giovedì, dicembre 28, 2006


LOVE

di Loris Pattuelli

Hey, è uscito Love, il nuovo disco dei Beatles. Fossero ancora in attività, questo sarebbe il loro bigliettino di auguri per il nuovo millennio. Purtroppo due non ci sono più e gli altri due sono soltanto la metà di un quartetto. A realizzare la bella impresa ci ha pensato il quinto Beatle, George Martin, e ha fatto proprio bene.
La musica popolare, come tutti sanno, è un affare di dischi e non di spartiti, ed è al vinile e ai CD che fanno riferimento tutti quelli che vogliono interpretare le musiche di qualcun altro. Succedeva con il jazz, è successo con il rock, succede anche adesso nell’era di internet. Questo è lo stato delle cose: lo studio di registrazione e il computer sono a tutti gli effetti degli strumenti musicali.Gli interessati a questo gioco non dovrebbero dimenticarlo mai.
Grazie a una trovata del Cirque du soleil, Sir George si è rimesso a fare quello che faceva quarant’anni fa con i Beatles. Da bravo alfiere dell’artigianato estatico, ha preso in mano i nastri originali, i demo, le versioni alternative, e ha incominciato a remixare, a lavorare di taglia-e-cuci, a ripulire, a rimasterizzare, a rimescolare tutto.
Se l’intento era quello di ricreare il repertorio dei Beatles, bisogna proprio dire che è stato bravo. Love, infatti, non è soltanto il nuovo disco di John , Paul, George e Ringo, ma è proprio quello che i quattro di Liverpool avrebbero fatto oggi. Chiuso nei suoi studi di registrazione, il nostro eroe ha realizzato una impresa non molto diversa da quella che sta portando avanti Bob Dylan con il suo Never ending tour.
Etichette di comodo a parte, questo è il rock’n’roll finalmente in cielo con tutti i diamanti, diciamo pure anche la piccola arte della ricreazione e del cantar leggero. Si tratta di prendere il mondo e di rivoltarlo come un calzino, di trasformarlo in una specie di preghierina buona per tutti i santi giorni del calendario. Proprio come facevano un tempo Brian Wilson, i Grateful Dead e Frank Zappa, o come ogni tanto ancora capita ai jazzisti meno ordinari e ai DJ più appassionati.


Riconosci questo giro
così facile e gaio:
è solo onda, flora,
ed è la tua famiglia!


Rimbaud

mercoledì, dicembre 27, 2006


Musica festiva

In questi giorni la colonna sonora in casa mia, e in auto, è composta quasi unicamente da questo pezzo, che fa parte di un disco richiesto sotto l’albero da mia figlia di 12 anni. Appena finisce, torna su. Dalla mattina alla sera.

Yeah Uomo.... c’è qualcosa che non và uomo...NON C’E’ NESSUNO! Remix Ritornello: Perchè vedi un pò di anni fa vedevo mamma e papà dentro una scatola dietro due psichiatri ed ero solo un bambino MondoMarcio: Ma sul serio! ...un bambino!! MondoMarcio: Ma sul serio! e dicono capita ma non spararti frà sfogliami l’anima e vedrai che c’ero cosi vicino MondoMarcio: Ma sul serio! ....cosi vicino!!! Fanculo te, Fanculo te, Fanculo questo posto non mi è ancora chiaro il motivo per cui sono qua insieme a tutti questi stronzi che non conosco ho sentito qualcuno parlare di insanità: mentale forse qualcuno vorrà fare male a un frà ma quale peccato ho commesso per meritare di stare qua ad aspettare come un animale in cattività mi fa male la stamina sale carica il peso nella mia testa bro tutta questa gente che entra resta la prendo per non invitati alla mia non festa qualcosa che non voglio e che la mia anima detesta ma appena guardo il nome sul foglio risponde al mio prossimo step: mio Dio! volete sapere di come hanno ucciso mio zio di come pà faceva stare male mà di come mà beveva quando stava fuori città il mio cervello và giù e giù ho risposto alle vostre domande per ore ormai non ce la faccio più datemi un paio di minuti prima di trasalire fatemi rinsavire no bro fatemi uscire!! Ritornello: Perchè vedi un pò di anni fa vedevo mamma e papà dentro una scatola dietro due psichiatri ed ero solo un bambino MondoMarcio: Ma sul serio! ...un bambino!! MondoMarcio: Ma sul serio! e dicono capita ma non spararti frà sfogliami l’anima e vedrai che c’ero cosi vicino MondoMarcio: Ma sul serio! ....cosi vicino!!! yeah, dat's right uomo DAAM, quando quelle persone sono alla tua porta DAAM, E sai che sono qua apposta per prendere te E trasportarti in un posto dove il sole non c'è! Che sia l’ospedale o la galera non rivedrai i tuoi genitori stasera perciò chiudi gli occhi e pensa a com’era mamma in cucina che prepara qualcosa di caldo ma ora ho un compagno di cella che non sta stare calmo si piscia addosso solo perchè mamma non c’è e sai che se le guardie arrivano puliranno anche te la brutta vita, quella che non vivi senza spacciare frà io ho dato quattro anni all’assistenza sociale sarò preciso io sono un caso aperto da quattro anni e una corte di quattro stronzi non mi ha ancora pagato i danni Che hanno causato alla mia mente Vedi questa gente, pensa che ti basti un assistente a risolverti ogni problema di vita e non sai quante volte l'avrei accoltellato nella schiena con quella matita un marcio è psycho come papà ora mi faccio di lah giro coi frà vendo in città, ahah!!! Ritornello: Perchè vedi un pò di anni fa vedevo mamma e papà dentro una scatola dietro due psichiatri ed ero solo un bambino MondoMarcio: Ma sul serio! ...un bambino!! MondoMarcio: Ma sul serio! e dicono capita ma non spararti frà sfogliami l’anima e vedrai che c’ero cosi vicino MondoMarcio: Ma sul serio! ...cosi vicino!!! Dicono un Marcio è forte un marcio che non demorde immagini valide per quando sei alle corde è tragico che un ragazzino cosi innocente può arrivare a viaggiare con l’omicidio in mente uomo ho fatto terapia non è finito niente anzi mi ha peggiorato però è servito a quella gente io grido per il mio incubo preferito da sempre uno psichiatra ti ha detto che c’è riuscito? mente!! lo sa perchè non và bene,in questa cazzo di società mettono un sedicenne in catene lasciano un Bubbà libero di fare PA-PA!! sulla sua famiglia mentre i ragazzini chiedono papà, perché perché, papà e scappano nei ripostigli vedi gli errori dei genitori ricadono sui figli a volte mi chiedo che sarebbe stato se quel giorno di dicembre si fosse fermato!! Ritornello: Perchè vedi un pò di anni fa vedevo mamma e papà dentro una scatola dietro due psichiatri ed ero solo un bambino MondoMarcio: Ma sul serio! ...un bambino!! MondoMarcio: Ma sul serio! e dicono capita ma non spararti frà sfogliami l’anima e vedrai che c’ero cosi vicino MondoMarcio: Ma sul serio! ...cosi vicino!!! (Grazie a Emanuele per questo testo)

Mondo Marcio, Dentro Alla Scatola




sabato, dicembre 23, 2006


Buon Natale a tutti i lettori di Baldrus.
E’ questa, una festa inflazionata, minacciata se non divorata dalla pubblicità e dal consumismo. Eppure è ancora un momento collettivo di raccoglimento e, ammesso che questa parola abbia ancora un senso, di letizia.
E’ il Natale delle famiglie, delle coppie, dei genitori e dei figli; è il Natale dei solitari, dei dimenticati e dei perduti. E’ anche il Natale degli immigrati che annegano nei mari della disperazione, dei precari, dei disoccupati, degli ultimi degli ultimi; degli amici, degli innamorati.
E’ il Natale di chi non perde la speranza e l’ottimismo. Di chi guarda avanti, ma anche indietro.

A tutti, buon Natale.
Seduzioni pericolose
su Nazione Indiana

mercoledì, dicembre 20, 2006


Scampagnata in moto prenatalizia

racconto di Fabio Baldrati

Presto sarà Natale, ancora una volta.
Mentre ascolto musica osservo dalla finestra merli, passeri e pettirossi calare silenziosi sulle briciole di pane che quotidianamente spargo in giardino. Pochi sanno che il pettirosso è un solerte messaggero invernale e preannuncia il freddo con infallibile puntualità, non esiste meteorologo più efficiente.
Fuori una mattinata “norvegese”: molto fredda ma limpida, illuminata da un sole vincitore sulla coriacea nebbia della bassa Romagna, e questo è un evento inconsueto negli inverni color piombo di queste zone.
Un pensierino crescente mi stuzzica senza darmi pace; cerco di autoconvincermi che fa un freddo maledetto, che è meglio abbandonare quell’idea, che certe stupidate si pagano a caro prezzo,…ma non riesco a sopprimere la vocina: che sarà mai! Per un po’ di freddo! E poi non è davvero freddo: zero gradi. Ma sì!
Quando scendo le scale con la tuta invernale addosso e il casco infilato in un braccio ecco che arriva puntuale un coro unanime: “Hei!... sei diventato matto?” E rispondo serafico: “Da legare!”. Tutti scuotono la testa fra il rassegnato e il compatito (compreso Lillo, il cane).
Pochi minuti e sono in garage. Appena apro il portone la luce del mattino scaccia via l’oscurità ed ecco apparire, come al solito, la sagoma inconfondibile della mia Guzzi California. Mi chiudo addosso cerniere e bottoni automatici, con cura metodica indosso il sottocasco a lambire il colletto della giacca, poi il casco, infine gli spessi guanti i cui “manicotti” sormontano abbondantemente i bordi-maniche. Quando si va in moto in inverno nulla deve essere sottovalutato, un solo spiffero può fregarti. Non si scherza col Generale Inverno.

In paese i coloriti addobbi natalizi celebrano un innocente concorso di fastosità. Poi, finalmente davanti al manubrio la campagna: costeggio a bassa velocità brulli frutteti canuti, fossi ghiacciati, i vitigni “inzuccherati” di brina mi ricordano certe stampe giapponesi. Le scure terre hanno ormai vinto gli ultimi residui di una passata nevicata, qua e là ancora resistono poche chiazze bianche.
Non c’è anima viva, tutto è immobile e imprigionato nel freddo, qualche passero frulla fra i cortili e spero di non essere l’unico a spargere granaglie in terra.
L’aria fredda mi punge il volto mentre gli occhi lacrimano, se chiudo la visiera del casco questa si appanna…ecco, così va meglio, un po’ aperta ma non troppo.
Un vecchio luogo comune impone alla moto una collocazione esclusivamente estiva… be’, forse una volta era davvero così e bisogna ammettere che le moto cosidette “naked” (nude ed essenziali) avvallano un simile preconcetto; ma oggi vi sono tute termiche e accessori efficaci, così come la protezione aerodinamica adottata in molte moto difende il motociclista da quella brutta bestia (il vento) che spinge in mezzo al petto.

