giovedì, dicembre 28, 2006


LOVE

di Loris Pattuelli

Hey, è uscito Love, il nuovo disco dei Beatles. Fossero ancora in attività, questo sarebbe il loro bigliettino di auguri per il nuovo millennio. Purtroppo due non ci sono più e gli altri due sono soltanto la metà di un quartetto. A realizzare la bella impresa ci ha pensato il quinto Beatle, George Martin, e ha fatto proprio bene.
La musica popolare, come tutti sanno, è un affare di dischi e non di spartiti, ed è al vinile e ai CD che fanno riferimento tutti quelli che vogliono interpretare le musiche di qualcun altro. Succedeva con il jazz, è successo con il rock, succede anche adesso nell’era di internet. Questo è lo stato delle cose: lo studio di registrazione e il computer sono a tutti gli effetti degli strumenti musicali.Gli interessati a questo gioco non dovrebbero dimenticarlo mai.
Grazie a una trovata del Cirque du soleil, Sir George si è rimesso a fare quello che faceva quarant’anni fa con i Beatles. Da bravo alfiere dell’artigianato estatico, ha preso in mano i nastri originali, i demo, le versioni alternative, e ha incominciato a remixare, a lavorare di taglia-e-cuci, a ripulire, a rimasterizzare, a rimescolare tutto.
Se l’intento era quello di ricreare il repertorio dei Beatles, bisogna proprio dire che è stato bravo. Love, infatti, non è soltanto il nuovo disco di John , Paul, George e Ringo, ma è proprio quello che i quattro di Liverpool avrebbero fatto oggi. Chiuso nei suoi studi di registrazione, il nostro eroe ha realizzato una impresa non molto diversa da quella che sta portando avanti Bob Dylan con il suo Never ending tour.
Etichette di comodo a parte, questo è il rock’n’roll finalmente in cielo con tutti i diamanti, diciamo pure anche la piccola arte della ricreazione e del cantar leggero. Si tratta di prendere il mondo e di rivoltarlo come un calzino, di trasformarlo in una specie di preghierina buona per tutti i santi giorni del calendario. Proprio come facevano un tempo Brian Wilson, i Grateful Dead e Frank Zappa, o come ogni tanto ancora capita ai jazzisti meno ordinari e ai DJ più appassionati.


Riconosci questo giro
così facile e gaio:
è solo onda, flora,
ed è la tua famiglia!


Rimbaud

mercoledì, dicembre 27, 2006


Musica festiva

In questi giorni la colonna sonora in casa mia, e in auto, è composta quasi unicamente da questo pezzo, che fa parte di un disco richiesto sotto l’albero da mia figlia di 12 anni. Appena finisce, torna su. Dalla mattina alla sera.

