mercoledì, luglio 26, 2006


Una proposta decente

Dunque, tutto secondo copione. Dopo la prima, si diceva severa sentenza, la Corte federale ha praticamente passato la spugna sul calcio marcio. La solita soluzione all’italiana insomma, can can iniziale, paroloni, esibizione di muscoli, poi marcia indietro, la salvaguardia degli interessi degli sponsor, gli umori popolari ecc. Si pagano un po’ di multe (spiccioli, visti i bilanci delle squadre e gli stipendi dei dirigenti), si passerà un po’ di tempo in purgatorio, e poi via, tutto come prima.
Tutto normale.
A quanto pare i tifosi sono contenti. Li abbiamo visti manifestare il tv contro le retrocessioni delle proprie, adorate squadre. Questo è l’aspetto più singolare: i tifosi sono i truffati, i turlupinati, eppure si arrabbiano se i loro truffatori sono puniti.
A questo punto viene da dire: volete il calcio marcio? Volete essere truffati e derubati, e siete pure contenti? Bene, tenetevelo. E’ tutto vostro. Non ci vuole molto. Basta eliminare totalmente la cosiddetta giustizia sportiva. Via i tribunali, le Corti federali, basta con le pagliacciate. Che si combinino pure le partite, che si usino arbitri venduti, insomma, che si faccia del calcio una forma di wrestling. Che male ci sarebbe? In campo i calciatori potrebbero anche scatenarsi in risse, tanto sarebbe tutto finto, tutto preparato, nessuno si farebbe male. E tutti sarebbero contenti. Questa può sembrare una provocazione, una boutade, ma non è così. Il calcio è già putrefatto, legalizziamolo come sport finto, facciamone una forma di spettacolo fine a se stesso.
A questo punto all’inevitabile obiezione del tifoso onesto, che vorrebbe andare allo stadio per assistere a partite vere (“e io? Perché devo rinunciare a questo sport che amo?”), si può rispondere: “perché già ci rinunci. Perché sei preso in giro, e questo non è più uno sport” Che mandi tutto a quel paese e si rivolga ai campionati amatoriali, dove ancora si gioca per passione. E lo difenda dai predatori, il calcio amatoriale, perché il calcio-wrestling, non appena si accorgesse che esiste un territorio ancora vergine, si precipiterebbe armato fino ai denti per colonizzarlo immediatamente.

martedì, luglio 25, 2006


Time passed slowly?!?

L’articolo pubblicato lunedi nelle pagine culturali de La Repubblica, dove Michele Smargiassi racconta la storia del re del liscio Secondo Casadei, mi evoca qualche ricordo e anche una riflessione.
Riflessione: ad essere vecchiotti (sono nato nel 1953) si hanno degli svantaggi (acciacchi, stanchezze, la sensazione di avere perduto qualcosa che non tornerà, qualche rimpianto per occasioni mancate ecc.), ma anche qualche vantaggio, come per esempio avere conosciuto personaggi particolari del passato, carichi storia, di eroismi, di epica che i nostri tempi non contemplano più; avere visto luoghi e paesaggi scomparsi per sempre, distrutti dall’industrializzazione e dall’edilizia.
Un ricordo molto nitido è legato proprio al mondo primordiale del liscio. Da bambino i miei mi mandavano spesso in campagna, nei pressi di Lugo di Romagna, dai nonni, di antica famiglia bracciantile e contadina. Una volta, ed erano ancora i ’50, forse il 1958, il 1959, mi portarono a una festa per la mietitura del grano, che si teneva nella grande aia di una casa colonica vicina. Si mangiavano i prodotti della terra, frutta, verdura, e poi i salumi, il pane cotto nel forno domestico, si bevevano i vini del contadino, e si ballava. C'era un sacco di gente, famiglie del posto, ma anche molti giovani venuti da fuori, per ballare e magari “cuccare”. Sul ripiano di un carro per trasporto fieno c’era un complessino formato da una chitarra, una fisarmonica, un clarinetto (o meglio il clarinaccio, che è la versione romagnola) e un tamburo (non c’era la batteria, troppo ingombrante). Suonavano valzer, polke, pezzi veloci, anche se non ricordo il cantato, era tutto musicale. Sono quasi sicuro che eseguissero anche i famosi saltarelli, perché ricordo balli con le persone che si prendevano per mano e giravano in tondo, e non solo abbracciati nei valzer. Da qui Secondo Casadei ha importato il liscio. Ha preso quei ritmi, li ha elaborati, ha vestito i suonatori di lustrini e lamé, come le grandi orchestre leggere americane, ha scritto testi (orripilanti, come ha scritto Michele Serra in un box a corredo dell’articolo) e ha lanciato quel genere che, nel bene e nel male, ha sfondato nel mondo intero, e che oggi viene suonato e ballato in ogni angolo del pianeta, e fa stare in allegria.