Eppure nemmeno l’inverno è il diavolo, non è poi così cattivo se ne abbiamo rispetto: scegliamo possibilmente le giornate soleggiate, equipaggiamoci con metodo, soprattutto evitiamo di strafare. Chi ha partecipato a qualche edizione del mitico raduno germanico dell’ Elefanten-Treffen, oppure si è sottoposto a lunghi viaggi nella stagione rigida, non è affatto pazzo, al contrario denota l’intelligenza di chi sa programmare.

Presto sarà Natale, ancora una volta. E per l’occasione qui dalle mie parti, nella Romagna del “mutòr”, due rossi Babbo Natale infiocchettati a bordo di un Sidecar portano caramelle e dolcetti ai bambini; oggi mi piacerebbe davvero incontrarlo quel Sidecar.
A circa trenta chilometri, in direzione nord, esiste una autentica rarità: una vasta zona disabitata in cui lo sguardo si estingue in orizzonti ancora liberi da costruzioni. Per molti chilometri la strada panoramica di “via Agosta” costeggia la valle di Comacchio (l’ultima rimasta), mentre sulla sinistra c’è la distesa del “Texas”: così chiamano quella infinita pianura agricola strappata all’acqua valliva nel dopoguerra. Dopo cinquant’anni quelle terre asfittiche a causa dei residui salini nemmeno rendono il valore del concime usato, mentre la vallicoltura con i “lavorieri” per le anguille e le spigole avrebbe potuto costituire una importante economia. La bonifica delle antiche valli comacchiesi fu una scelleratezza che solamente oggi possiamo comprendere.
Sui lunghi rettilinei “texani” di queste strade, tanti anni fa, venivano a sfidarsi in furiose riprese i motociclisti di mezza Romagna; fra di essi il mitico Silèzi (silenzio) con la sua rossa (e quasi imbattibile) Le mans 850. Sembra ieri…ma quanto tempo è passato. Qui dalle mie parti chi va in moto da molti anni ricorda i bei tempi del “mutor” con nostalgia.“Coraggio, il meglio è passato” diceva Flaiano.
Più volte nel corso dell’anno torno a lambire le “mie” valli, sempre vi sono uccelli di ogni specie in acqua oppure in volo ma oggi anche qui, dove la “vita” è sempre caparbia, tutto è immobile e stregato dal freddo. La valle di Comacchio è una grande distesa azzurrognola piatta come se fosse di olio, alcune “lame” gelate lungo le rive sembrano specchi che riflettono un debole sole in difesa.
E’ una splendida giornata luminosa, ovunque guardo trovo l’orizzonte senza fine. Ma guai a me se oltrepasso i cento orari, il gelo è spietato e non fa sconti, mi fustiga ogni volta in cui provo ad “uscire” oltre la protezione dello schermo trasparente.
Il sommesso borbottare del bicilindrico è l’unico rumore esistente. Per decine di chilometri non incontro anima viva e ciò rende questi luoghi ancora più surreali. E gli uccelli? germani, folaghe, trampolieri…dove saranno finiti? Solo qualche gabbiano vola nell’azzurro pallido. I vecchi pescatori comacchiesi hanno sempre raccontato dell’esistenza di particolari angoli di valle: microclimi meno rigidi in inverno e più freschi d’estate. Chissà quanti segreti custodiscono le valli di Comacchio.
Forse conosco uno di questi luoghi, ci arriverò fra cinque o sei chilometri.

Oltre la valle di Comacchio, dopo il bacino idrovoro, c’è l’oasi Zavelea: un triangolo di valle a carattere paludoso con ampie estensioni di canneti. Per gli appassionati naturalisti è uno dei luoghi più interessanti di tutto il Delta.
Che spettacolo! Subito dopo il bacino idrovoro, sulla destra, una meraviglia degna del National Geografic. Scalo una marcia dopo l’altra e accosto, fermo la moto lungo il ciglio, spengo il motore, apro l’asta laterale, tolgo casco e guanti, poi scendo e vado freneticamente a cercare il binocolo tascabile nella borsa. Questa veduta mi riscalda corpo e anima.
Oltre i canneti dorati dal debole sole… lungo la linea dell’orizzonte in cui l’azzurro dell’acqua e quello del cielo si fondono insieme, c’è la meraviglia del popolo volatile: migliaia di uccelli vallivi si sono dati appuntamento qui per il loro raduno. Scure folaghe sguazzano in una sfida a chi solleva più spruzzi, legioni di germani spiccano il volo creando veloci ventagli nel cielo terso, mentre sugli isolotti i numerosi aironi grigi ritti sulle lunghe zampe sembrano guardiani severi, immobili, con quel loro strano collo ricurvo.
Ma sono le oche selvatiche il vero spettacolo in arrivo dal cielo: sono disposte in ordinati stormi a “V” di dieci o dodici esemplari, la prima oca sulla “punta” fronteggia la resistenza dell’aria e quando è stanca passa in coda, poi un’altra compagna più riposata le dà il cambio. Arrivano dalla Siberia dove vi sono 25 gradi sotto zero per svernare in questa oasi, scivolano esauste sull’acqua con le ali aperte dopo migliaia di chilometri percorsi a chilometri d’altezza, dove l’aria rarefatta richiede meno dispendio di energie. La natura, ha risparmiato solamente le più forti fra loro: saranno forse duecento le temerarie viaggiatrici.
La frustrazione mi assale quando penso che in questa zona cova il progetto di una nuova autostrada (da anni se ne parla: la E-55 Civitavecchia-Mestre). Un’altra.
Prima o poi arriveranno nuovi capannoni, nuovi insediamenti, nuovo “sviluppo”. E’ questione di tempo: ci prenderanno anche il “Texas”, l’ultimo spazio libero rimasto. Infrastrutture, infrastrutture, infrastrutture… tutti le bramano, da destra e da sinistra ne viene rivendicata la paternità, mentre lo scempio perpetrato al nostro paesaggio altro non è che un male necessario, un congruo sacrificio da tributare alla nostra prima divinità: Turismo & Sviluppo.

Non siamo soli, altri popoli ci accompagnano nel viaggio dell’esistenza e dobbiamo averne rispetto, non abbiamo il diritto di devastare i loro abitat, le loro dimore, per soddisfare le nostre onnipotenti necessità.

Ripongo il binocolo e metto il casco, infilo le mani nei guanti, monto in sella e giro la chiave…gnignigniWrumm! Un’ultima occhiata alla valle festosa di vita. Clock della prima, via, a casa.


Buon Natale! Tutti i giorni un po’.

lunedì, dicembre 18, 2006

E' andata così
Se qualcuno mi chiedesse se ho dei rimpianti, cose che non ho fatto, che non ho vissuto, forse risponderei che un piccolo rimpianto è di non avere mai visto un concerto di James Brown. Due-tre ore di sound ad alta tensione, dove il corpo partecipa con la mente, sono un’esperienza indimenticabile. E da questo punto di vista il vecchio James è sempre stato insuperabile.

lunedì, dicembre 11, 2006


Delitti e castighi

Dunque è morto il tiranno fascista Pinochet. Aveva 91 anni, era gravemente malato, gonfio, incapace di muoversi e di parlare. C’è chi ha festeggiato, chi ha manifestato, chi ha innalzato cartelli a favore del Libertador. Come accade sempre in questi casi ci sono stati disordini, scontri di piazza. Il giudice Garzon, l’unico che sia riuscito a incriminarlo, ma non a condannarlo, ha detto che non ha pagato per i suoi crimini.
E’ vero. E’ una verità triste, inquietante. La giunta Pinochet fu una delle più feroci del dopoguerra, e anche se recentemente i tiranni hanno metodi più scientifici per massacrare, come le bombe ai gas velenosi, fu spaventoso come questa cricca prese il potere con il sostegno palese dell’America, che finanziò, organizzò il golpe.
Non dimenticherò mai, finché avrò un briciolo di memoria, un filmato girato clandestinamente nello stadio di Santiago in cui il cantautore e poeta Victor Jara fu ucciso a calci dagli sgherri di Pinochet. Ancora oggi provo un senso di dolore estremo pensandoci. Il solo nome del tiranno mi evoca immagini di morte, di torture, e la foto della cricca dei generali, minacciosi, arroganti.
Pinochet non ha pagato per i suoi crimini. Se siamo atei, è difficile accettare questa verità immediata e materiale, che certi criminali vivono alla grande, rubano (è stato anche accusato di evasione fiscale), sfruttano, uccidono, e se ne vanno serviti e riveriti nelle loro ville. E tutto finisce lì. Da atei, viene una rabbia cosmica, fanno impressione – spaventano – le parole di Dostoevskij "se Dio non esiste, tutto è permesso".
Se siamo credenti ci consoliamo col fatto che, essendo la giustizia divina una giustizia giusta, il tiranno, come tutti i tiranni, arrostirà all'inferno, perché è chiaro e limpido il rapporto tra colpa e castigo.
Se non siamo né atei né credenti, perché non troviamo il coraggio di fare una scelta, i nostri pensieri sono alterni, ci consumiamo di rabbia per l’ingiustizia terrena e speriamo che in qualche modo, in qualche luogo lontano e misterioso, un briciolo di giustizia sia ancora possibile.

giovedì, novembre 30, 2006


Ricordiamoci di ricordare

Questo è un autoritratto di Gianluca Lerici, alias Professor Bad Trip, pittore, grafico e illustratore morto il 25 novembre all’età di 43 anni. Sulla vita e le opere del Professor segnalo un articolo di Giuseppe Genna su Carmilla.

La verità?

