Il velo dipinto, di W. Somerset Maugham
Chi ha amato Jane Austen apprezzerà la prima parte di questo libro. Vi è, infatti, una narrazione molto inglese sui rapporti familiari e matrimoniali, all’interno del sistema convenzionale e formale britannico che tutto modella e plasma: quell’aplomb all’apparenza garbato e signorile che in realtà è totalitario e violento, perché soffoca le emozioni, i desideri, gli ideali, le speranze.
Da Jane Austen sappiamo che una donna, nell’Inghilterra dell’Ottocento, aveva come unica possibilità di realizzazione quella di sposarsi. Da sola, era perduta; una delle grandezze della Austen è di avere mostrato donne indipendenti, tenaci, anche se bene inserite nel sistema. La storia – ci racconta Somerset Maugham – non è affatto cambiata nel primo Novecento, l’epoca in cui è ambientato Il velo dipinto, famoso romanzo apparso nel 1925 dal quale fu tratto un film interpretato da Greta Garbo, e un
Kitty è giovane, bella, brillante, spiritosa, e deve – assolutamente deve – sposare un buon partito. L’ha deciso la madre, una donna dura, caparbia, che si consuma nell’insoddisfazione, col marito giudice che non riesce ad avere un incarico abbastanza elevato che gli/le permetta, finalmente, di salire la ripida scala sociale. Kitty va ai balli, ai ricevimenti, ma il tempo passa e nessun pretendente degno di rispetto si fa avanti: solo sbarbatelli spiantati o uomini maturi, vedovi con figli a carico. Ma com’è possibile? si adira la madre. Intanto la sorella minore, più bruttina, e scialba, sposa addirittura un baronetto. Kitty ha già 25 anni, un’età pericolosa, perché si avvicina quella tragica della zitella ormai irrecuperabile. La madre è di pessimo umore, atterrita all’idea di ritrovarsi una figlia anziana tra i piedi. Così fa pressione sulla figlia. Vuole decidersi a sposarsi? Kitty avverte questa pressione su di sé, e va in crisi, ma non può materializzare dal nulla un valido uomo inglese con una professione abbastanza prestigiosa e un solido conto in banca.
Poi arriva Walter Fane. E’ "un batteriologo" (oggi si direbbe virologo), il che non è certo il massimo per le ambizioni della madre. Inoltre è un tipo poco brillante dal punto di vista mondano, è un tipo chiuso, modesto; però ama Kitty, e poi non si può andare tanto per il sottile, vista l’età non più giovanissima della figlia. Inoltre Walter lavora nella colonia cinese, a Hong Kong, e se la porterebbe via, eviterebbe la minaccia di una figlia non sposata in giro per casa. Il matrimonio viene combinato e Kitty parte per la Cina.
E qui inizia la seconda parte, quella che viene definita "esotica". Troviamo Kitty amante del più bel tomo di Hong Kong, Charles Townsend, il vicesegretario della colonia, un incarico che promette un futuro radioso. I loro incontri avvengono in una stamberga in affitto, ma talvolta anche nella casa di lei, quando il marito è al lavoro. Ma Walter, che non è uno stupido, mangia la foglia, e le dà un ultimatum: o la segue in una città dell’interno, dove è in atto una grave epidemia di colera, oppure chiederà il divorzio, tirando dentro anche Townsend. Kitty è adirata, ma anche disperata. Un divorzio significherebbe tornare a Londra, dalla madre. Così ne parla a Charles, che l’ama follemente: perché non accettare il divorzio, e coronare così il loro sogno d’amore? Ma Charles, come da copione, rivela la sua vera natura: un divorzio? Uno scandalo? E il lavoro? E i figli? Insomma, Kitty deve adeguarsi, non deve avere atteggiamenti estremi. Kitty capisce che Charles è in realtà un mollusco, un essere meschino, ed è stata una sciocchezza credere in lui. Amareggiata, delusa, decide di seguire Walter.
A questo punto passiamo alla terza parte, la più dura. Il romanzo infatti assume le sembianze di trattato edificante, la morte, la sofferenza, e la lotta senza quartiere contro il male. Ci sono le suore, che mettono a repentaglio la loro vita, col personaggio trasfigurato della Madre Superiora, descritta come una figura sovrumana, sia nel carattere sia nell’aspetto fisico: la sua faccia è sempre "bella" e "austera" e "maestosa", mentre la sua personalità "era simile a una terra che al primo approdo appare grande ma inospitale, e in cui poi si scoprono piccoli villaggi ridenti in mezzo agli alberi da frutta nei recessi delle montagne maestose, e fiumi leggiadri che scorrono lenti tra praterie rigogliose". E’ il corpo centrale del libro, il più problematico, perché i numerosi, imbarazzanti virgulti lirici spingono ad abbandonare la lettura. Infastidisce anche un certo razzismo serpeggiante, i cinesi sono sempre e solo i musi gialli, i "coolie", figure indistinte, ombre senza identità, mentre il mondo è rappresentato unicamente dagli algidi inglesi, anche se descritti in tutte le loro bassezze e contraddizioni. Il racconto prende un po’ di respiro quando si addentra nel rapporto tra Kitty e Walter, un rapporto senza amore, fatto di silenzi, incomprensioni, rancori, e procede con alti e bassi fino al finale, prevedibile, particolarmente adatto a un dramma da trasporre nella versione cinematografica.
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