Machete sembra la dimostrazione che non basta un contenuto per realizzare un’opera. Il contenuto è importante solo se è veicolato da una lingua creativa, da uno stile non omologato e dinamico che contiene altri contenuti non evidenti, non dichiarati, perché qui sta il vero mistero dell’opera.
Ma cambiamo registro. Diciamolo con parole nostre. Diciamolo all’exploitation: Machete è una cagata pazzesca. Passi la rilettura degli stili “bassi” dei b-movie anni ‘70, che è una delle caratteristiche della scuola Tarantino, l’ironia, lo scherzo, l’esagerazione, ma Machete sembra un film per bambini (bambini horror, d’accordo), didascalico, persino ridicolo. Lo spettatore, per quanto disincantato e amante del paradosso, si sente preso per i fondelli. Le citazioni horror e gore, una quantità inverosimile di teste e arti mozzati, spruzzi vermigli di sangue ovunque, cessano quasi subito di divertire per annoiare, nella loro prevedibilità. L’unica trovata davvero originale, nella sua esplosione splatter, è quando Machete si cala dalla finestra aggrappato all’intestino di uno dei killer che lo inseguono, usato come fune. Per il resto tutto appare affrettato, facilone, ripetitivo.
La storia è politicamente correttissima, sembra scritta da qualche intellettuale ultramarxista-leninista di orientamento maoista (ovviamente americano): un senatore fascista e la sua cricca di post-kkk uccidono gli immigrati clandestini messicani che cercano di passare la frontiera americana. Interessi privati, sfruttamento della manodopera clandestina, manovre occulte, tutto passa sulla testa e sul lavoro in nero degli immigrati, cui si oppone un’organizzazione rivoluzionaria capeggiata da She, una misteriosa ragazza della quale scopriamo immediatamente l’identità, fin dalle primissime scene. Braccia alzate in nome del popolo in un tripudio di ovazioni trinariciute, slogan, tutto scorre in un guazzabuglio di retorica primordiale, sbudellamenti, armi gigantesche, ironie sul personaggio-mito di Machete che prende in giro se stesso senza farlo davvero ecc.
Interessanti le carrellate di volti famosi: l’attore che interpreta Machete, Danny Trejo, è un vero “tosto”: 67 anni, cugino del regista Robert Rodriguez, ex pugile professionista, ha fatto vita di strada, commettendo una infinità di reati e scontando 11 anni di carcere negli anni ’60. Robert De Niro è il senatore, Don Johnson il capo dei vigilantes sterminatori, un gigantesco Steven Seagal il boss della droga che manovra tutto e tutti (e la cui fine, in puro stile tarantiniano, ci ripaga in piccola parte di tutto lo spleen accumulato), e Jeff Fahey il gangster maneggione che organizza un finto attentato al senatore (coinvolgendo Machete come capro espiatorio), che sembra il sosia di Antonio Ricci. Considerando che tutti i personaggi femminili sembrano veline, ci si chiede se Striscia la notizia non sia transitata in blocco nel film di Rodriguez/Maniquis…
2 commenti:
Non ho visto questo film in questione ma ho visto altri film di Rodriguez, Sin City, Planet Terror 8di cui Machete è figlio visto che è nato come "finto trailer" tra i due film del dittico Grindhouse, Death Proof di Tarantino e per l'appunto Planet Terror)Dal tramonto all'alba e ok, sono tamarrate "di lusso" peraltro esplicite e dichiarate (quindi oneste), citano e reinventano, rivitalizzano l'exploitation come già fa forse in maniera migliore Tarantino, ma i suoi personaggi femminili non sono veline, sono donne toste (penso alla Rose McGowandi Planet Terror) come lo sono quelle tarantiniane, del resto
Nelle intenzioni del regista i personaggi dovrebbero essere "oggettivi" (in questo senso "tosti"), ma qui sono abbozzati in maniera grezza, sbrigativa, e secondo me banale. Le donne sono delle copie delle veline: sembrano proprio delle ragazze che vanno a un casting del programma...
P.S. "Dal tramonto all'alba" l'ho trovato un film molto valido e divertente. La mia opinione personale è che questi stili, il pulp, l'exploitation ecc siano "forti", cioè come le candele di Blade Runner che bruciano da entrambi i lati. Cioè si consumano velocemente. Forse continuare a praticarli senza inseguire un vero rinnovamento significa esporsi al rischio della banalizzazione e del ridicolo.
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