In questo paese si saprà mai la verità sui fatti che vedono coinvolti pezzi dello Stato, le forze dell'Ordine, le stragi, le inchieste scomode? Si nominano commissioni, coordinamenti, poi tutto svanisce nel nulla, e nessun procedimento viene mai concluso. Sulla morte di Carlo Giuliani, durante i fatti del G8 di Genova, segnalo una intervista a Mario Placanica, l'ex carabiniere che fu accusato di avere sparato il colpo di pistola che uccise Giuliani. Su Carmilla.

martedì, novembre 21, 2006


Manuale del leccaculo

Mentre sfrucugliavo tra i libri della libreria Sala Borsa, che offre tutto con lo sconto del 30% (probabilmente in previsione della prossima, annunciata chiusura per contrasti insanabili col padrone di casa, il Comune di Bologna), mi è capitato tra le mani questo Manuale del Leccaculo, autore Richard Stengel (Fazi). Ma guarda, ho pensato, il solito titolo moderno (tipo il libro di Aldo Busi Bisogna avere i coglioni per prenderlo nel culo). L’ho sfogliato, letto qua e là e, sorpresa, mi è sembrato alquanto interessante. E’ una sorta di storia dell’adulazione, dall’antichità fino ai giorni nostri. L’autore segue l’adulazione attraverso la filosofia, la religione, la scrittura, i comportamenti, in un mix interessante di leggerezza, ottima documentazione, divulgazione e riflessione storica. Insomma, sono stato lì per comprarlo. Poi ero un po’ carico e ho lasciato perdere, ma mi è rimasta la curiosità, e non è detto che non la soddisferò.

giovedì, novembre 16, 2006


Con le spalle al muro

Mia figlia, che ha 12 anni, con altre ragazzine ha visto, durante una festicciola per Halloween, L’Esorcista. E’ stata una visione sconvolgente. Una di loro lo guardava in piedi vicino alla porta, e ogni tanto usciva, quando non reggeva certe scene. Le altre si coprivano gli occhi, e si facevano coraggio a vicenda con grida e abbracci. Erano sole, perché la madre della ragazzina padrona di casa era al lavoro.
Mia figlia continua a essere impressionata, e alla sera non vuole andare a letto con la luce spenta.
Noi non siamo per nulla contenti di questa storia, e siamo un po’ irritati con la madre padrona di casa perché le ha mollate a loro stesse con quella cassetta.
E’ un film, questo, che suscita fortissimi sensi di colpa. E’ questo il suo segreto, il segreto della paura che evoca e del suo successo. Mia figlia continua a fare domande sul diavolo, e non è facile dare delle risposte. Io dico con estrema nettezza che il diavolo non esiste, che è tutta un’invenzione delle religioni, che sono state inventate dall’uomo. Ma sono spiegazioni che non convincono (me stesso per primo), perché il film ha smosso paure che vengono dal profondo. Mia moglie, che è psicologa, fa un discorso più complesso, che verte sostanzialmente sul fatto che sono tematiche che non riguardano nostra figlia, perché la cosa fondamentale è condurre una vita serena, una vita allegra a contatto con la realtà quotidiana. In questo modo nessun diavolo potrà mai minacciarla. Cerca, insomma, di agire sul senso di colpa perché, dice, dichiarare semplicemente che il diavolo non esiste, in questa fase, non serve a nulla. E credo che abbia ragione, perché nostra figlia alle mie dichiarazioni reagisce con una non-reazione, mentre cerca di parlarne con sua madre. Perché ha bisogno di scaricare tensione, di parlare della sua paura, mentre la mia posizione finisce per essere una censura.
Poi è tornata a casa schifata perché un ragazzino suo coetaneo ha dei filmati porno scaricati nel telefonino. "Ma che schifo!" dice, e chiede, pur senza chiederlo apertamente, se io e sua madre facciamo quelle stesse cose "schifose".
E’ tutto maledettamente difficile, perché ci sono da prendere delle posizioni che non sono per nulla chiare. Poi viene un senso di rabbia, perché dei ragazzini di questa età dovrebbero avere contatti meno traumatici con questi aspetti della vita e delle emozioni così violentemente cannibalizzati dal mercato dello show-businness.

mercoledì, novembre 15, 2006

Ma come sono creativo
ingegneri, architetti e geometri uniti nella lotta

sabato, novembre 04, 2006


E' Tornato Martin Scorsese

Sì, Scorsese è tornato, dopo gli ultimi film un po’ indeterminati, zoppicanti, per quanto lussuosi, Gangs of New York e The Aviator. Si pensava che gli action movies americani duri fossero ormai estinti, annacquati irrimediabilmente dalla broda hollywoodiana che tutto omologa, ma è arrivato questo atteso prodotto del regista di Taxi Driver, Mean Street, Quei bravi ragazzi.
Ora, chi dice: “mah, a me il cinema americano non piace”, può restare a casa andarsi a vedere la Comencini (e non vi è qui alcuna critica alla Comencini, è solo una questione di scelta). Perché The Departed è un film americano puro, di quelli scorsesiani che “spaccano il culo”, va detto così: violento, paradossale, con quella dose di humor nero che lo contraddistingue, ma che non deborda, non disturba; il film di un regista americano che ama gli attori belli, ben diretti, ben vestiti, con belle armi, grandi sfondi, e grandissime musica (la colonna sonora, ricca di pezzi dei Rolling Stones e hard rock passati a volume altissimo, è da cardiopalma); un film con un ritmo che tiene avvinghiati ai braccioli, con colpi di scena, violenza esibita ma non ostentata, alla Scorsese appunto, e poi pazzia, una discesa negli inferi del Male e dell’Antiumano.

La storia narra di due giovani simulatori, Leonardo Di Caprio (che qui dà una delle sue più alte interpretazioni e lo laurea definitivamente come uno degli attori più interessanti della nuova scena) e Matt Damon: il primo è un poliziotto infiltrato nella banda di un noto criminale irlandese (interpretato da un Jack Nicholson d’annata, ringiovanito, con facce mefistofeliche, ferocia, pazzia e sentimentalismo), schizzato, impasticcato, violento e spaventato; il secondo invece è un infiltrato dello stesso gangster nella polizia di Boston, bel bambolotto americano dall’animo ultracriminale. Vi è questa doppia finzione, questa battaglia a distanza nell’ignoto dove l’uno cerca di identificare - e di fregare - l’altro. Su di loro, accanto a loro, vi è il capitano della polizia, uomo d’altri tempi, interpretato magnificamente da Martin Sheen (l’ufficiale che insegue Kurz in Apocalypse Now). E poi i doppi e i tripli giochi del Potere, i giochi sporchi e clansdestini del FBI, l'intrigo che ovunque serpeggia. Il tutto è diretto e fotografato con grande forza, eleganza e decisione.

Il finale, di assoluta tragedia, ricorda Le Jene di Tarantino.

Un film imperdibile per gli amanti del genere e del regista italoamericano, finalmente, e per chi teme Hollywood si tranquillizzi: Scorsese è e resta un newyorkese di pura razza.

martedì, ottobre 24, 2006


Artista di strada

di Loris Pattuelli


Bob Dylan è un busker alla rovescia, un artista che, se si escludono gli spostamenti, si esibisce quasi tutti i giorni dell’anno. Certo lui non suona per campare, ma molto difficilmente credo riuscirebbe a sopravvivere senza strimpellare il suo concertino quotidiano. L’impresa si chiama Never ending tour e consiste nello suonare sempre e dovunque. Stop. Non c’è altro da aggiungere. Solo così, a quanto pare, gli spiritelli della ricreazione possono scatenarsi come si deve e mantenere anche una certa dose di equilibrio. Qualcuno pensa che questa sia una roba da matti, qualcun altro è convinto invece che si tratti del vezzo di un artista molto geloso della propria libertà. Io propendo per la seconda ipotesi, ma questo poco importa. Per chi volesse saperne di più, si consiglia la visione di No direction home di Martin Scorsese, davvero una delle opere più belle di questo nuovo millennio.
Il
busker suona per le strade delle grandi città, Bob Dylan te lo ritrovi direttamente dietro l’uscio di casa. Io l’ho visto a Ravenna, a Bologna, a Modena, in piazza a Ferrara, al palazzetto dello sport di Casalecchio, alla festa dell’unità di Correggio. Adesso in America sta girando per centri commerciali, sale bingo ed altri luoghi di aggregazione e di svago. Giusto qualche giorno fa si è messo a dire che lui canta come Frank Sinatra, ma in realtà il nostro eroe è sopratutto un bravissimo DJ. Un DJ? Sì, proprio così, un DJ in libera uscita che si diverte a voltare e rivoltare tutto quello che pop e avanguardia neanche hanno mai sospettato esistesse.
Se il
busker riporta la musica in strada, lui riporta la strada nella musica. Giusto quello che stanno facendo i DJ oggi nel mondo. Ovviamente tutto questo non significa un bel niente, ma è esattamente proprio quello che succede. L’ultima volta che l’ho sentito cantare era, se non ricordo male, al palazzetto dello sport di Casalecchio di Reno. Roberto Dilani e la sua orchestra, giusto quello che ci voleva per una bella serata in stile romagnolo. La scenografia era una tenda da teatro con un cielo stellato vagamente natalizio. A tre-quattro metri di altezza c’erano un paio di faretti viola e un paio di faretti bianchi. E poi basta. Lui tutto vestito di nero e gli orchestrali in completo grigio. Moltissimo rock-blues con appena una spruzzatina di cose più svagate e campagnole. Voce tranquilla. Pochi giochetti di laringe e faringe, poche piroette sulla galaverna e sulla carta vetrata.
Bob Dylan è un
busker alla rovescia e nel suo ultimo disco, Modern Times, riporta tutto a casa. Ma non l’aveva già fatto quarant’anni fa con un album così intitolato? Sì, allora l’aveva detto, ma adesso (autunno 2006) si è deciso a farlo veramente. “Tutti vanno e anch’io voglio andare", dice la prima canzone del disco. La copertina mostra un taxi che attraversa una notte piena di luci.” Non sto parlando, sto solo camminando”, dice la canzone di chiusura. In mezzo ci sta un’ora abbondante di “tempi moderni”, tempi sfocati, veloci e confusi, tempi buoni giusto per dire che, per un busker alla rovescia, tutte è passato e tutto sta ripassando nella più semplice e pura delle mobilità.

venerdì, ottobre 20, 2006


Oh, quanto mi piace

Ho appena visto l’intervista a Oliviero Diliberto alle Invasioni Barbariche (La7).
Sono, i dirigenti dei Comunisti Italiani, particolarmente sensibili alla seduzione della televisione. Sono brillanti, scafati, salottieri. Quell’uomo cattivo e malevolo che è Gianpaolo Pansa, nella sua rubrica sull’Espresso dal titolo Bestiario li sbertuccia spesso. Rizzo lo chiama “il Pelatone”, ma una volta ha colto nel segno (spesso i malevoli colgono nel segno, vi è anche del genio nella malevolenza), quando li ha coperti di sarcasmo perché criticavano la presenza di Bertinotti a un dibattito alla festa di AN, proprio loro, che sono sempre in televisione a godersi la mondanità.
Diliberto è intelligente, colto, spiritoso. Il cosiddetto calcolo politico è chiaro: la televisione è “un mezzo” importante in Italia, e bisogna usarlo per acquisire visibilità, e quindi consensi. Però si intuiva, a pelle, il piacere di essere intervistati, vezzeggiati da quella conduttrice leggera e brava che è Daria Bignardi, si vedeva il narcisismo – normale, umano – che riceveva nutrimento e gratificazione.
E’ così la storia, è così il mondo, e la politica: televisione, mondanità, salotti, criticando ferocemente gli avversari e poi andando insieme nei locali “in” a bere e scherzare.
E’ così che va, per tutti.

Ku... Ku... Ku... Kultura?!

