lunedì, aprile 23, 2012

Rimini, c'era una volta la grande pittura


La mostra al Castello Malatestiano di Rimini, “daVermeer a Kandinsky”, non ha un vero filo conduttore, né una linea certa di navigazione temporale, ma è una antologica di grandi pittori che copre un periodo di circa cinque secoli, dal ‘500 al ‘900. Però è imperdibile perché offre la possibilità di ammirare quadri importanti di grandi pittori, paesaggi, ritratti, eventi storici. E’ l’arte senza tempo, di fronte alla quale, non senza imbarazzo e inquietudine, riflettiamo su come eravamo, come siamo stati, cosa siamo riusciti a creare, quali vette siamo stati in grado di raggiungere.
Sono presenti pittori celebrati in vita, pittori di corte, famosi ritrattisti contesi da re e papi, altri che hanno dovuto combattere fino alla fine dei loro giorni contro i pregiudizi del loro tempo, la povertà, la sofferenza. Eppure tutti hanno raggiunto vette ugualmente elevate, sono riusciti a imprimere nelle loro tele la magia del colore, l’energia della creazione che si sprigiona intatta dopo secoli, incurante del passaggio delle mode, dell’avvento delle nuove tecnologie. Soffermarsi di fronte al “Bacino di San Marco” del Canaletto, è come ascoltare Mozart, o John Coltrane. Oggi forse nessuno è più in grado di raggiungere quel livello artistico, la grande arte sembra essere stata definitivamente fagocitata dal mercato e dal consumo, eppure restano quelle opere classiche e noi continuiamo ad ammirarle, come i monumenti greci, romani, egiziani.

Il Canaletto (1797-1768) era un “vedutista” veneziano. Il suo grande quadro, posto nella prima sala e come gigantografia all’esterno del castello, è il vero manifesto della mostra. Si resta stupiti, estasiati di fronte a quella magnifica prospettiva della città marinara, ripresa con un grandangolo spinto, un’apertura di spazio, di luce. C’è il grande paesaggismo, e la miniatura di un biblista medievale, coi particolari restituiti con una precisione che toglie il fiato. Sembra di udire le grida del porto, tutte le lingue che si sovrappongono, gli odori di pesce, di salsedine, di fumo. Da solo, questo quadro vale l’intera mostra. Ma proseguendo non mancano le sorprese. Il ‘500 è presente coi ritratti: spicca, su tutti, un altro grande veneziano, Tiziano (1485-1576), che ha quel tocco in più, quello sguardo più profondo, quella luce, rispetto agli altri, pur grandi, ritrattisti della sua epoca. Ma troneggiano anche il Veronese, con lo spettacolare “Il riposo durante la fuga in Egitto”, un trionfo di colore e di grafica, il Tintoretto, Carracci. Il ‘600 arriva con la sua oscurità, il suo gusto per l’horror, la morte, le decapitazioni, la punizione. Secolo dominato dall’Inquisizione, dalla colpa e dai roghi, i suoi pittori insistono sul sangue, con chiaroscuri violenti. Su tutti aleggia il gigante Caravaggio, che bucò quell’oscurità con la sua luce sublime, unica. Caravaggio non è presente, ma lo sono i suoi epigoni: il gigantesco “La morte di Seneca” di Gerrit van Honthorst ritrae il vecchio filosofo della Roma di Nerone mentre sta inutilmente cercando di morire dissanguato. Intorno a lui si affaccendano i cerusichi, e un paggio cinquecentesco che sembra arrivato lì con la macchina del tempo. Seneca conversa con un cerusico, forse gli sta rivolgendo una domanda, mentre un altro gli sta incidendo la vena di un piede. Il ‘700 scorre con gli inglesi, il Tiepolo, e ovviamente Canaletto. Con l’Ottocento il massimo dell’emozione arriva nell’accostamento tra due grandi pittori che si dedicarono soprattutto ai personaggi del popolo: Millet col “Seminatore”, esposto al Salon del 1850, dove fu duramente criticato dai conservatori: questo quadro, uno dei massimi capolavori del suo secolo, ritrae un contadino che avanza come un condottiero, in una posa molto dinamica, col braccio e il tronco proiettati all’indietro, in una tensione elastica, contro un fondale scuro, mentre la notte incombe. Alle sue spalle una vampa di luce solare illumina forse un rudere, che sembra lo squarcio di un paesaggio fantascientifico. Questo quadro sconvolse profondamente Van Gogh, che lo studiò a fondo, e lo ridipinse più volte (anche allora esistevano le cover). E infatti accanto al seminatore c’è “Vecchio che soffre”, dove trionfa la caratteristica pennellata guizzante e orgogliosa di Vincent Van Gogh, in una straordinaria tonalità azzurra. Nella stessa sala si rimane immediatamente catturati dal monumentale Renoir, “Il clown”, che sembra illuminato dall’interno di una luce quasi violenta, esplosiva. Uno dei quadri più spettacolari di tutta la mostra. Ma che dire del “Ratto delle Sabine” di Picasso, pura potenza creativa, pura tragedia di un’epoca, una grafica perfetta che solo Veronese sembra uguagliare, e la pennellata astratta di Kandisky, i colori mediterranei di Matisse, il Trittico di Bacon...

E’ consigliabile visitare la mostra, che sarà attiva ancora per tutto maggio, durante un giorno feriale. Infatti i festivi sono particolarmente affollati, soprattutto dai gruppi che si raccolgono intorno a un quadro mentre una speaker parla in un piccolo trasmettitore collegato alle cuffie del pubblico. Rimini è comodamente raggiungibile in treno, in questa stagione è una gita piacevole.
Rimini è l’interminabile lungomare felliniano, il Grand Hotel, la metropoli della riviera.
C’era una volta il grande mare, c’era una volta la grande pittura.

Castello di Malatesta, dal lunedì al venerdì 9-19; sabato e domenica 9-20. Prezzo del biglietto 10 euro.
www.lineadombra.it
0422 429999





[in apertura il quadro di Canaletto]





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