martedì, ottobre 24, 2006


Artista di strada

di Loris Pattuelli


Bob Dylan è un busker alla rovescia, un artista che, se si escludono gli spostamenti, si esibisce quasi tutti i giorni dell’anno. Certo lui non suona per campare, ma molto difficilmente credo riuscirebbe a sopravvivere senza strimpellare il suo concertino quotidiano. L’impresa si chiama Never ending tour e consiste nello suonare sempre e dovunque. Stop. Non c’è altro da aggiungere. Solo così, a quanto pare, gli spiritelli della ricreazione possono scatenarsi come si deve e mantenere anche una certa dose di equilibrio. Qualcuno pensa che questa sia una roba da matti, qualcun altro è convinto invece che si tratti del vezzo di un artista molto geloso della propria libertà. Io propendo per la seconda ipotesi, ma questo poco importa. Per chi volesse saperne di più, si consiglia la visione di No direction home di Martin Scorsese, davvero una delle opere più belle di questo nuovo millennio.
Il
busker suona per le strade delle grandi città, Bob Dylan te lo ritrovi direttamente dietro l’uscio di casa. Io l’ho visto a Ravenna, a Bologna, a Modena, in piazza a Ferrara, al palazzetto dello sport di Casalecchio, alla festa dell’unità di Correggio. Adesso in America sta girando per centri commerciali, sale bingo ed altri luoghi di aggregazione e di svago. Giusto qualche giorno fa si è messo a dire che lui canta come Frank Sinatra, ma in realtà il nostro eroe è sopratutto un bravissimo DJ. Un DJ? Sì, proprio così, un DJ in libera uscita che si diverte a voltare e rivoltare tutto quello che pop e avanguardia neanche hanno mai sospettato esistesse.
Se il
busker riporta la musica in strada, lui riporta la strada nella musica. Giusto quello che stanno facendo i DJ oggi nel mondo. Ovviamente tutto questo non significa un bel niente, ma è esattamente proprio quello che succede. L’ultima volta che l’ho sentito cantare era, se non ricordo male, al palazzetto dello sport di Casalecchio di Reno. Roberto Dilani e la sua orchestra, giusto quello che ci voleva per una bella serata in stile romagnolo. La scenografia era una tenda da teatro con un cielo stellato vagamente natalizio. A tre-quattro metri di altezza c’erano un paio di faretti viola e un paio di faretti bianchi. E poi basta. Lui tutto vestito di nero e gli orchestrali in completo grigio. Moltissimo rock-blues con appena una spruzzatina di cose più svagate e campagnole. Voce tranquilla. Pochi giochetti di laringe e faringe, poche piroette sulla galaverna e sulla carta vetrata.
Bob Dylan è un
busker alla rovescia e nel suo ultimo disco, Modern Times, riporta tutto a casa. Ma non l’aveva già fatto quarant’anni fa con un album così intitolato? Sì, allora l’aveva detto, ma adesso (autunno 2006) si è deciso a farlo veramente. “Tutti vanno e anch’io voglio andare", dice la prima canzone del disco. La copertina mostra un taxi che attraversa una notte piena di luci.” Non sto parlando, sto solo camminando”, dice la canzone di chiusura. In mezzo ci sta un’ora abbondante di “tempi moderni”, tempi sfocati, veloci e confusi, tempi buoni giusto per dire che, per un busker alla rovescia, tutte è passato e tutto sta ripassando nella più semplice e pura delle mobilità.

venerdì, ottobre 20, 2006


Oh, quanto mi piace

Ho appena visto l’intervista a Oliviero Diliberto alle Invasioni Barbariche (La7).
Sono, i dirigenti dei Comunisti Italiani, particolarmente sensibili alla seduzione della televisione. Sono brillanti, scafati, salottieri. Quell’uomo cattivo e malevolo che è Gianpaolo Pansa, nella sua rubrica sull’Espresso dal titolo Bestiario li sbertuccia spesso. Rizzo lo chiama “il Pelatone”, ma una volta ha colto nel segno (spesso i malevoli colgono nel segno, vi è anche del genio nella malevolenza), quando li ha coperti di sarcasmo perché criticavano la presenza di Bertinotti a un dibattito alla festa di AN, proprio loro, che sono sempre in televisione a godersi la mondanità.
Diliberto è intelligente, colto, spiritoso. Il cosiddetto calcolo politico è chiaro: la televisione è “un mezzo” importante in Italia, e bisogna usarlo per acquisire visibilità, e quindi consensi. Però si intuiva, a pelle, il piacere di essere intervistati, vezzeggiati da quella conduttrice leggera e brava che è Daria Bignardi, si vedeva il narcisismo – normale, umano – che riceveva nutrimento e gratificazione.
E’ così la storia, è così il mondo, e la politica: televisione, mondanità, salotti, criticando ferocemente gli avversari e poi andando insieme nei locali “in” a bere e scherzare.
E’ così che va, per tutti.

Ku... Ku... Ku... Kultura?!

Amore Mio carissimo, ti ho chiesto, se hai bisogno di cacio e cavallo, di caciotta etc ma non mi hai risposto. Senti, io ho chiesto in'attesa tre caciotti una da 2 chili e due da un chilo una me la volevo tenere io.
Mà sono tentato di mandarla a mio fratello S. Non so il perché, so che può essere provocatorio, mà se i nostri figli ce la portano per voi vi teneti quella di 2 chili e quella da un chilo, non so se può manciare, ma se i nostri figli ce la portano ci danno i miei saluti, e questo pensiero che ce lo mando io. Se i nostri figli non ce la vogliono portare mi resta il mio pensiero e basta tienetimo accorrente di quello che fati. In'attesa di vostri nuovi e buoni riscontri smetto augurandovi un mondo di bene e inviandovi i più cari Aff. Saluti, abbracci, baci, e la Santa Benedizione di Dio. Vi benedica il Signore e vi protegga!