Amore Mio carissimo, ti ho chiesto, se hai bisogno di cacio e cavallo, di caciotta etc ma non mi hai risposto. Senti, io ho chiesto in'attesa tre caciotti una da 2 chili e due da un chilo una me la volevo tenere io.
Mà sono tentato di mandarla a mio fratello S. Non so il perché, so che può essere provocatorio, mà se i nostri figli ce la portano per voi vi teneti quella di 2 chili e quella da un chilo, non so se può manciare, ma se i nostri figli ce la portano ci danno i miei saluti, e questo pensiero che ce lo mando io. Se i nostri figli non ce la vogliono portare mi resta il mio pensiero e basta tienetimo accorrente di quello che fati. In'attesa di vostri nuovi e buoni riscontri smetto augurandovi un mondo di bene e inviandovi i più cari Aff. Saluti, abbracci, baci, e la Santa Benedizione di Dio. Vi benedica il Signore e vi protegga!

(Uno dei "pizzini" di Bernardo Provenzano, pubblicato su Specchio de La Stampa)

sabato, ottobre 07, 2006



La Dalia Nera

The Black Dahlia, l’ultimo evento hollywoodiano, è un film fatto in larga parte di primi e primissimi piani. In questo è alla moda, perché sembra che il pubblico moderno sia vorace dei visi delle star, ultrafotografate dai giornali di tutto il mondo, riprese dalle televisioni, intervistate, spettegolate. Così, di Scarlett Joahnnson, che ha in effetti un viso molto interessante, con una bocca esagerata che sembrerebbe tutta naturale, conosciamo la trama della pelle, alcuni piccoli foruncoli mascherati dal trucco e dalla luce, i capillari degli occhi. E Mia Kirshner, la Dalia, ha occhi straordinari; anche dei due attori, Aaron Eckhart e Josh Hartnett, conosciamo nel dettaglio le rughe, i piccoli sorrisi, i peli sottopelle della barba. Altri due visi interessanti, va detto, visi plastici, non-territoriali, in cui ciascuno di noi può vedere l’espressione che preferisce, può proiettare il suo sogno segreto.

The Black Dahlia è anche un film sulle sigarette. Fumano tutti come dei turchi, accendono sigarette di continuo, con cadenza ossessiva. Ricorda l’ossessività demente di Carver con l’alcool, quando i personaggi si versano in continuazione da bere. Alla fine della visione si prova un vero e proprio disgusto per le sigarette, sembra di avere il mal di testa mattutino del fumatore incallito, e in questo senso, forse, è un film anti-fumo

The Black Dahlia è un film complicato, come lo è il libro di Ellroy da cui è tratto. Ma il libro ha a disposizione centinaia di pagine per sbrogliare le matasse, per aiutarci a ricordare i nomi dei personaggi, per guidarci nel cammino tortuoso delle indagini. Il film ha solo due ore (per di più da conciliare coi primissimi piani hollywoodiani), e questo lo porta a correre a perdifiato, a comprimere con violenza le storie, gli indizi, e ci perdiamo per strada. Ogni tanto brancoliamo, perché non sappiamo più chi è il tale, da dove sbuca fuori e dove diavolo va, e le storie diventano convulse, sembrano esplodere e poi svaniscono nel nulla.

The Black Dahlia è un film che vorrebbe essere maledetto, come lo è il libro di Ellroy da cui è tratto. Si impegna a fondo per esserlo, per mostrare i volti oscuri dei personaggi, per chiuderci sotto la cappa soffocante del crimine e della corruzione che tutto contamina e infetta, come nei romanzi di Ellroy. Ma è pur sempre un film hollywoodiano, e quindi deve avere, al suo interno, un navigatore americano buono, onesto, che rappresenti il Bene, come vogliono le regole; ma il navigatore dei libri di Ellroy è sempre a sua volta corrotto, disonesto, piegato dal male, e quindi vi è come una schizofrenia di fondo, una voglia proibita di sporcare il navigatore del film, di andare contronatura, col risultato di creare situazioni e stati d’animo poco credibili, fine a se stesse.

The Black Dahlia è curato nei dettagli, gli anni ’40, le auto, i vestiti, la fotografia, e si vede lo stile di quel grande regista che è Brian De Palma, ma se qualcuno va a vederlo con la speranza di scoprire che, una volta tanto, i grandi noir girati dai registi tosti di una volta sono ancora possibili, è destinato a uscire con un velo di delusione nel cuore, come sempre.

giovedì, ottobre 05, 2006


Pacchi (ma non postali)

Una volta, tanto tempo fa, un mio amico ed io comprammo un disco di Frank Zappa appena uscito. Cioè, lo comprò lui, che era un grande appassionato di situazionismo, e stravedeva letteralmente per il vecchio Frank. Anch'io, ovviamente, lo amavo, specialmente per alcuni dischi che trovavo - e trovo tutt'ora - stratosferici, come Hot Rats, per esempio; dunque ci precipitammo a casa e mettemmo l'ellepi sul piatto del giradischi: fu uno shock: si sentivano solo dei suoni disarticolati, qualche pernacchia, urletti, risate. Era troppo anche per un situazionista di pura razza. Un "pacco" spaventoso, non tanto per i rumori, che potevano avere una loro valenza provocatoria, ma per durata: dopo non più di dieci minuti (cinque per facciata) era già terminato. E costava come un ellepi normale, era questa la beffa! Dopo una serie di maledizioni, però, il mio amico scoppiò a ridere. Da una pellaccia come il vecchio Frank si poteva anche accettare questo sberleffo. Così lo infilò nello scaffale, che conteneva più di trecento LP, e non ci pensò più.

In questi giorni c'è un altro pacco spaventoso in giro, ed è il libro di Veltroni. Non tanto per i contenuti, o la scrittura, che non conosco e dubito conoscerò mai, ma per la cosiddetta foliazione: sono 150 pagine, ma con margini molto larghi, che in una impaginazione normale si ridurrebbero di circa la metà. Si tratta di un racconto dunque, e neanche tanto lungo. Ma il bello è che costa 16 euro, come un romanzo normale.

Un'altra beffa, una sorta di bariccata (Baricco è un altro grande specialista di romanzi finti a prezzo intero, caratteri grandi, pagine di carta grossa, all'apparenza libroni, in realtà racconti). Ma: col vecchio Frank potevamo ridere, perdonare, stare al gioco.

Ma con Veltroni?

mercoledì, settembre 27, 2006

Uomo di rispetto


Ieri sera a Otto e mezzo, su La 7, c’era come ospite Eugenio Scalfari.
C’era anche Oscar Giannino, un giornalista che sembra sempre molto informato sulle beghe delle banche, le finanziarie, uno che si atteggia a gentiluomo conservatore inizio ‘900, con abiti che richiamano quelle mode, le ghette, il bastone da passeggio, una barba arruffata con cura meticolosa.
L’argomento era, ancora una volta, la Telecom, le intercettazioni illegali ecc. Scalfari ne sa, e ha scritto alcuni articoli torrenziali su La Repubblica, il giornale da lui stesso fondato.
Scalfari non è uomo di sinistra, è un tecnocrate con un passato letterario, e appartiene – è anzi un protagonista – a quella fazione del capitalismo dei grandi gruppi, quelli che hanno ancora una impostazione fordista. Giannino e Ferrara invece – con stili diversi - fanno riferimento alla fazione più liberista, del cosiddetto Antistato. Le due fazioni si combattono duramente, spesso con toni feroci, e si alternano al governo del paese. Però quando parlava Scalfari, lento, con la lentezza dell’anziano, del vecchio, i due ascoltavano e tacevano. Persino Ferrara, che non perde occasione per affondare le zanne nelle carni degli avversari, era garbato e rispettoso. Ho interpretato il loro atteggiamento come un senso di rispetto per un uomo anziano – benché un fiero avversario - che rappresenta un pezzo di storia del giornalismo italiano. Non vi era ipocrisia, né retorica; mi è sembrato rispetto vero. Apprezzabile, per una volta.

martedì, settembre 26, 2006


Sua Maestà la Noia

Molto, moltissimo si è parlato dell'ultimo film di Stephen Frears, The Queen. Poichè ho rischiato seriamente di infilarmi in un cinema per vederlo - pericolo che ho scampato per un pelo - segnalo una recensione di Giuseppe Genna uscita su Carmilla.

Uno degli eventi che, mercé gli impegni di giuria per la sezione Orizzonti, mi ero perso alla Mostra del Cinema di Venezia è stato l'ultimo film di Stephen Frears, The Queen. Celebratissimo sui quotidiani (italiani) a partire dal giorno successivo alla proiezione e dato per scontato vincitore dai cronisti (italiani) fino all'ultimo, questo ibrido tra soap-opera e melodramma gay su quanto è bella e imperscrutabile Mamma sembrava sbaragliare tutto e tutti, il che era vero: l'ho visionato ierisera e ne sono rimasto sbaragliato. Sono incredulo, passata 'a nuttata: Frears, regista di (passato) notevolissimo impegno politico, si dedica a magnificare le sorti progressive di un premier che è stato la versione maschile della Thatcher e anche peggio, mentre simpatizza con la signora coronata sulla quale tutto c'è da dire tranne che le imbarazzanti e tremule decisioni nei giorni postmortem di Diana. Ridicola pellicola. Occasione persa per dire cosa sia davvero la Corona inglese nel mondo - non solo nel Regno Unito.

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domenica, settembre 24, 2006


Sillabe pericolose

Più volte mi sono chiesto come mai le donne della Bassaromagna, in particolare le signore di una certa età, abbiano serie difficoltà a pronunciare le sillabe “au” e “ou”: Laura diventa “Lavra”, autocarro “avtocarro” (ma c’è anche la variante “altocarro”, come “altomatico”), mentre “outlook” assume le forme di “ovtlok!” e così via. Io, per esempio, ho passato l’infanzia e l’adolescenza sentendomi chiamare “Mavro”. E’ una caratteristica singolare, buffa, enfatizzata fino al grottesco dai vari Ferrini, Giacobazzi, che fanno il verso proprio a queste signore, e hanno contribuito a rendere la pronuncia romagnola una sorta di pretesto per abbandonarsi a grasse risate. Da dove viene questa difficoltà? Ho pensato che possa derivare dall’alfabeto del ventennio, quando la “u” si scriveva”v”, come nell’antica Roma; è certamente una spiegazione plausibile, ma non l’ho mai ritenuta davvero esaustiva. La questione è più complessa, non ho mai avuto dubbi. Così mi sono messo ad ascoltare il suono, a considerare cioè l’aspetto fonetico: la lettera “a” è parte della sillaba “ah” che può significare dolore, sorpresa, ma anche piacere, abbandono (“ahhh...”), e così, con qualche sfumatura diversa, la lettera “o” e la relativa sillaba. Poi ho collegato la fonetica alla fisiognomica, perché è il arrivo la novità della “u” che crea le sillabe incriminate: per pronunciare “au” la bocca deve fare una contrazione, e le labbra devono allungarsi sensibilmente quando arriva la “u”; provando, riflettendo, guardandomi allo specchio ho concluso che è una posizione della bocca che ricorda la suzione, sia da un punto di vista fonetico che fisiognomico: succhiare insomma, la tettarella, il capezzolo materno; oppure, più probabilmente, il membro maschile. Sì, ho pensato che le signore della Bassaromagna abbiano introiettato un imbarazzo antico, atavico, verso queste sillabe perché quando le pronunciano una voce ad altissima frequenza nascosta nell’inconscio sussurra loro che stanno effettuando una prestazione sessuale orale, e quindi questa forma di cortocircuito determina una risposta a bassissima frequenza che le obbliga ad ammorbidire, o a neutralizzare, il pericolo.

