Cronache dall’Infernotto
La fiducia nel domani era ben riposta. Oggi è un altro giorno, un antidolorifico adeguato, ovvero abbastanza potente, ha parzialmente risolto il problema del dolore. E’ entrato in azione dopo quasi due ore dall’assunzione, ed è rimasto attivo per quattordici, quindici ore. Nessun farmaco ha simili caratteristiche, a parte gli oppiacei. Infatti sul “bugiardino” ho letto che gli effetti collaterali sono “ipersensibilità agli oppiacei”. Per ora ne prendo uno al giorno, mentre la posologia sarebbe tre al giorno, che corrisponde a essere “fatti” dalla mattina alla sera. Ovviamente la dose dovrà essere aumentata, presto dovrò passare a due, perché ad ogni nuova somministrazione perde potenza; così sono i farmaci, così sono le droghe. I sintomi comunque sono quelli classici dell’oppio: una sensazione strana sulla lingua, testa pesante, anzi, pesantissima, al mattino, una certa euforia che va e viene, fame, apparente leggerezza. Chi l’avrebbe mai detto, un po’ di stupefacente sotto controllo medico?
Intanto, mentre ci curiamo, noi abbiamo due atteggiamenti possibili da assumere nei confronti delle malattie pesanti, gravi o acute: uno consiste ne lanciare maledizioni ed epiteti, affrontarle con rabbia, con odio; “non la spunterai su di me, maledetta”, ringhia il malato. Se in televisione passano le facce di personaggi che disprezza, augura loro le stesse sofferenze che sta provando lui. Bene, questo è esattamente l’atteggiamento che vuole il demonietto. E’ il senso della sua esistenza: deve provocare la rabbia e l’odio, perché questi sentimenti minano le forze, indeboliscono la tempra e sono alla base della malattia. Questo atteggiamento è la vittoria dello spiritello del fiume.
L’altro modo di porsi è combatterla con calma, senza rabbia, perché qualcosa ha ceduto, si è spezzato, incrinato, perché c’era debolezza, fragilità, malessere. La malattia fa riflettere su se stessi, sui nostri limiti, fa scendere nel profondo, scioglie il duro smalto delle difese, abbatte il reticolato della paura. Ci fa conoscere il lato oscuro di noi stessi, ma anche quello luminoso; ci fa accettare, ci fa amare. E con noi, gli altri. La sofferenza ci pone nei confronti degli altri con meno durezza, con meno ostilità, con meno invidia, perché questi sentimenti sono stati ripuliti, filtrati dalla malattia.
La malattia può accendere la speranza, ed è uno dei grandi misteri di questo mondo, come la vita e la morte.
La fiducia nel domani era ben riposta. Oggi è un altro giorno, un antidolorifico adeguato, ovvero abbastanza potente, ha parzialmente risolto il problema del dolore. E’ entrato in azione dopo quasi due ore dall’assunzione, ed è rimasto attivo per quattordici, quindici ore. Nessun farmaco ha simili caratteristiche, a parte gli oppiacei. Infatti sul “bugiardino” ho letto che gli effetti collaterali sono “ipersensibilità agli oppiacei”. Per ora ne prendo uno al giorno, mentre la posologia sarebbe tre al giorno, che corrisponde a essere “fatti” dalla mattina alla sera. Ovviamente la dose dovrà essere aumentata, presto dovrò passare a due, perché ad ogni nuova somministrazione perde potenza; così sono i farmaci, così sono le droghe. I sintomi comunque sono quelli classici dell’oppio: una sensazione strana sulla lingua, testa pesante, anzi, pesantissima, al mattino, una certa euforia che va e viene, fame, apparente leggerezza. Chi l’avrebbe mai detto, un po’ di stupefacente sotto controllo medico?
Intanto, mentre ci curiamo, noi abbiamo due atteggiamenti possibili da assumere nei confronti delle malattie pesanti, gravi o acute: uno consiste ne lanciare maledizioni ed epiteti, affrontarle con rabbia, con odio; “non la spunterai su di me, maledetta”, ringhia il malato. Se in televisione passano le facce di personaggi che disprezza, augura loro le stesse sofferenze che sta provando lui. Bene, questo è esattamente l’atteggiamento che vuole il demonietto. E’ il senso della sua esistenza: deve provocare la rabbia e l’odio, perché questi sentimenti minano le forze, indeboliscono la tempra e sono alla base della malattia. Questo atteggiamento è la vittoria dello spiritello del fiume.
L’altro modo di porsi è combatterla con calma, senza rabbia, perché qualcosa ha ceduto, si è spezzato, incrinato, perché c’era debolezza, fragilità, malessere. La malattia fa riflettere su se stessi, sui nostri limiti, fa scendere nel profondo, scioglie il duro smalto delle difese, abbatte il reticolato della paura. Ci fa conoscere il lato oscuro di noi stessi, ma anche quello luminoso; ci fa accettare, ci fa amare. E con noi, gli altri. La sofferenza ci pone nei confronti degli altri con meno durezza, con meno ostilità, con meno invidia, perché questi sentimenti sono stati ripuliti, filtrati dalla malattia.
La malattia può accendere la speranza, ed è uno dei grandi misteri di questo mondo, come la vita e la morte.
5 commenti:
Ti sono vicino come a un amico... Ma già, tu sei un amico.
Tanti auguri Baldrus. Le malattie in effetti sono anche delle occasioni...
Ciao.
maline
Hai mai letto "Nel condominio di carne" di Valerio Magrelli, uscito per Einaudi un paio di anni fa? E' una straordinaria riflessione sul corpo, sotto forma di brevi poemetti in prosa.
Oddio... Non me la sento di consigliartelo proprio ora che stai male... ma leggilo, prima o poi.
Auguroni di buona guarigione.
Sergio
Vai Baldrus, ci illumini con le tue attuali sofferenze, che passeranno presto!
ti dico solo che ti voglio bene che te ne vorrei anvche se tu avessi scelto l'altra via per affrontare il dolore, quella del demonietto, ti dico che non e' come posso dirti...compassione o forse si compassione in senso latino, soffrire affrontare le cose insieme. ad un amico non si nasconde mai nulla, come alla propria coscienza. Io non ti nascondo il mio sorriso la mia mano e le mie parole. Soffrire, qualunque dolore, ci rende forti. Poi passa sai, e allora la vita si mostra davvero in tutta la sua lumunosita'.
ciao
paperina7
La tua descrizione della malattia e del dolore è magistrale. Me la sono copiata e salvata in un file, me ne voglio ricordare quando toccherà a me. Grazie, grande Baldrus, e auguri.
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