Come una bestia feroce
(Max Dembo e la rivolta del crimine)
E’ stato ripubblicato – non recentissimamente, ma qui non abbiamo l’ansia del tempismo esasperato – anche nella collana gialli de La Repubblica (comunque è sempre disponibile da Einaudi), quello che da molti è considerato il capolavoro assoluto di Edward Bunker: Come una bestia feroce. Ellroy l’ha definito “il più bel romanzo sulla rapina a mano armata che abbia mai letto”, ma è una definizione riduttiva: certo, la rapina a mano armata è ben presente nel testo, è l’unica cosa che il protagonista, Max Dembo, sa fare bene, ma questo racconto duro, spietato, su un ex carcerato che diventa un evaso, è anche la storia di un uomo in rivolta.
Il romanzo inizia con l’ultimo giorno di galera, l’ultimo di otto, interminabili anni prima dell’agognata libertà vigilata: “Seduto sul cesso senz’asse nel retro della cella, ero intento a lucidare le orribili scarpe dalla punta bulbiforme che venivano fornite a chi stava per uscire”; Max Dembo conosce tutto della galera, i codici di comportamento e di comunicazione, la violenza estrema, le divisioni razziali; per otto anni è stata tutto il suo mondo, la sua mancanza di futuro. Ora sta per uscire, ed è lacerato da sentimenti contrastanti: felicità, l’esaltazione di respirare finalmente l’aria pura, di vedere il cielo nella sua interezza, e non solo il ritaglio contenuto tra le alte mura del cortile del carcere; ma anche paura, incertezza di fronte a un mondo che teme di non riconoscere e dal quale teme di essere respinto. Eppure è determinato, è deciso a cambiare vita. Vuole chiudere con gli arresti, le celle, i pestaggi, gli anni interminabili dietro le sbarre. Tenterà, con tutte le forze, di fare parte di quella società che per tutta la vita ha rapinato e depredato: cercherà di essere un regolare, con un lavoro, perché è fermamente deciso a non tornare mai più in galera.
Tutta la prima parte del libro vede dunque Max Dembo impegnato a lottare come una belva per tentare di rifarsi una vita all’insegna dell’onestà e della legalità. Ma il mondo non è tenero con un ex galeotto. Non è facile trovare un lavoro, e un alloggio, mentre i soldi finiscono. Perdipiù è costretto a rapportarsi con l‘ottuso agente della libertà vigilata che l’ha preso in consegna, un uomo caparbio, dalla certezze granitiche con cui non riesce a comunicare. Sarà proprio costui a scatenare la tragedia – o la liberazione, entrambe le ipotesi sono valide: sbatte Max di nuovo in galera, senza che abbia commesso alcun reato, per tre settimane, e intanto se ne va in vacanza. Qui, al colmo della rabbia e della frustrazione, Max capisce una volta per tutte come vanno le cose in questo mondo: per lui e per i suoi simili non c’è posto tra i regolari. Odia la società con tutto il cuore, ma “non per quello che mi aveva fatto, per quello che mi aveva costretto ad essere”: dunque la società gli fa guerra? E guerra sia.
Abbiamo visto moltissimi film che descrivono criminali, entrano nel loro mondo e ne fanno dei ritratti che vogliono essere verosimili: solitamente emergono dei personaggi laidi, eccessivi, comici e feroci, paradossali, pacchiani, violenti: tutti questi ingredienti, sapientemente miscelati dalla mano ferma del regista, compongono il fascino ambiguo e negativo dei criminali. Non è così in questo libro. Qui non siamo dentro uno dei vecchi film di Scorsese. In queste pagine non vi è traccia di cinismo: il cinismo contiene sempre una traccia di autocompiacimento, che è del tutto assente nell’estrema durezza, semplicità ma anche tenerezza del suo stile. Max Dembo è un criminale e basta, è un rapinatore, è stato un magnaccia, è spesso strafatto di droga, ma lo è senza romanticismi, senza inutili eccessi narrativi, senza piaggerie: è “contro”, ma lo è perché vi è costretto, perché non ha scelta. E così sono i personaggi che affollano il libro, comparse dure e disperate che vivono ai margini della sfavillante Los Angeles degli anni Sessanta. E lo accompagnano nel lungo viaggio senza ritorno che è la vita, talvolta lasciandoci anche le penne.