Ovviamente era solo un’ipotesi, per lo più eccentrica. Ogni tanto riflettevo, e mi veniva da ridere pensando a qualche cliente di mia madre parrucchiera che vedeva se stessa, senza esserne cosciente, nell’atto di prendere in bocca un membro maschile.
Poi mi sono imbattuto nel fulminante capitolo di un libro che stavo leggendo. E’ la descrizione di un rapporto sessuale, e sono 17 pagine (17, sì) prodigiose, va detto: il libro è Caos Calmo di Sandro Veronesi, che ha un’abilità stregonesca nel condurci come viaggiatori incantati, strabiliati, attraverso descrizioni anatomiche che scivolano, senza che ce ne rendiamo conto, in estrosi, affabulatori, paradossali flussi di coscienza. Alcune parti di questo capitolo, che si riferiscono proprio a un rapporto orale, hanno confortato la mia ipotesi. Ora so che non solo è suggestiva, ma è molto, molto attendibile.

“Oh, l’inizio di un pompino – Oh. Ogni volta mi stupisco che una cosa così semplice possa essere anche così infallibile. Una bocca che si apre e via: che ci vuole? Chiunque può farlo. E perché allora non succede di continuo? Perché ne facciamo una merce tanto rara? Siamo pazzi, tutti.

– Vorrei tenerlo in bocca tutta la notte – dichiara Eleonora Simoncini, a voce alta, stringendo il cazzo a un centimetro dalle labbra come fosse un microfono. E questa è una cosa bellissima da sentirsi dire, veramente bellissima e risolutiva, perché è come se mi avesse invitato a lasciarmi andare all’indietro, in shavasana, sull’erba, a guardare le chiome dei pini, se proprio non posso chiudere gli occhi, e le stelle sfocate, e la luna ardente, mentre lei finisce di perseguire il suo ideale di virtù ricompensata. Però, per quanto possa essere rassicurante il senso delle sue parole, c’è stato qualcosa nel loro suono che mi ha sconvolto, qualcosa di smerigliato, sì, e di affilato, come una specie di sacra, lancinante scudisciata che mi ha trapassato il corpo in tutta la sua lunghezza – la sensazione fisica più intrusiva mai provata in vita mia. E’ passata, ormai, è durata un solo istante, e lei ha ricominciato a succhiare, concreta, produttiva, nell’intento ormai lampante di farmi venire nella sua bocca; ma la scoperta che si può provare anche quello sbilancia daccapo tutto.

– Ridillo – sento me stesso ordinare.

Eleonora Simoncini si ferma di nuovo, fa sgusciare il cazzo fuori dalla bocca, vola all’indietro i capelli con una bellissima mossa della testa, e mi guarda, divertita. Poi ripete il giochetto del microfono, ora più smaccatamente, prendendo il cazzo con tutte e due le mani e parlandoci sopra ad occhi chiusi, come fanno i cantanti confidenziali che probabilmente ama.

– Vorrei succhiartelo tutta la notte – ripete.

Stavolta è anche più forte, quasi insopportabile. La vibrazione, sì, la vibrazione che la sua voce emette a un millimetro dalla mia cappella, la ‘u’ e la ‘o’, soprattutto, la vibrazione della ‘u’ e della ‘o’: come un fendente che penetra attraverso il simbolo stesso del penetrare, una frequenza di unghie che raschiano la lavagna, e poi l’eco cavernosa di un lamento micidiale che risuona nella più remota profondità dei lombi, il riverbero di un dolore lontano e disperato...”

venerdì, settembre 22, 2006

Precisazione

Dopo una lunga e laboriosa ricerca (senza scherzi, ho dovuto rivoltare mezzo Web) ho sciolto un dubbio iniziale che avevo quando ho scritto il post Fathers and sons: Luca Volontè non è figlio di Gian Maria, nonostante la somiglianza che, a questo punto, è veramente curiosa. La cosa è andata così: ho cercato sulla rete, ma non ho trovato nulla di nulla su questo dettaglio, le sole notizie biografiche di Luca Volontè sono che è nato a Saronno nel 1966. L’unico articolo che mi è sembrato degno di nota era su una rivista on line (cliccare qui), dove non si capiva con precisione se la tesi padre-figlio fosse sostenuta oppure no, benché si parlasse di "figlio ipotetico". Ho scritto a Volontè alla Camera, chiedendo: Lei, onorevole, è figlio dell’attore Gian Maria? Ma non è arrivata risposta. Ho scritto anche alla rivista in questione, ma la risposta è arrivata a post già pubblicato: no, non sono padre figlio, perché all’epoca Volontè ci scrisse per smentire.
Però io non avrei cambiato il senso del mio pezzo. Avrei solo aggiunto alla parola "figlio" l’aggettivo "generazionale", perché il conformismo di Luca è davvero una risposta all’atteggiamento rivoluzionario di certi padri impegnati politicamente delle generazioni passate. E la lotta contro queste immagini enormi, per certi aspetti drammatiche, è anche una lotta dei figli (generazionali) contro i padri.

lunedì, settembre 18, 2006

Purple Haze

di Jimi Hendrix

Foschia porpora nella mia mente,
Le cose non sembrano più le stesse
ultimamente,
Mi comporto in maniera buffa ma non so
perché,
Scusami, intanto che bacio il cielo.

Foschia porpora tutt’intorno,
Non so se salgo o scendo.
Sono felice o disperato?
Come che sia, quella ragazza mi ha incantato! Aiuto, aiuto…

Sì, foschia porpora nei miei occhi
Non so se sia giorno o notte
Mi hai fatto andare fuori, fuori di
testa.
E’ domani o è proprio la fine del tempo?

giovedì, settembre 14, 2006


Fathers and sons

Padri importanti, padri dal carattere forte e tormentato, figure lontane e conflittuali, padri artisti, hanno spesso causato problemi ai loro figli.
Sì, il loro impegno nell’arte, spesso totalitario, esclusivo, dominato da ferite interiori da cui sono nate talvolta grandi opere, li ha portati a un fallimento esistenziale, a una distruzione del proprio ruolo di padri.
Non vogliamo generalizzare, né sostenere che questa sia la regola, ma Alessandro Manzoni ebbe tre figlie di salute cagionevole, Giulietta, Cristina e Matilde, morte giovanissime, consumate dalla tubercolosi, "dall'oppio, dalla morfina", e due figli, Enrico e Filippo, "abulici, passivi, megalomani, bugiardi, puerili, servili" (Pietro Citati, Il Male Assoluto): Enrico finì in prigione per debiti a 27 anni, Filippo dilapidò il suo patrimonio e quello della ricca moglie. E Gianni Agnelli, il cui carattere volitivo, capriccioso e cinico fu fuso nel personaggio di Donna Fulgenzia da Paolo Volponi nel romanzo Le mosche del capitale, ha avuto un figlio suicida (anche se qualcuno, come spesso accade, ha avanzato l'ipotesi di un omicidio).
Per questo, forse, da un padre come Gian Maria Volontè, grande attore, uomo di grande personalità e, forse, di grandi tormenti, che disse: "essere un attore è una questione di scelta che si pone innanzitutto a livello esistenziale: o si esprimono le strutture conservatrici della società e ci si accontenta di essere un robot nelle mani del potere, oppure ci si rivolge verso le componenti progressive di questa società per tentare di stabilire un rapporto rivoluzionario fra l'arte e la vita", è nato ed è cresciuto, si è formato un figlio come Luca, già militante di Comunione e Liberazione, parlamentare dell’UDC, paladino contro l’aborto, il divorzio, uomo conservatore come suo padre era "contro", e "contro" il quale, nella sua fantasia, probabilmente sta ancora combattendo.

Guardandoli, e ascoltando Luca che parla in televisione, osservando la sua immagine conformista, i suoi modi trattenuti e rigidi, penso con un certo turbamento che sembra un destino della nostra specie che le colpe dei padri ricadano sui figli.


(Fathers and sons è il titolo di un famoso disco di Muddy Waters e di un libro di Ivan Turgenev)

lunedì, settembre 11, 2006

Cantico dei cantici

[1] Cantico dei cantici, che è di Salomone.

[2] Mi baci con i baci della sua bocca!
Sì, le tue tenerezze sono più dolci del vino.

[3] Per la fragranza sono inebrianti i tuoi profumi,
profumo olezzante è il tuo nome,
per questo le giovinette ti amano.

[4] Attirami dietro a te, corriamo!
M'introduca il re nelle sue stanze:
gioiremo e ci rallegreremo per te,
ricorderemo le tue tenerezze più del vino.
A ragione ti amano!

[5] Bruna sono ma bella,
o figlie di Gerusalemme,
come le tende di Kedar,
come i padiglioni di Salma.

[6] Non state a guardare che sono bruna,
poiché mi ha abbronzato il sole.
I figli di mia madre si sono sdegnati con me:
mi hanno messo a guardia delle vigne;
la mia vigna, la mia, non l'ho custodita.

[7] Dimmi, o amore dell'anima mia,
dove vai a pascolare il gregge,
dove lo fai riposare al meriggio, perché io non sia come vagabonda
dietro i greggi dei tuoi compagni.

[8] Se non lo sai, o bellissima tra le donne,
segui le orme del gregge
e mena a pascolare le tue caprette
presso le dimore dei pastori.

[9] Alla cavalla del cocchio del faraone
io ti assomiglio, amica mia.

[10] Belle sono le tue guance fra i pendenti,
il tuo collo fra i vezzi di perle.

[11] Faremo per te pendenti d'oro,
con grani d'argento.

[12] Mentre il re è nel suo recinto,
il mio nardo spande il suo profumo.

[13] Il mio diletto è per me un sacchetto di mirra,
riposa sul mio petto.

[14] Il mio diletto è per me un grappolo di cipro
nelle vigne di Engàddi.

[15] Come sei bella, amica mia, come sei bella!
I tuoi occhi sono colombe.

[16] Come sei bello, mio diletto, quanto grazioso!
Anche il nostro letto è verdeggiante.