Yeah Uomo.... c’è qualcosa che non và uomo...NON C’E’ NESSUNO! Remix Ritornello: Perchè vedi un pò di anni fa vedevo mamma e papà dentro una scatola dietro due psichiatri ed ero solo un bambino MondoMarcio: Ma sul serio! ...un bambino!! MondoMarcio: Ma sul serio! e dicono capita ma non spararti frà sfogliami l’anima e vedrai che c’ero cosi vicino MondoMarcio: Ma sul serio! ....cosi vicino!!! Fanculo te, Fanculo te, Fanculo questo posto non mi è ancora chiaro il motivo per cui sono qua insieme a tutti questi stronzi che non conosco ho sentito qualcuno parlare di insanità: mentale forse qualcuno vorrà fare male a un frà ma quale peccato ho commesso per meritare di stare qua ad aspettare come un animale in cattività mi fa male la stamina sale carica il peso nella mia testa bro tutta questa gente che entra resta la prendo per non invitati alla mia non festa qualcosa che non voglio e che la mia anima detesta ma appena guardo il nome sul foglio risponde al mio prossimo step: mio Dio! volete sapere di come hanno ucciso mio zio di come pà faceva stare male mà di come mà beveva quando stava fuori città il mio cervello và giù e giù ho risposto alle vostre domande per ore ormai non ce la faccio più datemi un paio di minuti prima di trasalire fatemi rinsavire no bro fatemi uscire!! Ritornello: Perchè vedi un pò di anni fa vedevo mamma e papà dentro una scatola dietro due psichiatri ed ero solo un bambino MondoMarcio: Ma sul serio! ...un bambino!! MondoMarcio: Ma sul serio! e dicono capita ma non spararti frà sfogliami l’anima e vedrai che c’ero cosi vicino MondoMarcio: Ma sul serio! ....cosi vicino!!! yeah, dat's right uomo DAAM, quando quelle persone sono alla tua porta DAAM, E sai che sono qua apposta per prendere te E trasportarti in un posto dove il sole non c'è! Che sia l’ospedale o la galera non rivedrai i tuoi genitori stasera perciò chiudi gli occhi e pensa a com’era mamma in cucina che prepara qualcosa di caldo ma ora ho un compagno di cella che non sta stare calmo si piscia addosso solo perchè mamma non c’è e sai che se le guardie arrivano puliranno anche te la brutta vita, quella che non vivi senza spacciare frà io ho dato quattro anni all’assistenza sociale sarò preciso io sono un caso aperto da quattro anni e una corte di quattro stronzi non mi ha ancora pagato i danni Che hanno causato alla mia mente Vedi questa gente, pensa che ti basti un assistente a risolverti ogni problema di vita e non sai quante volte l'avrei accoltellato nella schiena con quella matita un marcio è psycho come papà ora mi faccio di lah giro coi frà vendo in città, ahah!!! Ritornello: Perchè vedi un pò di anni fa vedevo mamma e papà dentro una scatola dietro due psichiatri ed ero solo un bambino MondoMarcio: Ma sul serio! ...un bambino!! MondoMarcio: Ma sul serio! e dicono capita ma non spararti frà sfogliami l’anima e vedrai che c’ero cosi vicino MondoMarcio: Ma sul serio! ...cosi vicino!!! Dicono un Marcio è forte un marcio che non demorde immagini valide per quando sei alle corde è tragico che un ragazzino cosi innocente può arrivare a viaggiare con l’omicidio in mente uomo ho fatto terapia non è finito niente anzi mi ha peggiorato però è servito a quella gente io grido per il mio incubo preferito da sempre uno psichiatra ti ha detto che c’è riuscito? mente!! lo sa perchè non và bene,in questa cazzo di società mettono un sedicenne in catene lasciano un Bubbà libero di fare PA-PA!! sulla sua famiglia mentre i ragazzini chiedono papà, perché perché, papà e scappano nei ripostigli vedi gli errori dei genitori ricadono sui figli a volte mi chiedo che sarebbe stato se quel giorno di dicembre si fosse fermato!! Ritornello: Perchè vedi un pò di anni fa vedevo mamma e papà dentro una scatola dietro due psichiatri ed ero solo un bambino MondoMarcio: Ma sul serio! ...un bambino!! MondoMarcio: Ma sul serio! e dicono capita ma non spararti frà sfogliami l’anima e vedrai che c’ero cosi vicino MondoMarcio: Ma sul serio! ...cosi vicino!!! (Grazie a Emanuele per questo testo)

Mondo Marcio, Dentro Alla Scatola




sabato, dicembre 23, 2006


Buon Natale a tutti i lettori di Baldrus.
E’ questa, una festa inflazionata, minacciata se non divorata dalla pubblicità e dal consumismo. Eppure è ancora un momento collettivo di raccoglimento e, ammesso che questa parola abbia ancora un senso, di letizia.
E’ il Natale delle famiglie, delle coppie, dei genitori e dei figli; è il Natale dei solitari, dei dimenticati e dei perduti. E’ anche il Natale degli immigrati che annegano nei mari della disperazione, dei precari, dei disoccupati, degli ultimi degli ultimi; degli amici, degli innamorati.
E’ il Natale di chi non perde la speranza e l’ottimismo. Di chi guarda avanti, ma anche indietro.

