Un viaggio di Tiziano Terzani
Da tempo volevo affrontare l’opera di Tiziano Terzani, l’autore delle Lettere contro la guerra, ma poiché è uno scrittore molto prolifico, non riuscivo a decidere come e quando cominciare. Partire dall’ultimo libro, Ultimo giro di giostra, che per le tematiche affrontate è quello che più mi interessa? In libreria a lungo soppesavo i grossi tomi, e leggiucchiavo qua e là, senza capirci granché, come al solito (questo, dicono, è il sistema usato dagli editori per valutare i manoscritti, ma non fa per me); infine ho comprato due testi, l’ultimo, ovviamente, ma l’ho riposto sullo scaffale, perché ho deciso di iniziare con Buonanotte signor Lenin, l’opera del Terzani giornalista, del Terzani operativo, del grande viaggiatore. Quello che segue è il resoconto di questa lettura, mentre Ultimo giro di giostra attualmente è a pagina 80.
Nel 1991 il nostro autore si trova all’estremo confine dell’ex URSS con la Cina, lungo il fiume Amur, quando viene raggiunto dalla notizia del tentativo di colpo di Stato contro Gorbaciov e la sua perestrojka (ricordate le immagini dei carri armati e di Eltsin sulle barricate?). Immediatamente l’infallibile fiuto del grande giornalista intuisce che la svolta è storica: la caduta definitiva del regime. Inizia così un viaggio, spesso con mezzi di fortuna, attraverso l’immenso territorio dell'URSS, nella Russia asiatica, nel Caucaso musulmano, fino a Mosca. E’ una discesa agli inferi: come l’autore – e con lui il lettore – ha capito, in realtà il regime è già caduto, si è sgretolato nella sua inefficienza, nei continui niet, feroci ed esilaranti, che accompagnano il viaggiatore in cerca di una stanza, un biglietto, un’informazione; è tracollato nell’apatia della gente, nel fatalismo senza speranza, nella corruzione. Quello che resta è un ammasso di rovine, terra di conquista di mafiosi rampanti, imprenditori senza scrupoli, politici riciclati. Ovunque vi è grigiore, povertà estrema, infelicità. Le persone sono di aspetto trascurato, malaticcio, curve sotto il peso della miseria e della sventura : “C’è un dettaglio piacevole? Una faccia sorridente? Mai”. E’ un’umanità spettrale, che si trascina per strade dissestate e fangose. La potenza di un tempo, la tracotanza del regime sono visibili solo dalle gigantesche statue di Lenin e degli eroi della rivoluzione che troneggiano in ogni città, in ogni piazza; oppure dai resti dell’edilizia sovietica, tronfia, minacciosa, simbolo della brutta architettura comunista. Per il resto le città e i villaggi sono degradati oltre ogni limite e tutto cade a pezzi, tutto è invaso da rifiuti, mentre i popoli si dividono, e tornano a riaffiorare antichi odi.
Il Terzani di questo libro, di questo viaggio, è il grande reporter che studia l’ambiente e i personaggi, che vuole conoscere, che intervista, che scava sotto la superficie dell’apparenza, che raccoglie informazioni con instancabile, meticolosa precisione. Racconta storie, fornisce dati, cenni storici. Non è Bruce Chatwin, non è lunare, sognatore; è uno scrittore di viaggi funzionale all’uso, esatto, coerente; per cui non abbiamo dubbi sul fatto che ciò di cui ci parla corrisponde alla realtà dei fatti; non dubitiamo che il disastro sociale che ci descrive sia reale, e probabilmente irreversibile.
