martedì, giugno 14, 2011

Problems


Problems.
Reading problems.
Ho un problema di lettura dei romanzi contemporanei. Cerco di risolverlo, anche perché mi sembra di vivere in un'altra epoca. Non è sempre facile discutere con qualcuno e sottrarsi alla domanda: “conosci quello? Hai letto il suo libro?”. Mi è capitato anche durante una intervista televisiva: “ha letto il tale scrittore? Cosa ne pensa?” Perdio, sarebbe carino evitare queste domande così dirette.

Sono lacune, e ne soffro. Sinceramente vorrei essere come gli addetti ai lavori che sono documentati su tutta la produzione nazionale (e talvolta anche internazionale).

Ma è troppo tardi. Impossibile recuperare tutto il tempo che ho impiegato altrove. Anche se non è stato tempo perduto. Non esiste il tempo perduto. Semmai è sprecato. E lo spreco non significa per forza perdita.

Non si è trattato neanche di pigrizia. Ho passato anni a leggere l’800. Poi altri anni per il primo e il secondo ‘900. E i fumetti, i romanzi di fantascienza anni Settanta, e i beat, gli americani, Henry Miller. Se considero anche la musica, che è stata l’oggetto principale della mia vita per tutta la post adolescenza, risulta comprensibile, spero, la mancanza di spazio e di tempo da dedicare ai miei contemporanei.

Ma non è il solo motivo. Diciamola tutta. Il fatto è che non riesco ad appassionarmi alla scrittura dei miei contemporanei. Parlo soprattutto dei noir, visto che mi trovo nel periodo di questo genere letterario. Ci provo però. Ne inizio uno, uno qualunque di quelli lanciati dagli editori con gli “strilli” enfatici su “un esordio potente” seguito dalla frase a effetto di questo o quello scrittore famoso che garantisce sulle meraviglie del libro che ci sta calorosamente consigliando. Allora parto, ma poi mi pianto. Inevitabilmente. Disperatamente. E’ una sensazione sgradevole. E’ triste abbandonare un libro iniziato. Mi crea un senso di colpa. E una rabbia. Però non riesco a sottrarmi allo spleen che mi causano quelle narrazione prevedibili, così industriali. Per esempio, i dialoghi. Spesso sono improbabili, si sente. Avverto un tono falso nelle voci dei personaggi, anche se la lettura è di per sé sorda. E’ l’eco fasulla che si sprigiona dalle scritture prodotte per soddisfare i requisiti prestazionali richiesti – pare – dai lettori abituati alla pubblicità.

E allora cosa devo pensare?
Cosa sono costretto a pensare?
Che la produzione letteraria nazionale è scaduta e i veri scrittori sono estinti.
Che non è vero, sono io che non riesco più a leggere gli altri, perché sono prevenuto e invidioso.
No, non è per niente facile convivere con questi pensieri.
E’ abbastanza frustrante, credetemi. Si vive col dubbio di crogiolarsi nel pessimismo.

Dunque, quando mi è capitato tra le mani un racconto distribuito col Corriere della Sera, ho pensato: ecco una buona occasione per leggere un contemporaneo. Anzi, una contemporanea, perdipiù di gran moda. E molto discussa. E soprattutto non noir. Insomma, una bella tentazione. Sivia Avallone, La lince.

Devo dire che non è stato facile iniziarlo. Provavo una curiosità controversa. Del suo romanzo Acciaio non ho letto che stroncature, alcune molto dure, e non solo di bloggers alternativi o eversivi. Per esempio, Marco Belpoliti: "un accumulo di luoghi comuni, banalità sociologiche, considerazioni da posta del cuore, con adolescenti in tumulto come in un manga Made in Italy; il tutto scritto in una lingua posticcia, plasticata come un sacchetto della spesa, un ron ron di frasi fatte, con la pretesa di cogliere il parlato quotidiano di quattordicenni vorticose, casalinghe sfatte e maschi adulti in canotta."

Del racconto La lince si diceva nella quarta che potevo rileggere una versione moderna della Morte a Venezia. Sono rimasto abbastanza stupito. Anche leggermente spaventato. Ma l’attrazione era forte, così sono partito.

Ora, mi dispiace deludere, ma c’è molto poco da dire. E’ un raccontino-ino-ino. Nulla di particolarmente esaltante, né efferato, né oggetto di indignazione. Scritto con lo stile che va oggi, periodi brevi, con qualche caduta per me abbastanza letale, ma che oggi è diffusa, tipo “non sapeva se se lo poteva permettere” o abbondanza di “ce l’aveva” che personalmente trovo horror ma che è diffusissimo tra i miei contemporanei. E’ la storia di un rapinatore navigato e disilluso – un tipo da spiaggia alla Ammaniti, per capirci – che si innamora di un ragazzo biondo che dovrebbe rappresentare il divino Tazio. In realtà il paragone con l’eterno romanzo di Thomas Mann è semplicemente ridicolo, ma oggi non si va tanto per il sottile. Non c’è nulla dell’atmosfera demoniaca, di morte e dissoluzione che si insinua nei nostri nervi di lettori della Morte a Venezia. E' un racconto corretto, con qualche spunto interessante, per certi aspetti avvincente e ben calibrato, con pochi personaggi essenziali,  rappresentati con la giusta intensità, ma non si riesce a superare la sensazione della tesi di laurea di un bravo studente di letteratura. Non ci dice, né ci fa capire cosa c’è dietro l’attrazione del protagonista, cosa cerca nel ragazzo, e il finale è di una banalità sorprendente. E’ un testo che sembra uscito dalle pagine di una rivista femminile, dove i racconti si intrecciano con lo stile giornalistico leggero e con l’affabulazione di stampo psico-sociologico. Non ha neanche chissà quale pretesa, questo va detto. Molto semplicemente è un racconto inutile, o scarsamente utile. Ma almeno non è dannoso. Perché ci sono anche quelli dannosi, talmente falsi e grondanti retorica che inquinano l’immaginario dei lettori abituati alla pubblicità. Un racconto onesto, pompato e venduto come l’ultimo capolavoro di una grande autrice contemporanea.

E morta lì.

Quindi l’esperimento è andato così così. Di sicuro non è un incentivo per andare avanti e colmare le mie lacune.

Che poi a questo punto mi viene il dubbio se siano davvero lacune…

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Come ti capisco ;-)

Anonimo ha detto...

al volo prima della diretta di "tutti in piedi":
a volte ho scovato gioiellini che non mi hanno delusa. solitamente me ne accorgo dalle prime pagine, e se così non fosse (e se in quel momento mal sopportassi una banale mediocrità) abbandonerei senza problemi. ma capisco il senso di colpa, che nel mio caso si innesta su una mia naturale propensione a una simmetria (anche estetica) che fa a pugni con anche solo il concetto di incompiutezza. ma questo è argomento a parte, e magari avremo modo di riparlarne.
ho amato alcuni romanzi che la grande massa nemmeno sentirà nominare. la avallone, proprio perchè osannata, l'ho fino a ora evitata con perizia, nonostante invadenti incitazioni. se queste danno noia a te come la danno a me, sarebbe meglio evitare di consigliarti qualsivoglia lettura. :)

Baldrus MC ha detto...

Cara Anonima, le incitazioni quasi sempre sono fastidiose, ma esercitano anche una sorta di attrazione perversa...

Comunque le tue non sarebbero certo tali, ma i consigli di una lettrice, altra merce, credimi, e quindi beneaccette.

Anonimo ha detto...

bene, allora provvederò.