
Ultima puntata ieri sera di Anno zero, prima della cosidettra “pausa” estiva, cioè il vuoto assoluto fatto di telefilm visti e rivisti, repliche di trasmissioni-trash, il tutto in una televisione pubblica per la quale paghiamo fior di canone. La puntata era sull’ambiente, i disastri, le rapine, l’apatia. Angosciante. Certo, Santoro di solito spinge, estremizza, enfatizza: però era impressionante il Po in secca col Lambro che fa confluire liquami immondi che poi finiscono in mare, scarichi prodotti da una metropoli, Milano, che pretende di insegnare la modernità e non ha uno straccio di depuratore. Poi la cascata delle chiacchiere, il volume denso del parlato: tutti discorsi giusti, condivisibili: faceva impressione Rutelli con la sua tecnica raffinata di neodemocristiano: dare ragione all’intervistatore, riconoscere l’entità del disastro, l’assurdità di un’inedia politica che tutto fa marcire: poi l’incalzare del positivismo dei “piccoli passi”: insomma, la situazione è drammatica, però facciamo, proviamo, ci diamo da fare. Una tecnica dialettica collaudata che conquista la complicità dei telespettatori, che dicono “ehi, come parla bene, ha ragione”; poi però arrivava Dario Fo che, fuori dagli schemi, diceva accidenti è da quando ero piccolo che sento parlare di “situazione insostenibile” per gli scavi, le trivellazioni, e siamo ancora qua; poi arrivava Sgarbi abbaiante, che usava parole come “inculati” e via discorrendo; e Marco Travaglio, con la sua sferza, lucido, tagliente; l’unico che diceva cose concrete era il figlio di Dario Fo, Jacopo, che ha raccontato di un gruppo di acquisto per i pannelli fotovoltaici; eppure... eppure erano chiacchiere, parole liberate, retorica. Intanto le parole di Dario Fo - parole, parole nel coro - si abbattevano come una scure sul cicaleccio: è da una vita che si dicono sempre le stesse cose, che non si può andare avanti, eppure si va avanti, si affonda, e si sprofonda.