A tutti, buon Natale.
Seduzioni pericolose
su Nazione Indiana

mercoledì, dicembre 20, 2006


Scampagnata in moto prenatalizia

racconto di Fabio Baldrati

Presto sarà Natale, ancora una volta.
Mentre ascolto musica osservo dalla finestra merli, passeri e pettirossi calare silenziosi sulle briciole di pane che quotidianamente spargo in giardino. Pochi sanno che il pettirosso è un solerte messaggero invernale e preannuncia il freddo con infallibile puntualità, non esiste meteorologo più efficiente.
Fuori una mattinata “norvegese”: molto fredda ma limpida, illuminata da un sole vincitore sulla coriacea nebbia della bassa Romagna, e questo è un evento inconsueto negli inverni color piombo di queste zone.
Un pensierino crescente mi stuzzica senza darmi pace; cerco di autoconvincermi che fa un freddo maledetto, che è meglio abbandonare quell’idea, che certe stupidate si pagano a caro prezzo,…ma non riesco a sopprimere la vocina: che sarà mai! Per un po’ di freddo! E poi non è davvero freddo: zero gradi. Ma sì!
Quando scendo le scale con la tuta invernale addosso e il casco infilato in un braccio ecco che arriva puntuale un coro unanime: “Hei!... sei diventato matto?” E rispondo serafico: “Da legare!”. Tutti scuotono la testa fra il rassegnato e il compatito (compreso Lillo, il cane).
Pochi minuti e sono in garage. Appena apro il portone la luce del mattino scaccia via l’oscurità ed ecco apparire, come al solito, la sagoma inconfondibile della mia Guzzi California. Mi chiudo addosso cerniere e bottoni automatici, con cura metodica indosso il sottocasco a lambire il colletto della giacca, poi il casco, infine gli spessi guanti i cui “manicotti” sormontano abbondantemente i bordi-maniche. Quando si va in moto in inverno nulla deve essere sottovalutato, un solo spiffero può fregarti. Non si scherza col Generale Inverno.

In paese i coloriti addobbi natalizi celebrano un innocente concorso di fastosità. Poi, finalmente davanti al manubrio la campagna: costeggio a bassa velocità brulli frutteti canuti, fossi ghiacciati, i vitigni “inzuccherati” di brina mi ricordano certe stampe giapponesi. Le scure terre hanno ormai vinto gli ultimi residui di una passata nevicata, qua e là ancora resistono poche chiazze bianche.
Non c’è anima viva, tutto è immobile e imprigionato nel freddo, qualche passero frulla fra i cortili e spero di non essere l’unico a spargere granaglie in terra.
L’aria fredda mi punge il volto mentre gli occhi lacrimano, se chiudo la visiera del casco questa si appanna…ecco, così va meglio, un po’ aperta ma non troppo.
Un vecchio luogo comune impone alla moto una collocazione esclusivamente estiva… be’, forse una volta era davvero così e bisogna ammettere che le moto cosidette “naked” (nude ed essenziali) avvallano un simile preconcetto; ma oggi vi sono tute termiche e accessori efficaci, così come la protezione aerodinamica adottata in molte moto difende il motociclista da quella brutta bestia (il vento) che spinge in mezzo al petto.

Eppure nemmeno l’inverno è il diavolo, non è poi così cattivo se ne abbiamo rispetto: scegliamo possibilmente le giornate soleggiate, equipaggiamoci con metodo, soprattutto evitiamo di strafare. Chi ha partecipato a qualche edizione del mitico raduno germanico dell’ Elefanten-Treffen, oppure si è sottoposto a lunghi viaggi nella stagione rigida, non è affatto pazzo, al contrario denota l’intelligenza di chi sa programmare.

