L’altra sera abbiamo festeggiato il diciottesimo compleanno di un’amica d’infanzia di mia figlia. Chiara, questo il suo nome, per un periodo è stata come una seconda figlia per noi, e quindi una sorella di Beatrice. Quando era bambina suo padre stava attraversando un periodo difficile, era senza lavoro, viveva come uno sbandato; sua madre lavorava 10 ore al giorno in un albergo, compresi i turni di notte, così Chiara dormiva spesso a casa nostra. L’abbiamo anche portata in vacanza al mare per due estati, e alcune domeniche in Romagna dai miei genitori, come se andasse dai nonni. Poi suo padre si è lentamente ripreso, ha trovato un lavoro e sua madre ha cambiato albergo e turni. Hanno acquistato una casa in una cittadina a circa 15 chilometri da Bologna, per cui le due ragazze si sono perse di vista, pur restando legate da un affetto consolidato.
L’altra sera è stato un ritorno ai vecchi tempi. Era bello vederle così affiatate, nonostante la lontananza. Il locale si trova in un paese piuttosto lontano da casa nostra e scomodo. Comunque era stato scelto dalla famiglia di Chiara, per cui ci siamo adeguati.
Un posto che definirlo strano è un eufemismo. E dire che di posti strani ne ho visto, negli anni Ottanta della Milano da bere. Il proprietario ci ha accolto vestito da frate francescano, con un saio lungo fino ai piedi, una collana col crocefisso e una barba bianca che arrivava all’ombelico. Il ristorante è enorme, suddiviso in vari edifici ognuno con un’insegna: la pizzeria è “il Purgatorio”, il ristorante “l’Inferno” e il pub “il Paradiso”. C’è anche una chiesa, ovviamente non consacrata, con tanto di campanile con croce soprastante. Tutto molto eccentrico, un mix di kitsch, trash, misticismo, volontà di stupire, di meravigliare. Noi eravamo nel Purgatorio. Appena entrati sono rimasto impressionato dal soffitto, molto basso, tanto che dovevo chinare la testa per non sbattere in quelli che mi sembravano grandi piatti appesi. Il locale, molto ampio, era strapieno di oggetti di ogni tipo: vecchie bilance da drogheria allineate, attrezzi da falegname, da fabbro, foto antiche incorniciate, una pelle di coccodrillo. Mentre camminavo verso il nostro tavolo ho guardato con più attenzione il soffitto: non era composto da piatti, ma tromboni, tutti appesi a testa in giù. Almeno duecento vecchi tromboni, forse trecento, con qualche sax.
Durante la serata abbiamo commentato, riso, chiacchierato. Il padre di Chiara mi ha detto che il laboratorio di fabbro dove lavora è a rischio chiusura. Il titolare ha riunito i tre operai invitandoli a cercare in giro perché se gli ordini non ripartono tra poco non avrà più i soldi per pagare i loro stipendi. La cosa mi ha inquietato non poco. Non può perdere di nuovo il lavoro dopo la crisi anche psicologica che ha passato. Hanno sottoscritto un mutuo per la casa, non possono permettersi un ritorno alla disoccupazione. Ho sentito una fitta al cuore. Voglio bene a quella famiglia. Voglio bene a Chiara. Ho guardato le due ragazze, sedute una di fronte all’altra: stavano parlando di scuola, i possibili sbocchi dopo le superiori, idee, aspirazioni. Chiara ha riso, si è illuminata, e anche Beatrice ha riso. Ho visto qualcosa di spensierato, di felice in quelle risate. La leggerezza di due ragazze di 18 anni. La loro fiducia. Hanno diritto alla fiducia. Hanno diritto a un futuro, a un’opportunità. Come l’ho avuta io alla loro età, quando trovare un lavoro non era difficile, e si poteva anche aspirare a un cambiamento, una ricerca. Oggi il loro futuro è minacciato, rubato da oscuri banchieri, da gelidi tecnocrati superpagati che lavorano alacremente per distruggere i servizi pubblici e i diritti dei lavoratori, per consegnarli nelle mani dei loro padroni, minacciando crisi e disastri in caso di fallimento. O noi o il Buio, questo il ricatto, benedetto dalla stampa e dalle televisioni. Ho maledetto i banchieri, i vecchi tecnocrati, i ladri del futuro delle ragazze e dei ragazzi, per quello che valeva la mia maledizione. Cioè poco, o nulla.
Anche per sfuggire a quel senso di rabbia e di scoramento mi sono alzato e ho raggiunto la toilette, camminando curvo per non sbattere con la fronte nei tromboni. Appeso di fianco alla porta della toilette c’era un ritratto di Mussolini. Uno di quelli fascistissimi, con l’elmetto. Ho digrignato i denti. Dunque quel tipo in costume da frate probabilmente era anche un fascista. Misticismo, irrazionalismo, fascismo. Siamo una razza di pazzi.