[17] Le travi della nostra casa sono i cedri,
nostro soffitto sono i cipressi.

martedì, settembre 05, 2006



Nuovi stili

Ebbene, lo confesso: a me piace come si veste Ahmadinejad. E’ un tempo, questo, in cui i politici, i ministri, configurano il loro aspetto secondo canoni mediatici (spesso, quasi sempre, hanno anche dei consulenti d’immagine), scelgono i colori che rendono bene in televisione e così via (ovviamente il più televisivo del mondo è sempre stato Il Caimano). Ahmadinejad invece veste dimesso, con quelle camicie sempre senza cravatta, quelle giacche marroni, grigie, quei pantaloni che sembrano usciti da un supermarket americano economico. Mi ricorda qualcuno Ahmadinejad. Vedo in lui una continuità, un’evoluzione di certi stili. Mi sembra un punk. Sì, vi è stato un particolare filone del punk in cui i componenti – musicisti soprattutto – vestivano con abiti banali, ordinari, e non coi coreografici giubbotti di cuoio con le borchie, gli anfibi, e non si pettinavano con la cresta. Vestivano come operai delle suburbia inglesi, working class insomma, e in questo mi hanno sempre ricordato gli esponenti dei gruppi maoisti del decennio precedente, che vestivano ispirandosi agli operai in libera uscita, con camicie senza cravatta, giacche ordinarie, giubbotti da poco prezzo. Il gruppo più famoso che adottava questo stile, anche se è improprio definirlo punk in senso specialistico – ma era punk, aveva quel ritmo, quelle atmosfere – era certamente quello dei Joy Division, e i suoi componenti sembravano giovani operai che sul palco scatenavano forze oscure, selvagge. Ahmadinejad me li ricorda, e se lo guardo, così sotto le righe, così inelegante, immagino di vederlo su un palco che si trasforma, e canta, urla al microfono un pezzo dal titolo “Thermonuclear energy”.
Ahmadinejiad, una nuova generazione di punk: gli Islamic punk, la nuova tendenza.

venerdì, settembre 01, 2006

Ma che paese è questo?
Sull'ultimo numero de L'Espresso vi è un réportage a firma Fabrizio Gatti che non esito a definire terrificante. Il giornalista (sfatando, con questo pezzo, un po' di fama dei reporters italiani inclini alla pigrizia, poco propensi a buttarsi in inchieste sul campo rischiose e dagli esiti dubbi), fingendosi un lavoratore clandestino sudafricano (bianco) è andato in Puglia, a indagare sul mercato clandestino della raccolta dei pomodori. Avevamo letto varie inchieste su questo fenomeno di lavoro sommerso, e sulle condizioni di vera e propria schiavitù cui sono sottoposti gli immigrati, ma nessuno, mai, si era spinto tanto in profondità nel raccontare l'orrore e il regno degli Inferi sulla Terra. Narra Fabrizio Gatti dei padroni, che parlano con spiccato accento pugliese, e gestiscono campi di raccolta "sicuri, perché controllati dalla Mafia", che chiedono, ai novizi, di fornire loro una ragazza "da violentare" (di questo si occupano i famigerati "caporali", perlopiù maghrebini), oppure niente lavoro; di sequestri di persona, con pestaggi talvolta mortali; di paghe da fame per dodici, quattordici ore di lavoro; di obbligo di acquisto di cibi scadenti a prezzi di strozzinaggio, da cucinare nelle catapecchie in cui dormono, senza luce né acqua; di acqua non potabile, estratta da pozzi inquinati, che sono costretti a bere e a pagare; di continue angherie, umiliazioni, violenze, catture di fuggitivi; e i pochi che hanno tentato di rivolgersi alle cosiddette forze dell'ordine, cioè la questura di Foggia (siamo a due passi dal Gargano, zona ultraturistica), hanno ottenuto come unico risultato l'arresto e il rimpatrio per la Bossi-Fini, mentre i padroni, e i caporali, sono sempre liberi di agire indisturbati e impuniti. Ora, non so se vi sia qualche forzatura, diciamo alcune "spinte" giornalistiche, anche perché il servizio ha, in alcuni punti, come dei buchi, delle reticenze, dà come l'impressione di non avere approfondito abbastanza alcuni aspetti (per esempio le condizioni personali del giornalista, che sembra un po' fuori dalla storia), ma è enormemente verosimile, con dati, dettagli estremamente credibili. Mi sono chiesto come sia possibile che in un paese che non è il Brasile, con le favelas, o la frontiera degli USA col Messico, dove abbiamo letto altre storie raccapriccianti di sfruttamenti, o le periferie delle metropoli indiane o africane, ma un paese cosiddetto occidentale, possano esistere situazioni di tale orrore, e una tale inefficienza delle forzi di polizia. Poi vedo i governanti, in questo momento del centrosinistra, Prodi che sale su un aereo, D'Alema che parla della pace in Libano, e di nuovo mi chiedo se è tutto vero, o non siamo immersi in una sorta di incubo, di società scoppiata segmentata per spazi indipendenti, a sé stanti, con la schiavitù, i lager degni dei nazisti, i reality televisivi, i telegiornali, tutto, e tutto questo non sia reale, ma una catastrofe molecolare di organismi impazziti.

martedì, agosto 29, 2006


Bentornati

Bentornati a tutti, chi è stato in vacanza in agosto e chi no. Insomma, bentornati su questo sito, anche se gli aggiornamenti sono un po’ affannosi. Le idee sono tante, ma il tempo purtroppo è scarso, e così le energie, che talvolta stentano a produrre i fatti (gli scritti).
Intanto le letture estive. Quali sono state? Io mi ero portato in vacanza sul Gargano Pugni di Pietro Grossi (da terminare), Caos Calmo di Sandro Veronesi (di nuovo da terminare) e Il Vampiro Marius di Anne Rice (da iniziare), grande scrittrice di nero gotico di New Orleans (l’autrice del mitico Intervista Col Vampiro). Pugni l’ho finito, e l’ho anche recensito sulla Bottega di lettura di Vibrisse (cliccare qui per leggere), Caos Calmo pure, e sogno di recensirlo, ma non sarà facile, perché è un romanzo poderoso (e anche molto valido) con alcune complicanze interne difficili da trattare. Sperém! Il Vampiro Marius non l’ho neanche aperto. Avevo grandi progetti di letture, come un’ansia di riscatto per il poco tempo che riesco a dedicare a questa attività durante l’anno, ma tutto diventa sempre più difficile, e il sogno di rinchiudermi in uno studio (meglio se all’aperto, su una veranda o un terrazzo) a leggere e oziare, sembra irrealizzabile per me, almeno finché dovrò lavorare e occuparmi della famiglia. Ma forse è giusto così. Ho attraversato periodi, in passato, quando ero single, in cui non facevo nulla, leggevo, passeggiavo, ma provavo come un senso di implosione, di introversione implosiva, che, tra l’altro, fa parte del mio carattere. Forse è meglio essere costretti a uscire nel mondo, nel mondo cattivo e ostile, perché ci alleniamo a combattere e a sopravvivere. E a considerare la vita con un po’ di distacco e di serenità.

mercoledì, luglio 26, 2006


Una proposta decente

Dunque, tutto secondo copione. Dopo la prima, si diceva severa sentenza, la Corte federale ha praticamente passato la spugna sul calcio marcio. La solita soluzione all’italiana insomma, can can iniziale, paroloni, esibizione di muscoli, poi marcia indietro, la salvaguardia degli interessi degli sponsor, gli umori popolari ecc. Si pagano un po’ di multe (spiccioli, visti i bilanci delle squadre e gli stipendi dei dirigenti), si passerà un po’ di tempo in purgatorio, e poi via, tutto come prima.
Tutto normale.
A quanto pare i tifosi sono contenti. Li abbiamo visti manifestare il tv contro le retrocessioni delle proprie, adorate squadre. Questo è l’aspetto più singolare: i tifosi sono i truffati, i turlupinati, eppure si arrabbiano se i loro truffatori sono puniti.
A questo punto viene da dire: volete il calcio marcio? Volete essere truffati e derubati, e siete pure contenti? Bene, tenetevelo. E’ tutto vostro. Non ci vuole molto. Basta eliminare totalmente la cosiddetta giustizia sportiva. Via i tribunali, le Corti federali, basta con le pagliacciate. Che si combinino pure le partite, che si usino arbitri venduti, insomma, che si faccia del calcio una forma di wrestling. Che male ci sarebbe? In campo i calciatori potrebbero anche scatenarsi in risse, tanto sarebbe tutto finto, tutto preparato, nessuno si farebbe male. E tutti sarebbero contenti. Questa può sembrare una provocazione, una boutade, ma non è così. Il calcio è già putrefatto, legalizziamolo come sport finto, facciamone una forma di spettacolo fine a se stesso.
A questo punto all’inevitabile obiezione del tifoso onesto, che vorrebbe andare allo stadio per assistere a partite vere (“e io? Perché devo rinunciare a questo sport che amo?”), si può rispondere: “perché già ci rinunci. Perché sei preso in giro, e questo non è più uno sport” Che mandi tutto a quel paese e si rivolga ai campionati amatoriali, dove ancora si gioca per passione. E lo difenda dai predatori, il calcio amatoriale, perché il calcio-wrestling, non appena si accorgesse che esiste un territorio ancora vergine, si precipiterebbe armato fino ai denti per colonizzarlo immediatamente.

martedì, luglio 25, 2006


Time passed slowly?!?