Presto sarà Natale, ancora una volta. E per l’occasione qui dalle mie parti, nella Romagna del “mutòr”, due rossi Babbo Natale infiocchettati a bordo di un Sidecar portano caramelle e dolcetti ai bambini; oggi mi piacerebbe davvero incontrarlo quel Sidecar.
A circa trenta chilometri, in direzione nord, esiste una autentica rarità: una vasta zona disabitata in cui lo sguardo si estingue in orizzonti ancora liberi da costruzioni. Per molti chilometri la strada panoramica di “via Agosta” costeggia la valle di Comacchio (l’ultima rimasta), mentre sulla sinistra c’è la distesa del “Texas”: così chiamano quella infinita pianura agricola strappata all’acqua valliva nel dopoguerra. Dopo cinquant’anni quelle terre asfittiche a causa dei residui salini nemmeno rendono il valore del concime usato, mentre la vallicoltura con i “lavorieri” per le anguille e le spigole avrebbe potuto costituire una importante economia. La bonifica delle antiche valli comacchiesi fu una scelleratezza che solamente oggi possiamo comprendere.
Sui lunghi rettilinei “texani” di queste strade, tanti anni fa, venivano a sfidarsi in furiose riprese i motociclisti di mezza Romagna; fra di essi il mitico Silèzi (silenzio) con la sua rossa (e quasi imbattibile) Le mans 850. Sembra ieri…ma quanto tempo è passato. Qui dalle mie parti chi va in moto da molti anni ricorda i bei tempi del “mutor” con nostalgia.“Coraggio, il meglio è passato” diceva Flaiano.
Più volte nel corso dell’anno torno a lambire le “mie” valli, sempre vi sono uccelli di ogni specie in acqua oppure in volo ma oggi anche qui, dove la “vita” è sempre caparbia, tutto è immobile e stregato dal freddo. La valle di Comacchio è una grande distesa azzurrognola piatta come se fosse di olio, alcune “lame” gelate lungo le rive sembrano specchi che riflettono un debole sole in difesa.
E’ una splendida giornata luminosa, ovunque guardo trovo l’orizzonte senza fine. Ma guai a me se oltrepasso i cento orari, il gelo è spietato e non fa sconti, mi fustiga ogni volta in cui provo ad “uscire” oltre la protezione dello schermo trasparente.
Il sommesso borbottare del bicilindrico è l’unico rumore esistente. Per decine di chilometri non incontro anima viva e ciò rende questi luoghi ancora più surreali. E gli uccelli? germani, folaghe, trampolieri…dove saranno finiti? Solo qualche gabbiano vola nell’azzurro pallido. I vecchi pescatori comacchiesi hanno sempre raccontato dell’esistenza di particolari angoli di valle: microclimi meno rigidi in inverno e più freschi d’estate. Chissà quanti segreti custodiscono le valli di Comacchio.
Forse conosco uno di questi luoghi, ci arriverò fra cinque o sei chilometri.

Oltre la valle di Comacchio, dopo il bacino idrovoro, c’è l’oasi Zavelea: un triangolo di valle a carattere paludoso con ampie estensioni di canneti. Per gli appassionati naturalisti è uno dei luoghi più interessanti di tutto il Delta.
Che spettacolo! Subito dopo il bacino idrovoro, sulla destra, una meraviglia degna del National Geografic. Scalo una marcia dopo l’altra e accosto, fermo la moto lungo il ciglio, spengo il motore, apro l’asta laterale, tolgo casco e guanti, poi scendo e vado freneticamente a cercare il binocolo tascabile nella borsa. Questa veduta mi riscalda corpo e anima.
Oltre i canneti dorati dal debole sole… lungo la linea dell’orizzonte in cui l’azzurro dell’acqua e quello del cielo si fondono insieme, c’è la meraviglia del popolo volatile: migliaia di uccelli vallivi si sono dati appuntamento qui per il loro raduno. Scure folaghe sguazzano in una sfida a chi solleva più spruzzi, legioni di germani spiccano il volo creando veloci ventagli nel cielo terso, mentre sugli isolotti i numerosi aironi grigi ritti sulle lunghe zampe sembrano guardiani severi, immobili, con quel loro strano collo ricurvo.
Ma sono le oche selvatiche il vero spettacolo in arrivo dal cielo: sono disposte in ordinati stormi a “V” di dieci o dodici esemplari, la prima oca sulla “punta” fronteggia la resistenza dell’aria e quando è stanca passa in coda, poi un’altra compagna più riposata le dà il cambio. Arrivano dalla Siberia dove vi sono 25 gradi sotto zero per svernare in questa oasi, scivolano esauste sull’acqua con le ali aperte dopo migliaia di chilometri percorsi a chilometri d’altezza, dove l’aria rarefatta richiede meno dispendio di energie. La natura, ha risparmiato solamente le più forti fra loro: saranno forse duecento le temerarie viaggiatrici.
La frustrazione mi assale quando penso che in questa zona cova il progetto di una nuova autostrada (da anni se ne parla: la E-55 Civitavecchia-Mestre). Un’altra.
Prima o poi arriveranno nuovi capannoni, nuovi insediamenti, nuovo “sviluppo”. E’ questione di tempo: ci prenderanno anche il “Texas”, l’ultimo spazio libero rimasto. Infrastrutture, infrastrutture, infrastrutture… tutti le bramano, da destra e da sinistra ne viene rivendicata la paternità, mentre lo scempio perpetrato al nostro paesaggio altro non è che un male necessario, un congruo sacrificio da tributare alla nostra prima divinità: Turismo & Sviluppo.

