mercoledì, settembre 28, 2005

Aggiornamento dall'Infernotto

Grazie agli amici che mi sostengono, grazie di cuore. Queste sono le cose per cui vale la pena tenere un Blog.
Intanto il Fuoco sembra in "remissione": le piaghe sono diminuite notevolmente, anche se mi restano un paio di dolori perforanti a una spalla e al collo; ma questi dolori, dicono i medici, possono protrarsi anche "per mesi"; che allegria! Intanto, per completare in bellezza, mi è venuta una forma influenzale con bronchite e febbre alta. Come dice il proverbio piove sempre sul bagnato.
Nei fumi della febbre mi sono "sparato" i due dvd di Alexander; il film mi ha confermato il mio scarso amore per Oliver Stone: come al solito esagera con le atmosfere allucinate, con la discesa nel lato oscuro dell'anima, in tre ore e oltre di primi piani, ritmi lenti, anzi, bloccati, poca azione, e dialoghi piuttosto didascalici, pretenziosi e superficiali. Forse, come ho letto, ha fatto delle ricerche meticolose, ma un film ha delle esigenze, deve scorrere, deve anche divertire. E poi, onestamente: come può essere credibile il vecchio Anthony Hopkins, per quanto vecchio e con la barba bianca, nei panni del Grande Faraone d'Egitto?

venerdì, settembre 23, 2005

Cronache dall’Infernotto

La fiducia nel domani era ben riposta. Oggi è un altro giorno, un antidolorifico adeguato, ovvero abbastanza potente, ha parzialmente risolto il problema del dolore. E’ entrato in azione dopo quasi due ore dall’assunzione, ed è rimasto attivo per quattordici, quindici ore. Nessun farmaco ha simili caratteristiche, a parte gli oppiacei. Infatti sul “bugiardino” ho letto che gli effetti collaterali sono “ipersensibilità agli oppiacei”. Per ora ne prendo uno al giorno, mentre la posologia sarebbe tre al giorno, che corrisponde a essere “fatti” dalla mattina alla sera. Ovviamente la dose dovrà essere aumentata, presto dovrò passare a due, perché ad ogni nuova somministrazione perde potenza; così sono i farmaci, così sono le droghe. I sintomi comunque sono quelli classici dell’oppio: una sensazione strana sulla lingua, testa pesante, anzi, pesantissima, al mattino, una certa euforia che va e viene, fame, apparente leggerezza. Chi l’avrebbe mai detto, un po’ di stupefacente sotto controllo medico?
Intanto, mentre ci curiamo, noi abbiamo due atteggiamenti possibili da assumere nei confronti delle malattie pesanti, gravi o acute: uno consiste ne lanciare maledizioni ed epiteti, affrontarle con rabbia, con odio; “non la spunterai su di me, maledetta”, ringhia il malato. Se in televisione passano le facce di personaggi che disprezza, augura loro le stesse sofferenze che sta provando lui. Bene, questo è esattamente l’atteggiamento che vuole il demonietto. E’ il senso della sua esistenza: deve provocare la rabbia e l’odio, perché questi sentimenti minano le forze, indeboliscono la tempra e sono alla base della malattia. Questo atteggiamento è la vittoria dello spiritello del fiume.
L’altro modo di porsi è combatterla con calma, senza rabbia, perché qualcosa ha ceduto, si è spezzato, incrinato, perché c’era debolezza, fragilità, malessere. La malattia fa riflettere su se stessi, sui nostri limiti, fa scendere nel profondo, scioglie il duro smalto delle difese, abbatte il reticolato della paura. Ci fa conoscere il lato oscuro di noi stessi, ma anche quello luminoso; ci fa accettare, ci fa amare. E con noi, gli altri. La sofferenza ci pone nei confronti degli altri con meno durezza, con meno ostilità, con meno invidia, perché questi sentimenti sono stati ripuliti, filtrati dalla malattia.
La malattia può accendere la speranza, ed è uno dei grandi misteri di questo mondo, come la vita e la morte.

