lunedì, giugno 11, 2007


A piedi è meglio

Claudio Sabelli Fioretti, già direttore di Cuore, e mio direttore ai tempi di Panorama Mese quando io ero uno dei fotografi di redazione, è partito per un viaggio a piedi da Lavarone, dove vive, a Roma, insieme all’amico Giorgio Lauro (uno dei redattori di Catersport, il programma sportivo di Radio 2). Poiché ricevo un diario di viaggio sotto forma di mail, ho pensato di pubblicare questi tre pezzulli; i numeri 2 e 3 riguardano l’acquisto e la preparazione dello zaino, evento fondamentale e delicatissimo per ogni viaggiatore.

1) Chissà perché quel giorno io gli dissi: "Mi piacerebbe andare a Roma a
piedi". Di cazzate io ne dico spesso. La settimana prima avevo detto:
"Vorrei fare la transiberiana da Leningrado a Pechino". E la settimana
prima andavo dicendo: "Compro un camper di lusso e giro per un anno
l'Africa". Oppure: "Prendo un aereo per la Norvegia e mi faccio tutte
le tappe della nave postale". Nessuno mi dava retta e nessuno mi
rispondeva. Al massimo qualcuno si faceva una risata e mi diceva: "Io
invece vado al Polo Sud". Gente che non sa sognare. Invece quel giorno
che gli dissi che avrei voluto andare a Roma a piedi Giorgio Lauro mi
ascoltò con grande attenzione e mi rispose: "Anche io". Bastano due
parole a volte per dare una svolta alla propria vita. Figuriamoci se
non bastano a cambiare il programma di un'estate. E allora niente
fiordi, niente camper, niente transiberiana. Via verso la Capitale. A
piedi. Lentamente.
Con Giorgio non è difficile mettersi d'accordo. Ma mentre io sono in
anno sabbatico, lui lavora. "Fino a quando?", chiedo. "L'ultima
partita è mercoledì 6 giugno", dice Giorgio. La vita di Giorgio è
scandita dal campionato di calcio. Ci sono disgrazie peggiori ma mica
tante. Giorgio, insieme a Sergio Ferrentino e Marco Ardemagni, tutte
le domeniche che dio manda in terra, e quasi tutti i mercoledì, si
occupa di calcio. Lo pagano per questo. E anche bene. Ma basta per
rovinarsi l'esistenza? L'umanità ha questa splendida vocazione ad
autodistruggersi, il calcio. "Bene", dico io. "Si parte l'otto
giugno". "No", dice lui. "Partiamo il sette". Guai a perdere un
giorno. Le Grandi Scelte hanno bisogno di tempi rapidi. Cotte e via.


2) E così siamo partiti il 7 giugno 2007. O meglio, abbiamo deciso che saremmo partiti il 7 giungo 2007. Giorgio mi aveva detto: "Stai tranquillo, arrivo la notte prima, appena finita la partita della nazionale contro la Lituania. Dormiamo e la mattina dopo facciamo gli ultimi preparativi e verso mezzogiorno partiamo". Si è presentato la mattina dopo a mezzogiorno. Ha parcheggiato la macchina, è sceso e ha detto: "Un attimo, devo prendere il mostro". Il mostro è il suo zaino. Il mio zaino invEce si chiama Millet. E' grigio ed ha dovuto superare un'incredibile serie di esami. Doveva essere leggero, grande, pieno di tasche, elegante, economico. Comprare uno zaino è un'arte. Un'arte nella quale ci sono degli esperti tremendi e pignolissimi. Ne avevo trovato uno bellissimo che soddisfaceva a tutti i requisiti. Ma era nero, calamita per tutti i calori che si aggirano dalle parti dei camminatori.

Niente. Nero non si può, ha sentenziato mia moglie e ne ha proposto uno chiaro, stupendo e molto raffinato. Ho cominciato a riempirlo e mi sono fermato subito. Erano rimasti fuori: golf rosso, computer, materassino autogonfiabile, sacco a pelo. Non va bene, ho sentenziato io. Lei è uscita ed è tornata col Millet. Ho detto: "Splendido".

3) Insomma siamo partiti, come dio ha voluto, il 7 giugno alle due e mezza. Il meteo, ossessione di Giorgio, ci aveva avvertiti. Temporale a mezzogiorno. Il meteo è un sistema per dividere gli ottimisti dai pessimisti. Gli ottimisti leggono il meteo che dice "Tifone" e commentano: "Vedrai, ci sarà un sole splendente". I pessimisti dicono: "Se dice tifone sarà tifone". Così all'ennesimo tentennamento di Giorgio io la sparo: "Il meteo, qui a Lavarone, non ci becca mai". E gongolo quando a mezzogiorno compare il sole. Ci dedichiamo così alla preparazione degli zaini. Anche la preparazione dello zaino divide gli ottimisti dai pessimisti. L'ottimista compra uno zaino piccolo e dice: "Ci starà tutto". Il pessimista compra uno zaino enorme e poi lo chiama "mostro". L'ottimista, una volta verificato che nel suo zaino non ci sta niente, ne compra uno più grosso. Ma sempre più piccolo di quello del pessimista. Alla fine però ce l'ho fatta. Mutande due, pantaloni tecnici due, magliette tecniche due, t-shirt tecniche due, calzini tre, fazzoletti due, mantella impermeabile, coprizaino, cachimiro rosso, ventina, cappello, foulard da esploratore sahariano, crema solare, autan, piastrine e macchinetta antizanzare, sandali mefisto, corda per stendere i panni, blixen, aciclovir, shampo, beauty, tenda di emergenza, racchetta da trekking, sacco a pelo e materassino autogonfiabile. E poi l'elettronica: videocamera, macchina fotografica, registratore, telefonino. E l'ossessione dei viaggiatori leggeri: i caricabatteria. Quattro. All'inizio pensavo che me la sarei cavata con quattro chili. Sono arrivato a dieci chili di zaino e tre chili di grosso marsupio addominale. E col miracolo della compenetrazione dei corpi c'è stato tutto. Sapete come si fa a fare entrare tutto in uno zaino? Bisogna parlarci e convincerlo. Una volta visto che rimane fuori un po' di roba bisogna svuotarlo completamente e riempirlo di nuovo dopo averlo pregato di impegnarsi di più. La seconda volta ci sta tutto. Giorgio che se la tira con i libri che ha letto e mi ricopre di noiosissime citazioni ne spara una di qulle che abbaterebbero un elefante. Ha letto anche un fondamentale testo per i camminatori quello di Le Breton che a sua volta cita Toeffer: "un uomo si riconosce dal suo zaino". A me sembra una stronzata ma non mi sento di dirglielo.

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