Non siamo soli, altri popoli ci accompagnano nel viaggio dell’esistenza e dobbiamo averne rispetto, non abbiamo il diritto di devastare i loro abitat, le loro dimore, per soddisfare le nostre onnipotenti necessità.

Ripongo il binocolo e metto il casco, infilo le mani nei guanti, monto in sella e giro la chiave…gnignigniWrumm! Un’ultima occhiata alla valle festosa di vita. Clock della prima, via, a casa.


Buon Natale! Tutti i giorni un po’.

lunedì, dicembre 18, 2006

E' andata così
Se qualcuno mi chiedesse se ho dei rimpianti, cose che non ho fatto, che non ho vissuto, forse risponderei che un piccolo rimpianto è di non avere mai visto un concerto di James Brown. Due-tre ore di sound ad alta tensione, dove il corpo partecipa con la mente, sono un’esperienza indimenticabile. E da questo punto di vista il vecchio James è sempre stato insuperabile.

lunedì, dicembre 11, 2006


Delitti e castighi

Dunque è morto il tiranno fascista Pinochet. Aveva 91 anni, era gravemente malato, gonfio, incapace di muoversi e di parlare. C’è chi ha festeggiato, chi ha manifestato, chi ha innalzato cartelli a favore del Libertador. Come accade sempre in questi casi ci sono stati disordini, scontri di piazza. Il giudice Garzon, l’unico che sia riuscito a incriminarlo, ma non a condannarlo, ha detto che non ha pagato per i suoi crimini.
E’ vero. E’ una verità triste, inquietante. La giunta Pinochet fu una delle più feroci del dopoguerra, e anche se recentemente i tiranni hanno metodi più scientifici per massacrare, come le bombe ai gas velenosi, fu spaventoso come questa cricca prese il potere con il sostegno palese dell’America, che finanziò, organizzò il golpe.
Non dimenticherò mai, finché avrò un briciolo di memoria, un filmato girato clandestinamente nello stadio di Santiago in cui il cantautore e poeta Victor Jara fu ucciso a calci dagli sgherri di Pinochet. Ancora oggi provo un senso di dolore estremo pensandoci. Il solo nome del tiranno mi evoca immagini di morte, di torture, e la foto della cricca dei generali, minacciosi, arroganti.
Pinochet non ha pagato per i suoi crimini. Se siamo atei, è difficile accettare questa verità immediata e materiale, che certi criminali vivono alla grande, rubano (è stato anche accusato di evasione fiscale), sfruttano, uccidono, e se ne vanno serviti e riveriti nelle loro ville. E tutto finisce lì. Da atei, viene una rabbia cosmica, fanno impressione – spaventano – le parole di Dostoevskij "se Dio non esiste, tutto è permesso".
Se siamo credenti ci consoliamo col fatto che, essendo la giustizia divina una giustizia giusta, il tiranno, come tutti i tiranni, arrostirà all'inferno, perché è chiaro e limpido il rapporto tra colpa e castigo.
Se non siamo né atei né credenti, perché non troviamo il coraggio di fare una scelta, i nostri pensieri sono alterni, ci consumiamo di rabbia per l’ingiustizia terrena e speriamo che in qualche modo, in qualche luogo lontano e misterioso, un briciolo di giustizia sia ancora possibile.