giovedì, settembre 22, 2005

In diretta dall’Inferno

Non proprio dall’Inferno, non dal Grande Salone, non voglio gloriarmi, però dall’anticamera, dall’Infernotto forse sì. Stamattina, al Pronto Soccorso, mi è stato diagnosticato il temibile Herpes Zoster, comunemente detto “Fuoco Sacro”, o “Fuoco di S. Antonio”. E’ esploso in seguito a una cura intensiva a base di cortisone che mi ha abbassato le difese: sono spuntati alcuni foruncoli, che si sono estesi e ingrossati, poi è arrivato un dolore lancinante, che aumentava di continuo, alla spalla sinistra. I medici, in un primo momento, non hanno collegato i due fenomeni, e hanno pensato alla classica cervicale. Ma è lui. E’ il diavoletto, forse è lo spiritello di cui parlano i buddisti, creaturine cattive che vivono soprattutto lungo i fiumi, e guizzano sulla superficie dell’acqua in attesa di una preda idonea. Io abito sul fiume Reno, quale ospite migliore? E’ il demonietto che ha fatto nascere antiche leggende popolari, perché nessuna malattia è più dolorosa, più devastante a livello sintomatico di questa. Il Fuoco è puro dolore: è un virus, diciamo il virus della varicella riciclato, che aggredisce alcuni nervi; provoca un dolore che non dà mai tregua, mai, ai nervi, e, dopo qualche tempo, alla pelle. Non ha un briciolo di pietà, né di giorno né di notte. Oggi gli antidolorifici concedono pause di qualche ora, attenuano il dolore, anche se ad ogni somministrazione l’effetto diminuisce, come tutte le droghe del resto; un tempo, quando non esistevano gli antidolorifici, il dolore poteva condurre alla follia: per questo in questa malattia è stato individuato qualcosa di maligno, di diabolico. Come può esistere un simile accanimento? si sono chiesti i nostri trisnonni.
Il dolore piega il corpo e l’anima, trafigge e demolisce le difese. Per due notti non ho quasi dormito, qualche pisolino mi è stato concesso dagli antidolorifici. Lo ascolto, il dolore: è come una vibrazione continua, come un suono che attraversa i nervi. Ho pensato che non è giusto, che è assurdo che si debba soffrire così. Ma il dolore ha qualcosa di allucinogeno, di psichedelico, è già stato scritto. Altera le percezioni, plasma i ragionamenti secondo una logica stupefacente. Così ho iniziato a pensare che invece è giusto, che devo pagare per qualcosa, per qualcuno. Ho percorso all’indietro sentieri della mia vita, ho trovato piante spinose, pianure desolate, pozzi inariditi. Ho rivisto creature che hanno sofferto per causa mia, che hanno riportato danni dalle mie pazzie; e ho pensato che è giusto che paghi, che mi si offre una possibilità di riscatto; oppure che, semplicemente, devo raccogliere la sofferenza che ho seminato. Allora alzo la schiena, guardo dritto in faccia il mio castigo. Ma poi di nuovo mi piego, mi spezzo, e crollo: mi lamento, mi abbandono ai gemiti, come un animale ferito.
Quanto durerà? Non vi è un decorso perfettamente definito, “dipende”; certamente ne avrò per giorni e giorni. Intanto aspetto l’ora dell’antidolorifico, della tregua che durerà forse tre ore, e supplico, prego. Aspetto domani, perché domani è la speranza, è la fiducia nel futuro.