Eppure, qualcosa mi ha disturbato. Più volte ho avuto la tentazione di abbandonarlo, per una irritazione serpeggiante che “scaldava” la lettura fino a provocare una vera e propria ripulsa. Perché? L’ho scoperto presto. Nel testo aleggia, come una sovrastruttura non scritta, non dichiarata, un eccesso di anticomunismo che sfugge al metro esatto col quale l’autore misura la realtà. Qui non si vogliono certo giustificare le catastrofi causate dalle politiche sociali e ambientali del regime, ma non si può, in una analisi storica, non diversificare la Rivoluzione d’Ottobre dall’involuzione stalinista, dalla chiusura estrema causata anche dalla Guerra Fredda. Capire non è giustificare. Occorre semplicemente mantenere la lucidità fino in fondo. Terzani inorridisce di fronte all’architettura comunista, fatta di casermoni, alveari, scatoloni che deturpano il paesaggio; rimpiange l’eleganza zarista, il culto del bello, cancellato dalla brutalità dell’industria pesante sovietica. E’ vero, come negarlo? Ma non può esservi solo rimpianto. Come possiamo dimenticare che l’eleganza degli zar era costruita sulla miseria nel popolo russo, e gli eleganti edificatori rubavano persino il latte che serviva per alimentare i bambini? E che i quartieri-mostro edificati dal regime, obbrobri che ora bisognerebbe abbattere, servivano per dare una casa a tutti? Questo fatto non rappresenta certo una giustificazione, ma deve comunque essere valutato, ha un peso, un valore. E talvolta Terzani è costretto ad ammetterlo, seppure a denti stretti: al vecchio ordine repressivo e ottuso, corrotto e volgare, si sostituisce il non-ordine del denaro, della prepotenza e della speculazione, con una tale violenza che in certi casi si può addirittura rimpiangere il passato.
Molti libri, anche grandi, hanno dei difetti: in certi casi è la noia, la piattezza della scrittura, il manierismo, una trama troppo intricata, un eccesso di personaggi, e altro ancora; dalla gravità di questi difetti, e dalla bellezza dell’opera, dipende la possibilità di perdonarli oppure no. Il difetto di questo libro di Terzani, un anticomunismo che talvolta assume toni berlusconiani (c’è addirittura “la mente irriverente e sacrilega dei comunisti sovietici”) è perfettamente perdonabile, perché scaturisce dal profondo di una personalità anarco-borghese che ha orrore dell’ordine costituito, delle leggi, dei divieti; ed è bilanciato dalla vivacità della narrazione, dalla quantità di storie che ci meravigliano, ci stupiscono, ci fanno ridere e riflettere; dalla folla di personaggi strambi, dalle leggende, dalla pazzia che lo pervade; e dalla sincerità del suo autore, che è forse il pregio più grande e indimenticabile.
Da tempo volevo affrontare l’opera di Tiziano Terzani, l’autore delle Lettere contro la guerra, ma poiché è uno scrittore molto prolifico, non riuscivo a decidere come e quando cominciare. Partire dall’ultimo libro, Ultimo giro di giostra, che per le tematiche affrontate è quello che più mi interessa? In libreria a lungo soppesavo i grossi tomi, e leggiucchiavo qua e là, senza capirci granché, come al solito (questo, dicono, è il sistema usato dagli editori per valutare i manoscritti, ma non fa per me); infine ho comprato due testi, l’ultimo, ovviamente, ma l’ho riposto sullo scaffale, perché ho deciso di iniziare con Buonanotte signor Lenin, l’opera del Terzani giornalista, del Terzani operativo, del grande viaggiatore. Quello che segue è il resoconto di questa lettura, mentre Ultimo giro di giostra attualmente è a pagina 80.
Nel 1991 il nostro autore si trova all’estremo confine dell’ex URSS con la Cina, lungo il fiume Amur, quando viene raggiunto dalla notizia del tentativo di colpo di Stato contro Gorbaciov e la sua perestrojka (ricordate le immagini dei carri armati e di Eltsin sulle barricate?). Immediatamente l’infallibile fiuto del grande giornalista intuisce che la svolta è storica: la caduta definitiva del regime. Inizia così un viaggio, spesso con mezzi di fortuna, attraverso l’immenso territorio dell'URSS, nella Russia asiatica, nel Caucaso musulmano, fino a Mosca. E’ una discesa agli inferi: come l’autore – e con lui il lettore – ha capito, in realtà il regime è già caduto, si è sgretolato nella sua inefficienza, nei continui niet, feroci ed esilaranti, che accompagnano il viaggiatore in cerca di una stanza, un biglietto, un’informazione; è tracollato nell’apatia della gente, nel fatalismo senza speranza, nella corruzione. Quello che resta è un ammasso di rovine, terra di conquista di mafiosi rampanti, imprenditori senza scrupoli, politici riciclati. Ovunque vi è grigiore, povertà estrema, infelicità. Le persone sono di aspetto trascurato, malaticcio, curve sotto il peso della miseria e della sventura : “C’è un dettaglio piacevole? Una faccia sorridente? Mai”. E’ un’umanità spettrale, che si trascina per strade dissestate e fangose. La potenza di un tempo, la tracotanza del regime sono visibili solo dalle gigantesche statue di Lenin e degli eroi della rivoluzione che troneggiano in ogni città, in ogni piazza; oppure dai resti dell’edilizia sovietica, tronfia, minacciosa, simbolo della brutta architettura comunista. Per il resto le città e i villaggi sono degradati oltre ogni limite e tutto cade a pezzi, tutto è invaso da rifiuti, mentre i popoli si dividono, e tornano a riaffiorare antichi odi.