(Max Dembo e la rivolta del crimine)
E’ stato ripubblicato – non recentissimamente, ma qui non abbiamo l’ansia del tempismo esasperato – anche nella collana gialli de La Repubblica (comunque è sempre disponibile da Einaudi), quello che da molti è considerato il capolavoro assoluto di Edward Bunker: Come una bestia feroce. Ellroy l’ha definito “il più bel romanzo sulla rapina a mano armata che abbia mai letto”, ma è una definizione riduttiva: certo, la rapina a mano armata è ben presente nel testo, è l’unica cosa che il protagonista, Max Dembo, sa fare bene, ma questo racconto duro, spietato, su un ex carcerato che diventa un evaso, è anche la storia di un uomo in rivolta.
Il romanzo inizia con l’ultimo giorno di galera, l’ultimo di otto, interminabili anni prima dell’agognata libertà vigilata: “Seduto sul cesso senz’asse nel retro della cella, ero intento a lucidare le orribili scarpe dalla punta bulbiforme che venivano fornite a chi stava per uscire”; Max Dembo conosce tutto della galera, i codici di comportamento e di comunicazione, la violenza estrema, le divisioni razziali; per otto anni è stata tutto il suo mondo, la sua mancanza di futuro. Ora sta per uscire, ed è lacerato da sentimenti contrastanti: felicità, l’esaltazione di respirare finalmente l’aria pura, di vedere il cielo nella sua interezza, e non solo il ritaglio contenuto tra le alte mura del cortile del carcere; ma anche paura, incertezza di fronte a un mondo che teme di non riconoscere e dal quale teme di essere respinto. Eppure è determinato, è deciso a cambiare vita. Vuole chiudere con gli arresti, le celle, i pestaggi, gli anni interminabili dietro le sbarre. Tenterà, con tutte le forze, di fare parte di quella società che per tutta la vita ha rapinato e depredato: cercherà di essere un regolare, con un lavoro, perché è fermamente deciso a non tornare mai più in galera.
Tutta la prima parte del libro vede dunque Max Dembo impegnato a lottare come una belva per tentare di rifarsi una vita all’insegna dell’onestà e della legalità. Ma il mondo non è tenero con un ex galeotto. Non è facile trovare un lavoro, e un alloggio, mentre i soldi finiscono. Perdipiù è costretto a rapportarsi con l‘ottuso agente della libertà vigilata che l’ha preso in consegna, un uomo caparbio, dalla certezze granitiche con cui non riesce a comunicare. Sarà proprio costui a scatenare la tragedia – o la liberazione, entrambe le ipotesi sono valide: sbatte Max di nuovo in galera, senza che abbia commesso alcun reato, per tre settimane, e intanto se ne va in vacanza. Qui, al colmo della rabbia e della frustrazione, Max capisce una volta per tutte come vanno le cose in questo mondo: per lui e per i suoi simili non c’è posto tra i regolari. Odia la società con tutto il cuore, ma “non per quello che mi aveva fatto, per quello che mi aveva costretto ad essere”: dunque la società gli fa guerra? E guerra sia.
Abbiamo visto moltissimi film che descrivono criminali, entrano nel loro mondo e ne fanno dei ritratti che vogliono essere verosimili: solitamente emergono dei personaggi laidi, eccessivi, comici e feroci, paradossali, pacchiani, violenti: tutti questi ingredienti, sapientemente miscelati dalla mano ferma del regista, compongono il fascino ambiguo e negativo dei criminali. Non è così in questo libro. Qui non siamo dentro uno dei vecchi film di Scorsese. In queste pagine non vi è traccia di cinismo: il cinismo contiene sempre una traccia di autocompiacimento, che è del tutto assente nell’estrema durezza, semplicità ma anche tenerezza del suo stile. Max Dembo è un criminale e basta, è un rapinatore, è stato un magnaccia, è spesso strafatto di droga, ma lo è senza romanticismi, senza inutili eccessi narrativi, senza piaggerie: è “contro”, ma lo è perché vi è costretto, perché non ha scelta. E così sono i personaggi che affollano il libro, comparse dure e disperate che vivono ai margini della sfavillante Los Angeles degli anni Sessanta. E lo accompagnano nel lungo viaggio senza ritorno che è la vita, talvolta lasciandoci anche le penne.
2 commenti:
Bellissimo. Edward Bunker è un grande. Hai centrato l'arcano alla perfezione: è un uomo in rivolta, anche se non è una rivolta cosciente, meditata. E' un "vaffanculo il mondo" che lo porta a fare l'unica cosa in cui è davvero bravo: il rapinatore, il criminale. Però un suo codice etico Max Dembo ce l'ha. Non vuole rapinare i miserabili, i disgraziati. Bunker ha recitato nel primo film di Tarantino, Le Jene, lo sapevi?
Sì, cioè no. Quando è uscito il film non sapevo nulla di Bunker. Ora vorrei trovare la cassetta solo per rivedere lui.
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