martedì, settembre 20, 2005

Anch’io la mia intermittenza

Ho sempre considerato il famoso episodio della madeleine della Ricerca con una sorta di meraviglia, di stupore: com'è possibile una tale sensibilità, rivivere con emozioni così intense, persino fisiche, il ricordo di un passato lontano? Ho anche tentato, a più riprese, di inseguire a mia volta quell’esperienza, mangiando e bevendo cose che amavo da ragazzino, ma restavo immobile, confuso, perplesso, con una frittella di farina di castagne in mano, col latte e cacao, ascoltando un rumore di fondo che non arrivava, tentando di attivare un meccanismo bloccato. Niente da fare. Se vi erano intermittenze anche nel mio cuore, esse non uscivano dallo stato di sonno.
Poi, l’altro giorno, a Torbole sul Garda, con la mia signora siamo andati alle "Busatte", località che si trova sopra una delle montagne che circondano il lago, per camminare lungo un famoso sentiero finalmente rimesso a nuovo, attrezzato con una serie di grandi scale di metallo – calate con gli elicotteri tra le polemiche per le ingenti spese – che collegano vari dislivelli. Nello spiazzo di un centro sportivo era in atto un raduno di vespisti, ragazzi che coltivano la passione per questo italianissimo motociclo degli anni Sessanta. Si erano accampati con le tende poco più in là, sotto un bel cartello "No Camping". Non appena abbiamo iniziato la salita, alle nostre spalle, nella tendopoli, è accaduto qualcosa. Una musica è emersa con prepotenza e si è diffusa tra i boschi e le montagne. Mi sono immediatamente bloccato, poi ho guardato verso la tendopoli: i ragazzi, in jeans, capelli lunghi, arrotolavano sacchi a pelo, sedevano sul prato in cerchio, a gambe incrociate. La musica era l’attacco, inconfondibile, di Woodoo Chile di Jimi Hendrix. Ed è accaduto: un colpo violento, un brivido che si è diffuso dalla nuca alla schiena, alle braccia, alle gambe: sono precipato nel 1969, nel 1970, quando ascoltavo Jimi, mi vestivo come Jimi, portavo i capelli come Jimi e gli amici mi chiamavano Jimi; ma non è stata un’operazione della memoria, no, si è trattato di un processo globale, fisico, che ha coinvolto la respirazione, il battito del cuore, la vista, l’olfatto, l’udito, l’energia muscolare: ho rivissuto tutta la forza, l’ottimismo, la fiducia di quei tempi, di quell’età; sono uscito da questo corpo e da questa mente, da questo sistema nervoso, ed è stato come vivere l’esperienza della trasmigrazione descritta da Anne Rice, la grande scrittrice dark di New Orleans, nel Ladro di corpi: sono uscito da questi limiti, da questo peso, da questo presente per rientrare in una dimensione perduta, bruciata, eppure per un attimo completamente ritrovata. E ho capito, con straordinaria intensità, che cosa ha provato Proust. Non mi era mai accaduto: avevo qualche sospetto, qualche vago presagio di cosa potesse significare questa avventura, ma nessuna vera certezza. Non credevo – non speravo - che potesse accadere veramente. Invece è accaduto e, anche se forse non capiterà mai più, mi ritengo fortunato.