(Uno dei "pizzini" di Bernardo Provenzano, pubblicato su Specchio de La Stampa)

sabato, ottobre 07, 2006



La Dalia Nera

The Black Dahlia, l’ultimo evento hollywoodiano, è un film fatto in larga parte di primi e primissimi piani. In questo è alla moda, perché sembra che il pubblico moderno sia vorace dei visi delle star, ultrafotografate dai giornali di tutto il mondo, riprese dalle televisioni, intervistate, spettegolate. Così, di Scarlett Joahnnson, che ha in effetti un viso molto interessante, con una bocca esagerata che sembrerebbe tutta naturale, conosciamo la trama della pelle, alcuni piccoli foruncoli mascherati dal trucco e dalla luce, i capillari degli occhi. E Mia Kirshner, la Dalia, ha occhi straordinari; anche dei due attori, Aaron Eckhart e Josh Hartnett, conosciamo nel dettaglio le rughe, i piccoli sorrisi, i peli sottopelle della barba. Altri due visi interessanti, va detto, visi plastici, non-territoriali, in cui ciascuno di noi può vedere l’espressione che preferisce, può proiettare il suo sogno segreto.

The Black Dahlia è anche un film sulle sigarette. Fumano tutti come dei turchi, accendono sigarette di continuo, con cadenza ossessiva. Ricorda l’ossessività demente di Carver con l’alcool, quando i personaggi si versano in continuazione da bere. Alla fine della visione si prova un vero e proprio disgusto per le sigarette, sembra di avere il mal di testa mattutino del fumatore incallito, e in questo senso, forse, è un film anti-fumo

The Black Dahlia è un film complicato, come lo è il libro di Ellroy da cui è tratto. Ma il libro ha a disposizione centinaia di pagine per sbrogliare le matasse, per aiutarci a ricordare i nomi dei personaggi, per guidarci nel cammino tortuoso delle indagini. Il film ha solo due ore (per di più da conciliare coi primissimi piani hollywoodiani), e questo lo porta a correre a perdifiato, a comprimere con violenza le storie, gli indizi, e ci perdiamo per strada. Ogni tanto brancoliamo, perché non sappiamo più chi è il tale, da dove sbuca fuori e dove diavolo va, e le storie diventano convulse, sembrano esplodere e poi svaniscono nel nulla.

The Black Dahlia è un film che vorrebbe essere maledetto, come lo è il libro di Ellroy da cui è tratto. Si impegna a fondo per esserlo, per mostrare i volti oscuri dei personaggi, per chiuderci sotto la cappa soffocante del crimine e della corruzione che tutto contamina e infetta, come nei romanzi di Ellroy. Ma è pur sempre un film hollywoodiano, e quindi deve avere, al suo interno, un navigatore americano buono, onesto, che rappresenti il Bene, come vogliono le regole; ma il navigatore dei libri di Ellroy è sempre a sua volta corrotto, disonesto, piegato dal male, e quindi vi è come una schizofrenia di fondo, una voglia proibita di sporcare il navigatore del film, di andare contronatura, col risultato di creare situazioni e stati d’animo poco credibili, fine a se stesse.

The Black Dahlia è curato nei dettagli, gli anni ’40, le auto, i vestiti, la fotografia, e si vede lo stile di quel grande regista che è Brian De Palma, ma se qualcuno va a vederlo con la speranza di scoprire che, una volta tanto, i grandi noir girati dai registi tosti di una volta sono ancora possibili, è destinato a uscire con un velo di delusione nel cuore, come sempre.

giovedì, ottobre 05, 2006


Pacchi (ma non postali)

Una volta, tanto tempo fa, un mio amico ed io comprammo un disco di Frank Zappa appena uscito. Cioè, lo comprò lui, che era un grande appassionato di situazionismo, e stravedeva letteralmente per il vecchio Frank. Anch'io, ovviamente, lo amavo, specialmente per alcuni dischi che trovavo - e trovo tutt'ora - stratosferici, come Hot Rats, per esempio; dunque ci precipitammo a casa e mettemmo l'ellepi sul piatto del giradischi: fu uno shock: si sentivano solo dei suoni disarticolati, qualche pernacchia, urletti, risate. Era troppo anche per un situazionista di pura razza. Un "pacco" spaventoso, non tanto per i rumori, che potevano avere una loro valenza provocatoria, ma per durata: dopo non più di dieci minuti (cinque per facciata) era già terminato. E costava come un ellepi normale, era questa la beffa! Dopo una serie di maledizioni, però, il mio amico scoppiò a ridere. Da una pellaccia come il vecchio Frank si poteva anche accettare questo sberleffo. Così lo infilò nello scaffale, che conteneva più di trecento LP, e non ci pensò più.

In questi giorni c'è un altro pacco spaventoso in giro, ed è il libro di Veltroni. Non tanto per i contenuti, o la scrittura, che non conosco e dubito conoscerò mai, ma per la cosiddetta foliazione: sono 150 pagine, ma con margini molto larghi, che in una impaginazione normale si ridurrebbero di circa la metà. Si tratta di un racconto dunque, e neanche tanto lungo. Ma il bello è che costa 16 euro, come un romanzo normale.

Un'altra beffa, una sorta di bariccata (Baricco è un altro grande specialista di romanzi finti a prezzo intero, caratteri grandi, pagine di carta grossa, all'apparenza libroni, in realtà racconti). Ma: col vecchio Frank potevamo ridere, perdonare, stare al gioco.

Ma con Veltroni?