La Dalia Nera
The Black Dahlia, l’ultimo evento hollywoodiano, è un film fatto in larga parte di primi e primissimi piani. In questo è alla moda, perché sembra che il pubblico moderno sia vorace dei visi delle star, ultrafotografate dai giornali di tutto il mondo, riprese dalle televisioni, intervistate, spettegolate. Così, di Scarlett Joahnnson, che ha in effetti un viso molto interessante, con una bocca esagerata che sembrerebbe tutta naturale, conosciamo la trama della pelle, alcuni piccoli foruncoli mascherati dal trucco e dalla luce, i capillari degli occhi. E Mia Kirshner, la Dalia, ha occhi straordinari; anche dei due attori, Aaron Eckhart e Josh Hartnett, conosciamo nel dettaglio le rughe, i piccoli sorrisi, i peli sottopelle della barba. Altri due visi interessanti, va detto, visi plastici, non-territoriali, in cui ciascuno di noi può vedere l’espressione che preferisce, può proiettare il suo sogno segreto.
The Black Dahlia è anche un film sulle sigarette. Fumano tutti come dei turchi, accendono sigarette di continuo, con cadenza ossessiva. Ricorda l’ossessività demente di Carver con l’alcool, quando i personaggi si versano in continuazione da bere. Alla fine della visione si prova un vero e proprio disgusto per le sigarette, sembra di avere il mal di testa mattutino del fumatore incallito, e in questo senso, forse, è un film anti-fumo
The Black Dahlia è un film complicato, come lo è il libro di Ellroy da cui è tratto. Ma il libro ha a disposizione centinaia di pagine per sbrogliare le matasse, per aiutarci a ricordare i nomi dei personaggi, per guidarci nel cammino tortuoso delle indagini. Il film ha solo due ore (per di più da conciliare coi primissimi piani hollywoodiani), e questo lo porta a correre a perdifiato, a comprimere con violenza le storie, gli indizi, e ci perdiamo per strada. Ogni tanto brancoliamo, perché non sappiamo più chi è il tale, da dove sbuca fuori e dove diavolo va, e le storie diventano convulse, sembrano esplodere e poi svaniscono nel nulla.
The Black Dahlia è un film che vorrebbe essere maledetto, come lo è il libro di Ellroy da cui è tratto. Si impegna a fondo per esserlo, per mostrare i volti oscuri dei personaggi, per chiuderci sotto la cappa soffocante del crimine e della corruzione che tutto contamina e infetta, come nei romanzi di Ellroy. Ma è pur sempre un film hollywoodiano, e quindi deve avere, al suo interno, un navigatore americano buono, onesto, che rappresenti il Bene, come vogliono le regole; ma il navigatore dei libri di Ellroy è sempre a sua volta corrotto, disonesto, piegato dal male, e quindi vi è come una schizofrenia di fondo, una voglia proibita di sporcare il navigatore del film, di andare contronatura, col risultato di creare situazioni e stati d’animo poco credibili, fine a se stesse.
The Black Dahlia è curato nei dettagli, gli anni ’40, le auto, i vestiti, la fotografia, e si vede lo stile di quel grande regista che è Brian De Palma, ma se qualcuno va a vederlo con la speranza di scoprire che, una volta tanto, i grandi noir girati dai registi tosti di una volta sono ancora possibili, è destinato a uscire con un velo di delusione nel cuore, come sempre.
1 commento:
VISTO DOMENICA,MEGLIO IL LIBRO,PERO' SI FA GUARDARE ANCHE SE SI FA FATICA A CAPIRE.
LA DALIA E' FANTASTICA.
PIERO
Posta un commento