sabato, settembre 17, 2005

L’uccello rapace della coazione a ripetere

Due vicende, che occupano grande spazio sui media, sono a mio avviso estremamente deteriori, negative o addirittura distruttive per l’immaginario popolare.
La prima è il ritrovamento del cadavere di una ragazza scomparsa tre anni fa, in fondo a un lago. Il ritrovamento, afferma perentoriamente il principe dei media, la TV, è avvenuto grazie a una “sensitiva”. Ora anche la madre di una bimba scomparsa nel nulla, rapita, pare, dagli zingari, ha deciso di rivolgersi alla “medium”. Scorrono le immagini sul video della “sensitiva”, la immagino seduta a un tavolo che sparge i tarocchi, che regge in mano il pendolino, mentre di fronte a lei una pensionata aspetta con aria ansiosa. Ora io non mi sento di affermare che non possano esistere persone dotate di sensibilità particolari, in grado di sentire voci o presenze a noi ignote, di avere presagi, e nemmeno posso affermare il contrario. Chi sono io per avere questa sicumera? Però questa operazione giornalistica, enfatica, acritica, spazza via di colpo una campagna educativa contro i santoni, i maghi, le fattucchiere, i Do Nascimiento vari che spolpano vivi i poveracci, i disperati, gli ingenui. Si prevede un ritorno massiccio verso questi personaggi, che sono allegramente, totalmente sdoganati. Milioni di euro freschi freschi entreranno nelle loro capaci tasche, grazie alla TV, che ormai non ha più limiti nella caduta a picco del proprio target culturale.
L’altra vicenda è costituita dalle foto di Kate Moss che sniffa cocaina. C’è una identificazione molto subdola da parte degli adolescenti verso questi personaggi alla moda, che simboleggiano il successo, i soldi, la bellezza, ma hanno anche un lato oscuro, decadente, autodistruttivo, che si aggancia in maniera sottile e maligna agli istinti autodistruttivi dell’adolescenza. Le Kate Moss, le Asia Argento, non sono delle artiste, delle grandi attrici, dei personaggi con un vero spessore psicologico; in passato vi sono stati altre icone che portavano con sé aure autodistruttive, Janis Joplin, Jim Morrison, Kurt Cobain; ma lo loro arte ne riscattava l’infelicità profonda, la fragilità, il fascino della dissoluzione; il “messaggio” artistico, la loro forza creativa era più potente delle radiazioni della non-vita. Le Kate Moss non esprimono nulla di tutto questo: sembrano in prestito in un mondo duro e spietato, al quale reagiscono col compiacimento della disperazione, della malattia: insultano il mondo con la loro bellezza, il loro dolore, la solitudine che si sprigiona da quelle foto sgranate, coi capelli biondi sulla faccia, la minigonna, la moda, le rockstar, la coca, il nulla, il Nulla senza riscatto che abbraccia l’Adolescenza con le sue ali nere.

venerdì, settembre 16, 2005

Alien

“I depositi d’acqua contenevano una larva che, una volta entrata nel corpo umano, cresceva fino a diventare un verme a volte lungo fino a un metro che nel giro di un anno cercava di uscire da qualche parte attraverso la pelle, creando un bubbone doloroso e purulento. Occorreva incidere il bubbone, andare a cercare la testa del verme ed estrarlo dalla carne pochi centimetri al giorno, facendo attenzione a che non si rompesse, perché questo portava all’avvelenamento e alla morte sicura del paziente. I barbieri di Bukhara erano diventati grandi esperti di questa operazione”.

Buonanotte signor Lenin
di Tiziano Terzani
Tea

giovedì, settembre 15, 2005

Non pago cosa???

Sono allergico agli spot pubblicitari. Sono così stupidi, volgari, sopra le righe, ripetitivi, vili e conformisti che quando arrivano, rutilanti e ossessivi, cambio immediatamente canale, o spengo dalla disperazione. Però ogni tanto ne capita uno che mi strappa un ghigno. Quello di una compagnia telefonica con Valeria Marini per esempio: questa signora, che fingerebbe di fingere di essere una svampita totale (perché in realtà lei ha sempre protestato di possedere una intelligenza "normale"): non riesco a inquadrarla come castellana, perché sembra l’opera vivente di un artista surrealista; nello spot agita un telefonino e dice delle cose sulle telefonate, poi spunta Claudio Amendola, che è vicino a una limousine con dentro Cecchi Gori (che deve essersi prestato per fare un favore alla sua amata) che ci guarda col suo faccione gonfiato dal famoso sorriso cecchigoriano, una cosa tra il congelato, il mummificato, la maschera, l’infantile, il carnevalesco e chissà che altro; Amendola grida delle cose sulle telefonate poi a un certo punto viene fuori con "e non paghi le tasse fino al 2020"! A questo punto Cecchi Gori va giù di testa, in una versione s’illumina d’immenso, in un’altra parte a razzo, chiaramente a fare l’abbonamento che contiene questa frase magica: "non paghi le tasse fino al 2020!"
Come si fa a non ridere?

martedì, settembre 13, 2005

O no?

