venerdì, giugno 10, 2005

Uccelli

Un paio d’anni fa tornammo da un periodo di vacanza, in agosto. Entrai in bagno, spalancai la finestra e restai di stucco: sul davanzale c’erano due orrendi pulcini spelacchiati, di colore rosa, che mi guardavano atterriti. Impiegai alcuni istanti per capire, per accettare quell’immagine. Poi un piccione arrivò in volo, mi vide, fece dietro front e andò a posarsi sulla grondaia di fronte. Adesso era tutto chiaro: il piccione, la picciona, aveva scelto il mio davanzale per fare il nido. Un problema non da poco: i piccioni sono gli uccelli più freak del mondo, fanno la cacca nel nido e vivono letteralmente in mezzo ai propri escrementi. Arrivarono mia moglie e mia figlia e contemplarono – mia moglie a disagio, come me, e mia figlia entusiasta – la scena. “E adesso che facciamo?” chiese mia moglie. Io allargai le braccia. “Cosa vuoi fare. Aspetteremo che diventino grandi e si tolgano dai piedi”. Così, per un paio di mesi, aprivamo la finestra delicatamente, cercando di non fare rumore, per non spaventare l’allegra famigliola. Parlavamo addirittura a bassa voce, e cercavamo di contenere la curiosità di mia figlia, che voleva guardarli in continuazione. Finalmente i piccioni diventarono adolescenti, spiccarono il primo volo, il secondo, e infine se ne andarono per il loro mondo aereo. Così ho potuto pulire lo strato di alcuni centimetri di guano, con la varechina, e non è stata un’impresa facile.
Quattro o cinque mesi fa, ancora in inverno, è spuntata una ghiandaia. So che era una ghiandaia perché ho consultato un catalogo, aveva le caratteristiche piume delle ali multicolori, il becco forte, da carnivoro. E’ atterrata sul balcone, senza fare una piega, e ha iniziato a fissarmi. Non mostrava la minima traccia di paura. Allora ho preso del pane e l’ho posato sul davanzale, con prudenza, per non farla fuggire. Macché fuggire: ha cacciato un piede sul pane e con beccate furiose l’ha fatto a pezzi. Poi è tornata varie volte, sulle finestre, sul balcone, sempre audace, per nulla preoccupata dalla mia presenza. Era simpatica, ma la situazione si è presto complicata. Un pomeriggio mia moglie e mia figlia tornavano a casa e la ghiandaia ha iniziato a svolazzare con furia intorno alle loro teste. Gridando, gesticolando, sono riuscite a entrare e a lasciarla fuori. E la cosa si è ripetuta. Così quando tornavano a casa, o si apprestavano a uscire, entravano in uno stato di ansia. “E se c’è quell’uccello?” diceva mia moglie. “Papà, ho paura” diceva mia figlia. Io cercavo di tranquillizzarle come potevo. Per qualche tempo le ho anche accompagnate ogni volta che uscivano. Secondo me l’uccello non aveva intenzioni aggressive, voleva solo posarsi sulle loro teste. Solo che aveva dei modi un po’ bruschi. Però mentirei se dicessi che ero del tutto sereno... Un giorno l’ho trovata in camera da letto. Era sulla coperta, immobile, e ovviamente aveva depositato un ricordino. “Fuori subito!” le ho detto, a voce alta, agitando un braccio. Lei non si è per nulla scomposta, ha saltellato sul letto, mi ha guardato coi soliti occhi furiosi, da corvide, ed è uscita. Questa volta era abbastanza offesa, mi è sembrato. Infatti per qualche tempo non si è fatta vedere, e mia moglie e mia figlia si sono rilassate. E anch’io. Ma l’altra sera mia figlia è entrata in bagno e dopo un istante ha iniziato a lanciare grida di terrore. Non avevo mai udito delle grida così. Mi sono precipitato in bagno, mia figlia è schizzata fuori urlando e l’ho vista: la ghiandaia era sul filo sopra la vasca per stendere i panni, appollaiata immobile, come una regina. Allora mi sono davvero arrabbiato: “adesso sparisci!” ho urlato, “questo non è posto per te! Il tuo posto è nel cielo, nei boschi, è chiaro?” Lei si è sistemata sul filo, si è messa comoda, ha guardato qua e là, impassibile. Allora sono andato in cucina a prendere una scopa, per cacciarla fuori con le cattive. Ma quando sono tornato in bagno era sparita. Deve essersi offesa a morte. Beh, è meglio. E’ troppo difficile una convivenza tra noi. Ora non la vedo da settimane. Ma adesso è estate, c’è da mangiare in giro. Vedremo il prossimo inverno...
L’altro giorno, alle sei e mezzo del mattino, sono entrato in soggiorno e ho visto, sul davanzale della finestra, una tortora che lavorava alacremente col becco e con le zampe. Oh no, di nuovo! Stava preparandosi il nido, aveva già portato dei ramoscelli e delle foglie. Ma possibile? Altri due mesi di guano? No, cara mia. Ho alzato e abbassato la tapparella, per spaventarla, e ho spazzato via il suo lavoro. Lei è tornata varie volte, ma ha sempre trovato me che le facevo un discorsetto: voi siete membri del popolo alato, non possiamo condividere le case. Non qui in città. So che gli spazi si assottigliano per voi, ma questo vale anche per noi. Voi scacazzate come matte, e siete portatrici di pidocchi e di zecche. Io mi impegno a procurarvi da mangiare, soprattutto in inverno (ogni tanto comperiamo dei panettoni in offerta solo per loro), ma per la casa dovete arrangiarvi.
Ha capito. Adesso viene a trovarmi spesso, ma si ferma qualche secondo e poi riparte. Così va bene.
Però... stiamo per andare in vacanza. Non troveremo qualche sorpresa al nostro ritorno?

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Un filosofo camminava naso per aria e osservava il popolo del cielo, riflettendo sulla libertà di questo dalle catena della gravità, dalla dura legge del suolo. Pensava a quanto sarebbe stato bello se anche altri esseri avessero potuto volare... gatti, cani, leoni, elefanti... d'un tratto un piccolo uccello svolazzando sopra la sua testa lasciò cadere una piccola cachetta proprio sulla testa del nostro. "No, pensò, gli elefanti è meglio di no".

Anonimo ha detto...

Ma dove caspita abiti? A me, in città, tutt'al più è capitato qualche passerotto in terrazza. Da piccolo invece, in campagna, ricordo un tordo che era entrato dal tubo della stufa, era nero di fuliggine e sbatteva contro le pareti, dopo abbiamo dovuto rimbiancare la cucina.

Anonimo ha detto...

Abito praticamente sulla riva del fiume Reno, in una zona verde, con grandi alberi, l'ambiente ideale per il popolo alato. Al mattino mi sveglio con un incredibile concerto di canti, zufoli; ovviamente alcuni di loro sono invadenti, direi sfacciati, come ho cercato di raccontare.