domenica, luglio 24, 2005

La semplice arte di raccontare

L’altra sera ero alla Festa de L’Unità di una cittadina alle porte di Bologna. Dopo un’ottima cena al ristorante del pesce abbiamo fatto la solita puntata alla libreria, che è da sempre uno degli spazi classici delle feste de L’Unità. Per la verità era uno stand piccolo e desolato, nulla che fare con le gigantesche librerie Rinascita delle feste provinciali o di quella nazionale: pochi vecchi libri mal disposti e scontati della metà. Stavo per andare via quando un signore che era seduto di fianco a un espositore indica un libro e fa: “questo l’ho scritto io”. Era un libretto tipo opuscolo dal titolo: Il partigiano delle quattro valli, autore Dino Carabi. Nessun riferimento editoriale, solo la data, in copertina: Aprile 2005. L’uomo aveva circa ottant’anni, ma portati bene; c’era come un tono di orgoglio, di soddisfazione, anche se un po’ malinconica, nelle sue parole. “Qui c’è tutto” ha detto, “ma proprio tutto. C’è la mia vita qua dentro”. Ho sfogliato l’opuscolo, senza capirci granché, come sempre mi capita quando sfoglio un libro qua e là (e pensare che gli editori esaminano in questo modo i manoscritti pervenuti). Poi ho pensato le solite cose, che ho una lista lunga così di letture arretrate eccetera. Comunque non potevo non comprarlo, era fuori discussione dopo le sue parole. Così ho infilato alcuni euro in una scatola di cartone con la scritta a pennarello “offerta libera” e l’ho portato a casa, salutato dai calorosi ringraziamenti dell’anziano signore. L’ho riposto sul tavolino del computer e l’ho dimenticato. Ma ogni sera lo vedevo, lo spostavo, dicevo a me stesso che non è giusto averlo comprato solo per fargli un favore, perché era un anziano, perché non riuscivo a dirgli di no. Così ieri pomeriggio l’ho preso in mano e in un’oretta l’ho letto. Sono 31 pagine, vanno via d’un fiato.
Ebbene, è un bel racconto. E’ scritto in uno stile scarno, naif, ma sincero, originale nella sua cadenza popolare, quasi infantile. La prima parte descrive le durissime condizioni di vita dei contadini della montagna bolognese, schiavi dei proprietari terrieri che oziavano tutto il giorno e falsificavano i conti rubando i già magri guadagni dei mezzadri. Poche pennellate veloci, durissime, senza alcun compiacimento. E per una sorta di talento letterario naturale non si limita al racconto di denuncia, vi sono sfumature di caldo sentimento, sfaccettature di pura bellezza: “eppure, con tanta sofferenza, con tanta miseria, con tante angosce e poche sicurezze, la gente era allegra: cantava e rideva, specie d’inverno quando ci si riuniva nelle stalle, si facevano le trecce e lì al caldo delle bestie qualcuno raccontava favole, qualcuno crollava dal sonno e si addormentava sdraiato di fianco alle mucche che ruminavano”.
Scoppia la guerra e il nostro autore sfugge alla campagna di Russia per puro caso. Gli capita un lavoretto semplice semplice, da imboscato, attendente di un ufficiale medico, ma la tragedia dell’otto settembre, quando Badoglio e il re scappano come conigli lasciando il paese in mano alle bande naziste, lo getta allo sbando come migliaia di commilitoni. Così entra nella leggendaria Brigata Partigiana Stella Rossa che ha combattuto duramente nella zona di Monte Sole, infliggendo forti perdite e gravi disagi nei collegamenti alle truppe naziste. Proprio per vendetta contro le azioni della Stella Rossa i nazisti hanno scatenato gli orribili massacri di Marzabotto, centinaia di vecchi, donne e bambini e alcuni preti che cercavano di proteggerli falciati dalle mitragliatrici degli SS. Ho capito più cose da questo opuscolo, dalla sua scrittura essenziale, sulla guerra e sui partigiani, di molti saggi ricchi di dati e di riflessioni. Certe pagine, pur nell’assoluta differenza di stile, mi hanno ricordato le descrizioni della vita durissima del combattente braccato del Partigiano Johnny, e quelle sulla vita contadina non possono non evocare certi squarci di vita infame de La Malora.
Questo libretto è un perfetto esempio di scrittura e di editoria di base. Scrittura trasversale, sincera, semplice eppure non noiosa, non stereotipata. Questa sarebbe la letteratura di una società utopica in cui chi ha la vocazione di scrivere scrive, chi di dipingere dipinge, senza imitazioni, senza manierismi; e le Melissa P., invece di farsi fotografare seminude su Max, studierebbero all’Università, oppure lavorerebbero in un supermercato, o in campagna.

1 commento:

Valentina ha detto...

Dino carabi era mio zio, ci ha lasciato domenica all'età di 88 anni e una vita passata a lottare per la pace e la libertà. Credo che questa sua testimonianza un bell'esemoio di quello che ci è rimasto di lui e che speriamo continui a vivere a lungo.