L’articolo pubblicato lunedi nelle pagine culturali de La Repubblica, dove Michele Smargiassi racconta la storia del re del liscio Secondo Casadei, mi evoca qualche ricordo e anche una riflessione.
Riflessione: ad essere vecchiotti (sono nato nel 1953) si hanno degli svantaggi (acciacchi, stanchezze, la sensazione di avere perduto qualcosa che non tornerà, qualche rimpianto per occasioni mancate ecc.), ma anche qualche vantaggio, come per esempio avere conosciuto personaggi particolari del passato, carichi storia, di eroismi, di epica che i nostri tempi non contemplano più; avere visto luoghi e paesaggi scomparsi per sempre, distrutti dall’industrializzazione e dall’edilizia.
Un ricordo molto nitido è legato proprio al mondo primordiale del liscio. Da bambino i miei mi mandavano spesso in campagna, nei pressi di Lugo di Romagna, dai nonni, di antica famiglia bracciantile e contadina. Una volta, ed erano ancora i ’50, forse il 1958, il 1959, mi portarono a una festa per la mietitura del grano, che si teneva nella grande aia di una casa colonica vicina. Si mangiavano i prodotti della terra, frutta, verdura, e poi i salumi, il pane cotto nel forno domestico, si bevevano i vini del contadino, e si ballava. C'era un sacco di gente, famiglie del posto, ma anche molti giovani venuti da fuori, per ballare e magari “cuccare”. Sul ripiano di un carro per trasporto fieno c’era un complessino formato da una chitarra, una fisarmonica, un clarinetto (o meglio il clarinaccio, che è la versione romagnola) e un tamburo (non c’era la batteria, troppo ingombrante). Suonavano valzer, polke, pezzi veloci, anche se non ricordo il cantato, era tutto musicale. Sono quasi sicuro che eseguissero anche i famosi saltarelli, perché ricordo balli con le persone che si prendevano per mano e giravano in tondo, e non solo abbracciati nei valzer. Da qui Secondo Casadei ha importato il liscio. Ha preso quei ritmi, li ha elaborati, ha vestito i suonatori di lustrini e lamé, come le grandi orchestre leggere americane, ha scritto testi (orripilanti, come ha scritto Michele Serra in un box a corredo dell’articolo) e ha lanciato quel genere che, nel bene e nel male, ha sfondato nel mondo intero, e che oggi viene suonato e ballato in ogni angolo del pianeta, e fa stare in allegria.

martedì, luglio 18, 2006

venerdì, luglio 14, 2006

Schiuma hard-core

C’era un tipo – lo chiamavano Faustone – che conoscevo al paese, prima di emigrare a Roma per lavorare al giornale. Era un ragazzo di circa trent’anni, altissimo, sarà stato due metri e dieci, con una grande testa di capelli neri voluminosi e due mani enormi, due mazze che avrebbero atterrato un bue. Era un personaggio mitico, era stato sposato con una ragazza bellissima, molto alta anche lei (circa un metro e novanta), magra, nervosa, atletica. In un paese dove l’altezza media delle persone era di un metro e sessantacinque, loro due formavano una coppia che suscitava sconcerto, e, forse, ammirazione e invidia. Il matrimonio comunque durò meno di sei mesi, perché lei, un giorno, fu ricoverata in ospedale per le percosse ricevute. Almeno così si diceva, e la cosa mi stupì, perché ho sempre considerato Faustone un tipo generoso, un buono, sempre disponibile verso gli altri.

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martedì, luglio 11, 2006


Ma cosa dicono? Ma dove guardano? Ma a chi parlano?

Ieri guardavo distrattamente la RAI, solito servizio estivo dove parlavano della frutta. Hanno mostrato dei meloni, coi relativi prezzi. A Bologna, hanno detto, il melone costa 0.65 euro, meno che a Milano (0.85) e più che a Roma (0.45).
In serata sono andato alla coop di consumo per la la spesa, e l'occhio mi è caduto sui meloni: 1.88 euro. Ora mi chiedo: ma questi della RAI dove vivono? Dove prendono i prezzi? Sono prezzi all'ingrosso? Ma il programma non era mica per i grossisti. E' come con le temperature: dicono 30 gradi e invece sono sempre 36-38. Che sballo.

lunedì, luglio 10, 2006


Non ce la faccio (e forse non ce la farò mai)

Nei commenti al post precedente “Prepararsi all’evento” pap scrive: “campioni d'italia!!! Qui in questo paesotto romagnolo il dopo partita si è vissuto così, come una piccola grande occasione di sballo, di festa e trasgressione. Carri, carretti, moto auto strane, ma tutti senza casco, tutti imbandierati, pitturati, urlanti e suonanti. C'era di tutto, ragazze fuori dai finestrini, genitori con neonati al collo che avrebbero dormito volentieri nei loro letti, mamme che tiravano per le braccia bambini stanchissimi... Non ho visto vigili, né polizia. Mio figlio 13enne è tornato a casa alle 1145, troppo casino, ma... poi ha preferito chattare con il suo amico; mia figlia 15 enne invece e' rimasta là fino alla mezza, ma c'eravamo tutti... io ero solo impaurita da tanta anarchia stradale.Ma la partita e' stata piacevole, a parte Zidane”.
Questa è la festa, la gioia del 1982. Forse pap – azzardo una ipotesi parapsicologica – ha vissuto quei momenti ed ora cerca una riproposizione di quei sentimenti, che erano positivi, perché anch’io li ho vissuti.
Ma non è come nel 1982.
Io quando l’Italia ha vinto con la Germania sono stato costretto a uscire in macchina con mia figlia. Per strada c’erano gruppi di giovani iper-eccitati che gridavano contro le auto agitando i pugni e le bandiere coi manici. Non ero affatto tranquillo. Altri giovani carambolavano con auto e furgoni sbandierando fuori dai finestrini, col rischio di collisioni. Io non ero tranquillo per niente.
Quando l’Italia ha battuto l’Ucraina ero a Torbole sul Garda, e siamo usciti per una passeggiata. Auto strapiene di giovani sfrecciavano sulla Gardesana e tutti urlavano e agitavano i pugni. C’era anche un camion, col cassone aperto stracarico di giovani con enormi bandiere. Uno particolarmente alterato urlava: “io non sono un tedesco dimmerda, io sono italiano! Italiano!”. Ora, in una zona la cui prosperità deriva dal turismo, soprattutto tedesco – ed è un turismo educato e rispettoso, perché è legato allo sport, windsurf, mountain bike, free-climbing, trekking – si capisce il livello di lumpen-cultura cui fanno riferimento certi personaggi fanatici del calcio. Che non sono una sparuta minoranza, ma parte organica delle cosiddette curve, dove regnano razzismo, violenza, disprezzo per l’avversario. I loro eroi sono i calciatori, che insultano gli altri calciatori; è Totti, che sputò in faccia non ricordo a chi. Un loro eroe è Cannavaro, il capitano, esaltato, incensato in questi giorni oltre ogni limite, ripreso in un video mentre, prima di una partita, si faceva un perone in vena di una “sostanza consentita”.
Non è come nel 1982.
Intorno al calcio si è sviluppata una lumpen-cultura fatta di menzogne, volgarità, furto, prepotenza, vippismo e yuppismo, mafia. Tiziano Scarpa ha scritto un
pezzo di fredda ferocia su primo amore in cui afferma che questa cultura oggi in Italia ha vinto. Nel 1982 queste cose non c’erano, oppure se c’erano non si vedevano, e quindi la pentola non era ancora piena, non traboccava.
No, non è come nel 1982, e Napolitano non è Pertini.
In questi giorni sui media si è scatenato un fanatismo mediatico che mi ricorda il periodo spaventoso dei funerali del papa. Quello fu un esempio di regime totalitario mediatico realizzato. Scrivemmo che i media, la televisione soprattutto, si erano fatti prendere la mano, che avevano “esagerato”. No, non avevano esagerato. Questo è lo stile, questo è il sistema. Era così allora, lo è oggi e lo sarà domani. Il ritorno della squadra è stato salutato con toni di isterismo spinto a livelli estremi. Lippi è “il nostro caro leader Kim Il Sung”; è la televisione di un regime di pazzi, di agit-prop di un miculpop.
Io non ce la faccio a esaltarmi. Non è per snobismo, non è per la solita sindrome del perdente a tutti i costi. Quando guardavo le partite, e vedevo i miliardari italiani che correvano sul campo, con la parte razionale di me riconoscevo che giocavano bene, forse meglio degli altri; ma non ce la facevo a gasarmi, a fare il tifo per loro. Ci ho provato, davvero, mi sono impegnato. Mi sono detto “ma insomma, prova a condividere questa gioia, prova per un attimo a uscire dal tuo solito stato di oscurità critica, di NO a oltranza, che ti rende sempre un po’ eccentrico, anomalo, imbarazzante con gli altri”. Ho provato, con tutte le mie forze, ma non ce l’ho fatta. E so che forse non ce la farò mai. Mi venivano in mente gli striscioni razzisti degli stadi, e “io non sono un tedesco dimmerda”, e il partito trasversale di deputati e Mastella che invocavano l’amnistia in caso di vittoria del mondiale (poi corretto in “atto di clemenza”, ma cosa cambia?). Vale a dire l’accettazione istituzionale del superimputridimento che regna intorno al calcio, nel calcio. Peggio dei condoni di Tremonti.
Intanto c’è un governo di centrosinistra che, per risollevare i conti pubblici, sta per varare misure finalmente nuove, che tengono conto delle speranze di noi che l’abbiamo votato: tagli alla sanità, alle pensioni e al pubblico impiego. Era ora, qualcosa di sinistra.
Già, ma chi se ne frega? L’Italia è CAMPIONE DEL MONDO, si va in giro a urlare “viva l’Italia, grande Italia, sono fiero di essere italiano, non sono un tedesco dimmerda!”. Siamo tutti uniti intorno al nostro “caro leader Kim Il Sung”, con un bandierone in mano e la televisione che urla per noi.

E veniamo alla famosa testata di Zidane. Si è trattato di un gesto inqualificabile, ed è stato giusto il provvedimento di espulsione. Non si può rispondere con un’aggressione a una provocazione verbale, per quanto grave sia. Però tra le urla di “siamo italiani!” sarebbe opportuno tentare di chiarire cosa ha davvero detto e fatto Materazzi. Il Guardian ha scritto che gli ha lanciato l’accusa di “terrorista”; poi ha smentito, ma sappiamo il peso che hanno le smentite. Terrorista rivolto a un algerino, con la storia che ha alle spalle, con la guerra di liberazione che è costata migliaia di morti, e la retorica che identifica gli arabi coi terroristi, è una provocazione pesantissima, perdidipiù lanciata a freddo, con cattiveria. Inoltre un gruppo di non vedenti avrebbe letto sulle labbra di Materazzi l’epiteto di “puttana” rivolto alla sorella. Mentre scrivo sono solo ipotesi, ma perché non cercare di fare chiarezza? Perché non attribuirle tutte, le responsabilità?