martedì, luglio 18, 2006

venerdì, luglio 14, 2006

Schiuma hard-core

C’era un tipo – lo chiamavano Faustone – che conoscevo al paese, prima di emigrare a Roma per lavorare al giornale. Era un ragazzo di circa trent’anni, altissimo, sarà stato due metri e dieci, con una grande testa di capelli neri voluminosi e due mani enormi, due mazze che avrebbero atterrato un bue. Era un personaggio mitico, era stato sposato con una ragazza bellissima, molto alta anche lei (circa un metro e novanta), magra, nervosa, atletica. In un paese dove l’altezza media delle persone era di un metro e sessantacinque, loro due formavano una coppia che suscitava sconcerto, e, forse, ammirazione e invidia. Il matrimonio comunque durò meno di sei mesi, perché lei, un giorno, fu ricoverata in ospedale per le percosse ricevute. Almeno così si diceva, e la cosa mi stupì, perché ho sempre considerato Faustone un tipo generoso, un buono, sempre disponibile verso gli altri.

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martedì, luglio 11, 2006


Ma cosa dicono? Ma dove guardano? Ma a chi parlano?

Ieri guardavo distrattamente la RAI, solito servizio estivo dove parlavano della frutta. Hanno mostrato dei meloni, coi relativi prezzi. A Bologna, hanno detto, il melone costa 0.65 euro, meno che a Milano (0.85) e più che a Roma (0.45).
In serata sono andato alla coop di consumo per la la spesa, e l'occhio mi è caduto sui meloni: 1.88 euro. Ora mi chiedo: ma questi della RAI dove vivono? Dove prendono i prezzi? Sono prezzi all'ingrosso? Ma il programma non era mica per i grossisti. E' come con le temperature: dicono 30 gradi e invece sono sempre 36-38. Che sballo.

lunedì, luglio 10, 2006


Non ce la faccio (e forse non ce la farò mai)