Il Terzani di questo libro, di questo viaggio, è il grande reporter che studia l’ambiente e i personaggi, che vuole conoscere, che intervista, che scava sotto la superficie dell’apparenza, che raccoglie informazioni con instancabile, meticolosa precisione. Racconta storie, fornisce dati, cenni storici. Non è Bruce Chatwin, non è lunare, sognatore; è uno scrittore di viaggi funzionale all’uso, esatto, coerente; per cui non abbiamo dubbi sul fatto che ciò di cui ci parla corrisponde alla realtà dei fatti; non dubitiamo che il disastro sociale che ci descrive sia reale, e probabilmente irreversibile.
Eppure, qualcosa mi ha disturbato. Più volte ho avuto la tentazione di abbandonarlo, per una irritazione serpeggiante che “scaldava” la lettura fino a provocare una vera e propria ripulsa. Perché? L’ho scoperto presto. Nel testo aleggia, come una sovrastruttura non scritta, non dichiarata, un eccesso di anticomunismo che sfugge al metro esatto col quale l’autore misura la realtà. Qui non si vogliono certo giustificare le catastrofi causate dalle politiche sociali e ambientali del regime, ma non si può, in una analisi storica, non diversificare la Rivoluzione d’Ottobre dall’involuzione stalinista, dalla chiusura estrema causata anche dalla Guerra Fredda. Capire non è giustificare. Occorre semplicemente mantenere la lucidità fino in fondo. Terzani inorridisce di fronte all’architettura comunista, fatta di casermoni, alveari, scatoloni che deturpano il paesaggio; rimpiange l’eleganza zarista, il culto del bello, cancellato dalla brutalità dell’industria pesante sovietica. E’ vero, come negarlo? Ma non può esservi solo rimpianto. Come possiamo dimenticare che l’eleganza degli zar era costruita sulla miseria nel popolo russo, e gli eleganti edificatori rubavano persino il latte che serviva per alimentare i bambini? E che i quartieri-mostro edificati dal regime, obbrobri che ora bisognerebbe abbattere, servivano per dare una casa a tutti? Questo fatto non rappresenta certo una giustificazione, ma deve comunque essere valutato, ha un peso, un valore. E talvolta Terzani è costretto ad ammetterlo, seppure a denti stretti: al vecchio ordine repressivo e ottuso, corrotto e volgare, si sostituisce il non-ordine del denaro, della prepotenza e della speculazione, con una tale violenza che in certi casi si può addirittura rimpiangere il passato.
Molti libri, anche grandi, hanno dei difetti: in certi casi è la noia, la piattezza della scrittura, il manierismo, una trama troppo intricata, un eccesso di personaggi, e altro ancora; dalla gravità di questi difetti, e dalla bellezza dell’opera, dipende la possibilità di perdonarli oppure no. Il difetto di questo libro di Terzani, un anticomunismo che talvolta assume toni berlusconiani (c’è addirittura “la mente irriverente e sacrilega dei comunisti sovietici”) è perfettamente perdonabile, perché scaturisce dal profondo di una personalità anarco-borghese che ha orrore dell’ordine costituito, delle leggi, dei divieti; ed è bilanciato dalla vivacità della narrazione, dalla quantità di storie che ci meravigliano, ci stupiscono, ci fanno ridere e riflettere; dalla folla di personaggi strambi, dalle leggende, dalla pazzia che lo pervade; e dalla sincerità del suo autore, che è forse il pregio più grande e indimenticabile.
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