Sul manifesto degli anni Settanta c’era una rubrica che aveva questo titolo. Conteneva commenti, segnalazioni, curiosità che si prestavano a varie riflessioni, letture tra il problematico, l’ironico, il paradossale; anch’io vi ho pubblicato alcuni corsivi. Mi piacerebbe fare la stessa cosa su questo sito. Intanto ho selezionato un testo:

Fare la rivoluzione è facile

“Fino a qualche fa guardavo molta Tv e giocavo molto alla play station. A un certo punto mi sono sentita in gabbia. Quell’oggetto stipato in un angolo della stanza dominava la mia vita. Vivevo una realtà grande grande in un quadrato molto piccolo.
La mia rivoluzione è iniziata da lì. Mi sono accorta che i miei sensi erano in parte intorpiditi, in parte sovraeccitati. La testa mi sembrava diventare una parte sempre più estranea dal resto del corpo. Il cuore stesso si adattava a quei ritmi e pulsava sempre più forte, sempre più forte. Inizialmente era eccitante ma a un certo punto la tachicardia arrivava anche a Tv spenta. E quando arrivava di notte mi sentivo esplodere. Nel silenzio della notte avere la tachicardia è peggio del peggior incubo.
La play station mi aveva creato una situazione di dipendenza. Occupavo la Tv ogni spazio della mia vita, gran parte del mio tempo sottratto al sonno e alla scuola. Ho capito che era inutile dirsi: domani smetto, domani smetto. Così non solo non smettevo di giocare alla play station ma diventavo sempre più frustrata. Ero diventata un’inetta. Odiavo quell’essere che era diventato privo di volontà. Essere privi di volontà è la cosa più terribile che possa capitare a una persona.
Ho distrutto la Tv. Ho distrutto la play station. A casa mia c’è ancora un martello piantato nella Tv. E’ la più bella opera d’arte che mi sia riuscito di creare nella vita. Un martello piantato nella Tv. Il martello pneumatico che la Tv per anni ha rappresentato nella mia esistenza è stato interdetto da un martello comune. Allora ho capito che cos’è una rivoluzione.”

Io sono un black bloc
Autore (probabilmente collettivo) anonimo
Derive Approdi 2002

martedì, settembre 06, 2005

Alti studi

"La cultura non serve a niente, solo a farsi delle grandi scopate"
Domenico Contestabile, deputato di FI. Che abbia ragione?

lunedì, settembre 05, 2005

A chi la Padania?