Nei commenti al post precedente “Prepararsi all’evento” pap scrive: “campioni d'italia!!! Qui in questo paesotto romagnolo il dopo partita si è vissuto così, come una piccola grande occasione di sballo, di festa e trasgressione. Carri, carretti, moto auto strane, ma tutti senza casco, tutti imbandierati, pitturati, urlanti e suonanti. C'era di tutto, ragazze fuori dai finestrini, genitori con neonati al collo che avrebbero dormito volentieri nei loro letti, mamme che tiravano per le braccia bambini stanchissimi... Non ho visto vigili, né polizia. Mio figlio 13enne è tornato a casa alle 1145, troppo casino, ma... poi ha preferito chattare con il suo amico; mia figlia 15 enne invece e' rimasta là fino alla mezza, ma c'eravamo tutti... io ero solo impaurita da tanta anarchia stradale.Ma la partita e' stata piacevole, a parte Zidane”.
Questa è la festa, la gioia del 1982. Forse pap – azzardo una ipotesi parapsicologica – ha vissuto quei momenti ed ora cerca una riproposizione di quei sentimenti, che erano positivi, perché anch’io li ho vissuti.
Ma non è come nel 1982.
Io quando l’Italia ha vinto con la Germania sono stato costretto a uscire in macchina con mia figlia. Per strada c’erano gruppi di giovani iper-eccitati che gridavano contro le auto agitando i pugni e le bandiere coi manici. Non ero affatto tranquillo. Altri giovani carambolavano con auto e furgoni sbandierando fuori dai finestrini, col rischio di collisioni. Io non ero tranquillo per niente.
Quando l’Italia ha battuto l’Ucraina ero a Torbole sul Garda, e siamo usciti per una passeggiata. Auto strapiene di giovani sfrecciavano sulla Gardesana e tutti urlavano e agitavano i pugni. C’era anche un camion, col cassone aperto stracarico di giovani con enormi bandiere. Uno particolarmente alterato urlava: “io non sono un tedesco dimmerda, io sono italiano! Italiano!”. Ora, in una zona la cui prosperità deriva dal turismo, soprattutto tedesco – ed è un turismo educato e rispettoso, perché è legato allo sport, windsurf, mountain bike, free-climbing, trekking – si capisce il livello di lumpen-cultura cui fanno riferimento certi personaggi fanatici del calcio. Che non sono una sparuta minoranza, ma parte organica delle cosiddette curve, dove regnano razzismo, violenza, disprezzo per l’avversario. I loro eroi sono i calciatori, che insultano gli altri calciatori; è Totti, che sputò in faccia non ricordo a chi. Un loro eroe è Cannavaro, il capitano, esaltato, incensato in questi giorni oltre ogni limite, ripreso in un video mentre, prima di una partita, si faceva un perone in vena di una “sostanza consentita”.
Non è come nel 1982.
Intorno al calcio si è sviluppata una lumpen-cultura fatta di menzogne, volgarità, furto, prepotenza, vippismo e yuppismo, mafia. Tiziano Scarpa ha scritto un
pezzo di fredda ferocia su primo amore in cui afferma che questa cultura oggi in Italia ha vinto. Nel 1982 queste cose non c’erano, oppure se c’erano non si vedevano, e quindi la pentola non era ancora piena, non traboccava.
No, non è come nel 1982, e Napolitano non è Pertini.
In questi giorni sui media si è scatenato un fanatismo mediatico che mi ricorda il periodo spaventoso dei funerali del papa. Quello fu un esempio di regime totalitario mediatico realizzato. Scrivemmo che i media, la televisione soprattutto, si erano fatti prendere la mano, che avevano “esagerato”. No, non avevano esagerato. Questo è lo stile, questo è il sistema. Era così allora, lo è oggi e lo sarà domani. Il ritorno della squadra è stato salutato con toni di isterismo spinto a livelli estremi. Lippi è “il nostro caro leader Kim Il Sung”; è la televisione di un regime di pazzi, di agit-prop di un miculpop.
Io non ce la faccio a esaltarmi. Non è per snobismo, non è per la solita sindrome del perdente a tutti i costi. Quando guardavo le partite, e vedevo i miliardari italiani che correvano sul campo, con la parte razionale di me riconoscevo che giocavano bene, forse meglio degli altri; ma non ce la facevo a gasarmi, a fare il tifo per loro. Ci ho provato, davvero, mi sono impegnato. Mi sono detto “ma insomma, prova a condividere questa gioia, prova per un attimo a uscire dal tuo solito stato di oscurità critica, di NO a oltranza, che ti rende sempre un po’ eccentrico, anomalo, imbarazzante con gli altri”. Ho provato, con tutte le mie forze, ma non ce l’ho fatta. E so che forse non ce la farò mai. Mi venivano in mente gli striscioni razzisti degli stadi, e “io non sono un tedesco dimmerda”, e il partito trasversale di deputati e Mastella che invocavano l’amnistia in caso di vittoria del mondiale (poi corretto in “atto di clemenza”, ma cosa cambia?). Vale a dire l’accettazione istituzionale del superimputridimento che regna intorno al calcio, nel calcio. Peggio dei condoni di Tremonti.
Intanto c’è un governo di centrosinistra che, per risollevare i conti pubblici, sta per varare misure finalmente nuove, che tengono conto delle speranze di noi che l’abbiamo votato: tagli alla sanità, alle pensioni e al pubblico impiego. Era ora, qualcosa di sinistra.
Già, ma chi se ne frega? L’Italia è CAMPIONE DEL MONDO, si va in giro a urlare “viva l’Italia, grande Italia, sono fiero di essere italiano, non sono un tedesco dimmerda!”. Siamo tutti uniti intorno al nostro “caro leader Kim Il Sung”, con un bandierone in mano e la televisione che urla per noi.