Già, ma chi se ne frega? Basta agitare le bandiere, bruciare qualche cassonetto, sognare di essere un calciatore miliardario che si cucca le veline e ha la Ferrari e la BMW e la Merceds e il SUV. Mica siamo tedeschi dimmerda noi, italiani siamo, campioni del mondo.

giovedì, luglio 06, 2006


Prepararsi all'evento

Bisogna prepararsi. E’ possibile che l’Italia vinca la finale e quindi il mondiale. Questa non è una previsione ma una semplice constatazione che la Nazionale può competere ad armi pari con la Francia. La TV ci ha mostrato le “feste” nelle piazze d’Italia, dove centinaia di migliaia di persone – soprattutto giovani e giovanissimi – in stato di fortissima alterazione manifestavano la loro “gioia” per le vittorie della squadra.
Se vinciamo la finale questa “gioia” salirà a livelli di parossismo, con episodi anche critici di fanatismo di massa ecc. Ora questo fatto mi induce a una riflessione: qua a Bologna ci sono state polemiche molto accese sul Rave Party che ha sfilato per la città. Musica ad alto volume, gente che grida, balla, espleta bisogni fisiologici, getta rifiuti. La Giunta ha tentato di negareil permesso, adducendo motivi di quiete pubblica, e l’emergenza rifiuti (in sostanza, chi paga per la pulizia); tutte problematiche e obiezioni che hanno riscosso un altissimo consenso da parte dei cittadini.
Dunque, il Rave è rumore, rifiuti. E le notti di baldoria dei dopo-partita? Sempre la TV ha mostrato le piazze letteralmente cosparse di rifiuti. Chi ha pagato? Chi pagherà se la Nazionale vince? E il rumore?
Ma non vi è obiezione che tenga. Il Rave è degrado, mentre le notti di baccanale dei dopo partita, con tutti i loro carichi di rumore, fumogeni, clacson, addirittura gimkane con moto nelle zone pedonali, sono “festa” e “gioia”.
Ma come sarà?

domenica, luglio 02, 2006


La sindrome di Gastone

Quando io e il vecchio Loris, il mio grande amico del 1970, partimmo in autostop verso Amsterdam, non potevamo immaginare ciò che sarebbe successo. Eravamo non solo amici, ma anche soci: soci nel condividere la scelta culturale di quel periodo, una scelta freak, undergound-letteraria, una scelta di rifiuto radicale del Sistema. Io ero kerouchiano, lui ginsberghiano; io ero per una scrittura classica, una scrittura narrativa, lui un surrealista poetico; ci univa l’adorazione per Jimi Hendrix (io poi lo imitavo anche nell’aspetto, e il mio soprannome tra gli amici era proprio Jimi), l’amore per la libertà, per l’apertura delle coscienze.

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mercoledì, giugno 21, 2006


Nascere

(Questo pezzo è sul sito di Wu Ming e fa parte di una recensione di Dies Irae di Giuseppe Genna inclusa nell'ultimo numero di Nandropausa. L'autore è Wu Ming 1)

... perché adesso lo so, so cosa vuol dire avere un figlio (figlia, nel mio caso), io so quanto progetto e fatica, quanta - semplicemente - vita si dedica e si riversa e prende forma in un figlio, il pensiero il sesso la gravidanza il travaglio il parto, l'aria che brucia prima la pelle e poi i polmoni, il pianto, il neonato non sa dove si trova e perché, non sa nemmeno chi è, cos'è, non vede niente, tutto è sfocato, le prime ore accanto alla madre, la fatica della suzione e la mandibola che fa male, e un'ora dopo la prima di tante coliche, aria che preme la pancia da dentro, esperienza di un dolore terribile senza parole per confinarlo, il bimbo non sa cosa né perché, la fame è un demone che morde, l'urlo e il pianto, la testa è pesantissima e il collo non la sorregge, e la fatica del genitore, i risvegli notturni che spezzano il sonno e la schiena, il correre in aiuto al minimo segno, l'ansia, respira?, dorme?, ha mangiato?, e il primo sorriso a farti sapere che ti è grato, cerca di darti in cambio quel poco che può ed è tantissimo, è tutto quel che ti importa, è un mondo intero che ti riempie le arterie, il miracolo di una bocca che si inarca, e il bimbo assimila, impara a tenere alta la testa, intreccia le mani, esplora il proprio corpo, mette a fuoco la vista, si impegna a stare seduto, e l'impresa del gattonare, e l'incubo della dentizione, lame che tagliano le gengive da sotto, la testa segata in due da nuovo dolore, male dentro le orecchie e malanni, e impara ad aggrapparsi e alzarsi in piedi, muove i primi passi, e nel frattempo cresce, impara, supera le malattie, afferra le cose del mondo, estende i campi sinaptici, partecipa all'impresa, s'inventa nuovi modi di ringraziarti per quello che fai, e il primo farfugliare parole immaginarie, fonemi liberi a circondare i primi nuclei di senso, i "mammamma" e "baba", e sempre avanti, sempre meglio, le parole, la corsa, il gioco, l'asilo, gli altri bimbi, la materna, la sfilza dei "perché?", la scuola, la vacanza dalla scuola, il sole, il profumo dell'erba, la mezza sera...

lunedì, giugno 19, 2006

Superimputridimento

Dunque un'altra pentola è stata scoperchiata, e dentro bolle una brodaglia putrefatta, tanto per cambiare: la vicenda di The Prince si colora di tinte sempre più fosche, e vengono fuori i favori dei politici, i ricatti, i voti. Tra l'altro in una intercettazione The Prince e un compare dicevano, tra le risate, che Giuliana Sgrena avrebbero dovuto farla fuori davvero, poi dicevano che dovrebbero darla in pasto alle truppe irachene perché la stuprino a morte, poi farla a pezzi e "buttarla via". Il livello di imputridimento del nostro paese credo sia salito a un livello terminale. La putrefazione è passata ormai nel senso comune, si dà per scontato che la corruzione, il furto, la volgarità, la sciatteria, lo sciacallagio siano "normali", se non giusti, e i furbi e i delinquenti istituzionali che rubano e la fanno franca sono addirittura oggetto di amirazione. Credo che il livello di corruzione e di imputridimento del nostro paese non abbia eguali in Europa, forse in tutto il mondo occidentale. Credo che per trovare qualcosa di simile bisogna fare riferimento a certi regimi tribali dei signori della guerra africani.
Mi chiedo, e non so trovare una risposta, perché è andata così.

sabato, giugno 17, 2006


The Prince

Dunque quest'uomo è stato sbattuto in galera. La sua nuova vita di italiano libero, rientrato in Italia dopo una lunga trafila e lo sblocco dell'esilio costituzionale operato dal gov Berlusconi, è durata quattro anni. L'accusa è pesante: "associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, al falso e allo sfuttamento della prostituzione". Il figlio, il principe Emanuele Filiberto, che è stato anche opinionista di Piero Chiambretti, grida alla vergogna, ma ci sono le intercettazioni che lo inchiodano.
Quest'uomo trent'anni fa ha ammazzato un ragazzo tedesco, Dirk Hammer, perché nel panfilo vicino al suo il playboy miliardario Nicky Pende faceva rumore, così è uscito con un fucile, ha sparato sulla barca e ha ucciso un ragazzo che dormiva a bordo. Quest'uomo, per quel delitto, non ha fatto neanche un minuto di galera.
Quest'uomo è stato fotografato nel giardino di una delle sue ville da un fotografo di cronaca rosa, un paparazzo, armato come un pistolero. Aveva un cinturone di cuoio con due colt da far west, perché ha la passione delle armi, una passione infantile, però gioca con armi vere, e cariche.
Quest'uomo ogni volta che parla in pubblico manda in fibbrilazione la moglie, l'arcigna principessa Marina Doria, perché si sbaglia, si confonde, dice cose imbarazzanti. Più di una volta la principessa si è arrabbiata in pubblico, è sbottata "ma che dici! ma che dici!" e lui la guardava smarrito, o spaventato.
Quest'uomo, se nel dopoguerra non avesse vinto la Repubblica, oggi sarebbe il nostro Re.

giovedì, giugno 15, 2006

Bisogna essere assolutamente moderni
diceva il Maestro.
Ecco quindi tre titoli (moderni) di libri:
Bella, ricca e stronza
di Giulio Cesare Giacobbe (Mondadori)
Gli uomini preferiscono le stronze - falli soffrire
di Sherry Argov (Piemme)
Bisogna avere i coglioni per prenderlo nel culo
di Aldo Busi (Mondadori)
Qualcuno riesce ad essere più moderno di così?

sabato, giugno 10, 2006


Ci togliamo la brutta polvere della necrofilia con questa poesia di Emily Dickinson del 1859.



Portami il tramonto in una tazza,
sommami le caraffe del mattino
e dimmi quante stillano di rugiada.
Dimmi fin dove salta il mattino –
Dimmi fin quando dorme colui
che intrecciò e lavorò la vastità d’azzurro.

Scrivimi quante sono le note
tra i rami incantati
raccolte nell’estasi del nuovo pettirosso –
E quanti viaggi della tartaruga –
E quante le coppe di cui l’ape si nutre,
Baccante di rugiada!

E ancora, chi posò i moli dell’arcobaleno,
chi conduce le docili sfere
con vinchi di morbido azzurro?
E ancora quali dita rinsaldano le stalattiti,
chi conta le conchiglie della notte,
per vedere che non ne manchi nessuna?

Chi costruì questa casupola bianca
e così salde ne serrò le finestre
che al mio spirito non è dato vedere?
Chi mi farà uscire un giorno di gala
e mi darà quanto occorre per volar via
più sfarzosamente di un re?

venerdì, giugno 09, 2006


Viva la Muerte (tua)

Straordinaria incursione nella necrofilia pura di alcuni fogli della destra. La Padania sbatte in prima il ritratto del cadavere di Al Zarqawi e titola: "Adesso brucia all'inferno" (ma chi glielo ha detto? Hanno un canale privilegiato con l'al di là?). Libero, come al solito, ci va ancora più pesante: la stessa foto e il titolo: "Uno in meno". Ovviamente chi scrive queste cose è un paladino delle radici cristiane dell'Europa ecc., e chissà come hanno titolato la strage dei marines in Iraq, coi bambini freddati nei letti. Ma non è questo il punto, nessuno si stupisce più di nulla; invece mi chiedo: se non ci fossero più gli Al Zarqawi, il terrorismo, la guerra, le stragi; se cioè il mondo andasse verso la pace e la tolleranza, il rispetto degli altri e dell'ambiente, costoro dove sfogherebbero la loro devianza necro? Non è che in un mondo finalmente pacificato ci troveremmo un piccolo esercito di serial killers in libertà?

giovedì, giugno 08, 2006


Ma la realtà conta?

Dunque ci siamo: la Nazionale è sbarcata. E’ estremamente interessante vedere come, ancora una volta, un evento che dovrebbe essere formato da una concatenazione di fatti verificabili , viene descritto dai giornali. La realtà ormai è unicamente un argomento di lettura, di libera interpretazione.
La Repubblica e Il Corriere della Sera scrivono che l’arrivo è stato defilato, che il gruppo di giocatori, dirigenti e allenatori hanno deliberatamente evitato i tifosi. “Gli azzurri non si concedono a tifosi e giornalisti – allenamento a porte chiuse” (La Repubblica); “La nazionale in Germania, ma sfugge ai tifosi” (Corriere); La Stampa parla apertamente di contestazioni: “Tifosi arrabbiati: sapete solo rubare”. Echeggiano quindi gli scandali, il discredito che si è abbattuto sul nostro calcio.
Invece vediamo i quotidiani sportivi: Tuttosport enfatizza: “Orgoglio azzurro, la Nazionale trova tanto affetto e aria pulita”; La Gazzetta dello Sport: “Italia, un bagno di entusiasmo, accoglienza calorosa per gli Azzurri”. Sembra inverosimile una tale diversità di vedute, una falsificazione così paradossale della realtà.
I fatti spariscono, restano le opinioni, le favole, le frottole.