare il pianeta. E’ nella natura del capitalismo quello di espandersi di continuo, consumare risorse, rapinare materie prime. Quando le risorse iniziano a scarseggiare, e il territorio da predare finisce, il sistema va in crisi. L’azienda del massacro è parte del capitalismo, è il pool che fa il lavoro sporco, che cerca di scatenare la guerra. Perché quando il capitalismo non riesce più a espandersi ha bisogno della guerra: distruggere, per ricostruire; bruciare denaro, per stamparne di nuovo; radere al suolo, per tornare a edificare. Con la guerra circolano capitali, energia, e armi. La guerra è parte attiva del capitalismo, e l’azienda del massacro è la sua arma segreta.
Questo i "G8" non lo diranno mai. Usano altre parole, parole al vento, i valori, la solidarietà, lo sviluppo. Forse i ministri, i premier neanche lo sanno che razza di mostro stanno accudendo. Oppure si illudono di non saperlo, perché se davvero prendessero coscienza capirebbero in quale incubo vive l’uomo, e quindi loro stessi, e i loro discendenti. E soprattutto dovrebbero rendersi conto che non possono fare niente, che non hanno alcun potere. Perché il mostro vive di vita propria, e niente e nessuno può condizionarlo. I "potenti" della terra sono solo i suoi servi, i domestici che lo nutrono, lo dissetano, lo puliscono dai pidocchi, dalle zecche, portano via il letame.
E noi, noi che viviamo nel suo territorio, noi che ridiamo, soffriamo, godiamo, noi siamo il suo cibo.

martedì, luglio 05, 2005

L’odore del sangue

La Nico

L’odore del sangue (BUR, 2004) è un libro malato. Malato o meglio mutilato nella forma (fu pubblicato postumo e, probabilmente, incompleto), malato nei contenuti ma innanzitutto nella genesi: Parise lo scrisse alla fine degli anni Settanta durante la convalescenza che seguì a un gravissimo infarto, poi lo chiuse a chiave in un cassetto e lo riprese in mano solo nell’86, giusto pochi mesi prima di morire. E forse non avrebbe mai deciso di pubblicarlo, non in questa forma così oscenamente sincera e scabrosa, almeno. È appena scampato alla morte e ha capito che non le scamperà ancora a lungo. Butta giù il manoscritto di getto, ma ci mette dentro non tanto la paura di morire, quanto l’incurabile rassegnata nostalgia della vita. E dà a questo forsennato rimpianto, senza speranza né vie d’uscita, la forma torbida di un tradimento che è insieme preambolo e postumo della Fine.
La storia in apparenza è il ritratto di un interno borghese post-sessantottino. Filippo e Silvia sono sposati da vent’anni, sono della Roma bene, si amano di un amore platonico che esclude o quasi il sesso a favore di una totale simbiosi spirituale, e professano, naturalmente, la non esclusività dell’amore. Lui, la voce narrante, il malcelato Parise che ha appena imparato a conoscere la morte o meglio la fine della vita, ha allacciato da tempo una relazione con una ragazza che potrebbe essere sua figlia. La moglie, cinquantenne bella e desiderabile, conosce per caso un giovane "fascista", "ignorantissimo", "prepotentissimo", da cui è immediatamente e perdutamente soggiogata. Filippo, psichiatra, vede il gorgo masochista in cui lucidamente lei sta affondando, e lo invade l’ossessione di conoscere ogni dettaglio dei loro incontri. Non è voyeurismo, o è un voyeurismo troppo sofferto per potere essere definito tale: è piuttosto l’erronea quanto disperata intenzione di vedere ancora la vita, incarnata nel furioso vigore del ragazzo. Perché, capiamo infine, il vero protagonista della storia è il cazzo (non è il caso di darsi a ipocrisie verbali: si perderebbe l’intero senso della narrazione) del giovane che domina la moglie, puro simbolo di una gioventù possente perduta e rimpianta, l’unica cui il sesso e quindi la vita si addicano.
È un libro travolgente, ossessionato, disperato. Dalle pagine puzza e profuma fino alla repulsione l’odore del sangue (o dello sperma, che per Parise sono infine la stessa cosa), l’odore "molto simile a quello dei macelli all’alba, ma molto più dolce e lievemente nauseabondo". L’odore del sangue è il simbolo zampillante della vita perduta e dell’ossessione devastante di riaverla. La lunga metafora di ciò che Parise ha perso per sempre: la salute animalesca, primordiale che è dei giovani. Del sangue il protagonista può oramai percepire solo l’odore perché scorre nelle vene di altri, di corpi giovani e semplici che tenta rabbioso di possedere. Ne sarà invece posseduto, e assisterà impotente e consapevole al disfacimento della carne contro l’odore del sangue vivo, corroborante, fino alla nausea.

sabato, luglio 02, 2005

Risate tenebrose

Talvolta incontro qualche vecchia signora che avanza stanca per le strade della città; signore ultraottantenni con le borse della spesa, curve, affaticate; c’è una zingara, robusta, scarmigliata, che si stravacca a terra davanti a un supermercato, fuma sigarette, chiede l’elemosina e borbotta parole incomprensibili; oppure donne vecchissime, quasi incapaci di camminare, vestite con maglie e giacche di lana anche d’estate, con quaranta gradi, tenute per mano dalle badanti ucraine: quando vedo comparire queste persone deboli, inermi, dimenticate, penso: “guarda quella vecchiaccia, mollale un calcio in culo”.
Poi rido. Di me stesso, ovviamente. Era la battuta che si scambiavano sempre Dino Risi e Vittorio Gassman quando, a passeggio per Roma, incrociavano una donna molto avanti negli anni. Ovviamente nessuno dei due ha mai fatto una cosa simile, né la farei io. Anzi, quando vedo una donna molto vecchia in difficoltà l’aiuto ad attraversare la strada, oppure le sollevo il coperchio del cassonetto e butto la sua spazzatura. Così deve essere. Però questo non significa che non dobbiamo fare i conti con la nostra componente oscura, con la Tenebra che risiede stabilmente dentro di noi, in quanto appartenenti alla specie umana. E’ inutile cercare di cancellarla, di dimenticarla; c’è, e si fa sentire. Impariamo dunque a conviverci, e a tenerla a bada. Magari con una risata.