La Padania: è una terra ricca, fortemente sfruttata, una terra che produce enormi quantità di prodotti agricoli per la comodità della pianura, industrializzata oltre il possibile, un reticolo di strade e autostrade, ingorghi quotidiani, un inquinamento atmosferico pari a quello della piana di Los Angeles, dove gli scrittori americani descrivono una nube di smog grigio-vermiglio che la ricopre ad ogni ora del giorno e della notte; la Padania ha un clima umido, con un caldo opprimente, aggressivo in estate, infestata da qualche anno di terribili zanzare tigre, che rendono impossibile un pomeriggio di lettura in giardino, e frequenti temporali di tipo tropicale, che sradicano anche grossi alberi e scoperchiano case (al vostro affezionato blogghista l'inverno scorso è caduto un cedro secolare sulla Berlingo appena comprata), e freddo umido, rigido e perfido, in inverno. La Padania gode ancora del mito di grande ospitalità (per la parte emiliana almeno) e simpatia, ma la grande immigrazione e un degrado dilagante stanno mettendo in crisi anche questa qualità.
Non è facile la vita in Padania. Negli ultimi tempi è peggiorata. Negli uffici pubblici (poste soprattutto) le file sono chilometriche; i supermercati e gli ipermercati, enormi, sono gremiti; i paesi e le cittadine sono strangolate da un traffico senza pietà; le case costano cifre orrende. E poi ci sono i leghisti in Padania, che la reclamano per sé, con un parlamento padano, le miss padane, l'industria padana, i danér padani. Allora perché non dare loro la Padania, almeno la parte lombarda e un po' di quella emiliana, con le zanzare tigre, il caldo umido, l'ingorgho di strade e autostrade? Talvolta penso a un muro alto otto metri sormontato da filo spinato e torrette con mitragliatrici, da dove buttare dentro i leghisti, con piena libertà di costruire altre strade, il loro parlamento, i ducati padani, la lingua padana, e soprattutto animata dai loro amatissimi leaders. Questi pensieri de-evoluti mi vengono quando vedo i leghisti in tv, onnipresenti: quel ministro calderoli per esempio, con quella ghigna storta sul faccione: sappiamo che "nella villa di Bergamo" aveva una tigre, che mostrava con orgoglio agli amici; poi un giorno si è mangiata un cane, e allora "l'ha messa via"; dove l'ha messa? L'ha liberata in Padania? Adesso ha due lupi, sono più tranquilli. Magari in futuro ci metterà un rinoceronte e un paio di coccodrilli. Non è la loro terra questa? Dobbiamo averli per forza tra noi questi personaggi, con le nostre tasse dobbiamo pagare loro la povera tigre, gli sventurati lupi? Se circondassimo la loro repubblichina padana con un muro corazzato li potremmo lanciare dall'alto (tanto sono infrangibili, rimbalazano) e non vederli mai, mai, mai mai più.

venerdì, settembre 02, 2005

Al di là e al di qua
Stamattina alle otto, su Rai 1, il neo direttore di Panorama presentava l'ultima iniziativa editoriale del giornale, cioè la pubblicazione in sei volumi, allegati al settimanale, dell'Enciclopedia Dantesca a cura dell'Istituto Treccani. Il direttore, prima di inziare a imbrodarsi di brutto, ha detto subito: il fatto che questa iniziativa comprenda una casa editrice come la Treccani, che è "al di là di ogni sospetto"... e poi via a imbrodarsi, non lo facciamo per le vendite ma per portare a casa dei lettori un'opera importante, cioè loro sono spinti solo da nobili impulsi eccetera; a un certo punto, per imprimere maggiore enfasi, ha ripetuto "perché la presenza della Treccani, che è al di là di ogni sospetto"... Questo insistere sull'al di là di ogni sospetto mi ha colpito: che il direttore avesse ben chiaro che il suo giornale, uno dei più tremebondi fogli della destra berlusconiana, si pone saldamente "al di qua"?

giovedì, settembre 01, 2005

Ahi

Se ne parla: a quanto pare rischiamo di ritrovarci Afef Tronchetti Provera candidata alle elezioni politiche, nelle liste del centrosinistra. O meglio: nell'accogliente foresteria delle truppe mastellate, che non sono di sinistra, né di destra né di centro, ma un coordinamento di lobby tribali, club di faccendieri vari. Forse la povera Afef, che è una delle più sfarzose castellane d'Italia, si sente sola, inutile: la sua vita deve essere vuota, senza contenuti; perché non vado in Parlamento? si è detta, posso fare delle cose utili. Posso combattere i "nuovi razzisti". Posso oppormi al "sistema", come dice anche Ricucci marito scalatore della neocastellana Anna Falchi. Con dei simili, nobili propositi, le porte si aprono, si spalancano. E sono tutti entusiasti: i DS, i margheriti, persino una signora di Rifonda, che probabilmente frequenta il suo salotto.
Io però non riesco a farmi passare un dolore intercostale che mi si pianta nel costato ogni volta che penso alla faccenda. Sono prevenuto? Sì, lo sono, come posso negarlo. E un pensiero vago, algebricamente impreciso, astrologicamente confuso, di non votare per nessuno, per la prima volta nella mia vita, sta prendendo una consistenza sempre più sinistra.