In bagno c’erano diversi quadri appesi con frasi e aforismi. Probabilmente scritti dal frate fascista. Ne ricordo uno: “le donne sono come le piastrelle, più le scopi e più sono belle”, mentre uno sugli uomini diceva più o meno che “basta una sega” per metterli in ginocchio, qualcosa del genere.
Sono uscito con la schiena contratta, il collo rigido, per non sbattere nei tromboni. Mentre mi dirigevo verso il nostro tavolo ho notato, sulla destra, un paio di pappagalli da ospedale coi cartellini: “conservare le urine”, e alcune padelle che si usano per raccogliere le feci dei degenti che non possono muoversi. Tutti appesi sopra i tavoli dove si mangiano le pizze. Sotto c’erano delle persone che ridevano, brindavano. E’ arrivato il frate fascista, ha offerto della grappa. Le persone hanno accettato entusiaste, sotto le padelle da ospedale e i pappagalli per le urine.
La serata si è conclusa con la torta e una bottiglia di spumante. Il mio umore ormai era cambiato, non riuscivo più a ridere né ad essere curioso. Pensavo al ritratto di quel vigliacco che ha consegnato il paese ai nazisti, ha promulgato le leggi razziali, ha fatto fucilare il marito di sua figlia, ha mandato al massacro i nostri ragazzi in Russia e poi è scappato come un coniglio quando le cose si mettevano male. Aspettavo solo il momento per andarmene.
Di fianco alla porta, mentre stavamo finalmente uscendo, ho pensato che volevo bene alla famiglia di Chiara, anche se apprezzavano un luogo come quello, una specie di Vittoriale di serie Z, un museo del cattivo gusto, della violenza. Infatti c’erano almeno 500 forbici legate insieme da una catena, appese al muro accanto a una gigantesca collana formata da decine di dilatatori vaginali. Un accostamento quanto meno macabro, un attrezzo ginecologico abbinato a forbici taglienti. Forse quel tipo in costume da frate sogna di essere un inquisitore che tortura le donne.
Fuori, l’aria fresca era piacevole.
Abbiamo un disperato bisogno di aria pulita.
4 commenti:
Bella la gioia e il sorriso delle "tue" ragazze, la fiduca nel domani, la voglia di futuro che hanno.
Tutto il resto non conta.
La rabbia arriva nel leggere del papa' di Chiara, del suo lavoro incerto ancora una volta, della prospettiva di angoscia, di buio, di depressione che non potrebbe non coinvolgere anche Chiara.
Poi c'e' la mamma di Chiara, la donna di casa che ancora una volta, come sempre san fare le donne, si chinera' al bisogno, si adattaera' per amore, a fare 10 ore al giorno e piu' di lavoro compresi i turni di notte, che magari ne fara' due di lavori per mandare Chiara all'Universita'... E per sostenere il marito non smettera' di sorridergli, di farlo sentire indispensabile, di dirgli che non importa, che ci sara' un'alta occasione e intanto si ammazzera' lei di lavoro, proprio come solo le donne san fare...
Magari, chissa', tu e la tua famiglia tornerete a coccolare Chiara, ad ospitarla, a portarla in romagna dai..nonni, o al mare, ma forse no, han 18 anni ora le bambine, ma so che saprete come fare perche' ancora una volta il vero welfare saranno l'amore e l'amicizia. Perche' alla fine dobbiamo cavarcela da soli.Perche' i banchieri, i politici, i tecnocrati non sanno cosa vuole dire non arrivare a fine mese, non sapere come pagare mutuo e bollette, come fare per fare continuare i figli a studiare... E non si pongono i veri problemi della gente vera.
Un abbraccio.
p.
Un abbraccio anche a te, p
Ma questo posto esiste per davvero o, come vorresti farmi credere, te lo sei inventato? Io propendo per la seconda ipotesi, ma temo che la prima sia quasi esatta. Ma davvero “lo stato di cose presente”è questo, davvero il giardino dell’eden è diventato un cortiletto infernale? Non sia mai. Non ci posso credere. Io, sai, sono un pisello sempre in cerca del suo baccello, eccetera, eccetera. Dici che di fianco al cesso c’era un ritratto del Duce. Bene. Ma se ci fosse stato quello di Stalin sarebbe cambiato qualche cosa? I casi sono due. Prego, prendi nota. O la realtà è un’opinione, oppure è tutta da voltare e rivoltare. Certo, se ti fossi inventato tutto, ci sarebbe soltanto da voltare un paio di pagine e amen. Non deludermi, ti prego. Non vorrei dovermi misurare un’altra volta con imprese più grandi di me. Un ciao firmato loris il passator cortese.
Eilà passatore. Il posto esiste, e per una volta la finzione letteraria è proprio ridotta al minimo, anzi, non so dire se e dove c'è finzione. Il ritratto di Stalin? Non sarebbe stata la stessa cosa, per me. Ovviamente non c'è nessuna simpatia per quello, però respingo l'equazione stalinismo=fascismo.
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