E veniamo alla famosa testata di Zidane. Si è trattato di un gesto inqualificabile, ed è stato giusto il provvedimento di espulsione. Non si può rispondere con un’aggressione a una provocazione verbale, per quanto grave sia. Però tra le urla di “siamo italiani!” sarebbe opportuno tentare di chiarire cosa ha davvero detto e fatto Materazzi. Il Guardian ha scritto che gli ha lanciato l’accusa di “terrorista”; poi ha smentito, ma sappiamo il peso che hanno le smentite. Terrorista rivolto a un algerino, con la storia che ha alle spalle, con la guerra di liberazione che è costata migliaia di morti, e la retorica che identifica gli arabi coi terroristi, è una provocazione pesantissima, perdidipiù lanciata a freddo, con cattiveria. Inoltre un gruppo di non vedenti avrebbe letto sulle labbra di Materazzi l’epiteto di “puttana” rivolto alla sorella. Mentre scrivo sono solo ipotesi, ma perché non cercare di fare chiarezza? Perché non attribuirle tutte, le responsabilità?

Già, ma chi se ne frega? Basta agitare le bandiere, bruciare qualche cassonetto, sognare di essere un calciatore miliardario che si cucca le veline e ha la Ferrari e la BMW e la Merceds e il SUV. Mica siamo tedeschi dimmerda noi, italiani siamo, campioni del mondo.

giovedì, luglio 06, 2006


Prepararsi all'evento

Bisogna prepararsi. E’ possibile che l’Italia vinca la finale e quindi il mondiale. Questa non è una previsione ma una semplice constatazione che la Nazionale può competere ad armi pari con la Francia. La TV ci ha mostrato le “feste” nelle piazze d’Italia, dove centinaia di migliaia di persone – soprattutto giovani e giovanissimi – in stato di fortissima alterazione manifestavano la loro “gioia” per le vittorie della squadra.
Se vinciamo la finale questa “gioia” salirà a livelli di parossismo, con episodi anche critici di fanatismo di massa ecc. Ora questo fatto mi induce a una riflessione: qua a Bologna ci sono state polemiche molto accese sul Rave Party che ha sfilato per la città. Musica ad alto volume, gente che grida, balla, espleta bisogni fisiologici, getta rifiuti. La Giunta ha tentato di negareil permesso, adducendo motivi di quiete pubblica, e l’emergenza rifiuti (in sostanza, chi paga per la pulizia); tutte problematiche e obiezioni che hanno riscosso un altissimo consenso da parte dei cittadini.
Dunque, il Rave è rumore, rifiuti. E le notti di baldoria dei dopo-partita? Sempre la TV ha mostrato le piazze letteralmente cosparse di rifiuti. Chi ha pagato? Chi pagherà se la Nazionale vince? E il rumore?
Ma non vi è obiezione che tenga. Il Rave è degrado, mentre le notti di baccanale dei dopo partita, con tutti i loro carichi di rumore, fumogeni, clacson, addirittura gimkane con moto nelle zone pedonali, sono “festa” e “gioia”.
Ma come sarà?

domenica, luglio 02, 2006


La sindrome di Gastone

Quando io e il vecchio Loris, il mio grande amico del 1970, partimmo in autostop verso Amsterdam, non potevamo immaginare ciò che sarebbe successo. Eravamo non solo amici, ma anche soci: soci nel condividere la scelta culturale di quel periodo, una scelta freak, undergound-letteraria, una scelta di rifiuto radicale del Sistema. Io ero kerouchiano, lui ginsberghiano; io ero per una scrittura classica, una scrittura narrativa, lui un surrealista poetico; ci univa l’adorazione per Jimi Hendrix (io poi lo imitavo anche nell’aspetto, e il mio soprannome tra gli amici era proprio Jimi), l’amore per la libertà, per l’apertura delle coscienze.

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