Gli statali? E chi sono?
Continua, sui giornali, il gioco al massacro sui dipendenti pubblici, e questo in un momento particolarmente delicato, coi contratti scaduti da oltre un anno. Qualche tempo fa su un quotidiano, La Repubblica se non ricordo male, uscì l’articolo di uno di quei commentatori-tuttologi che pontificano su tutto lo scibile umano in cui “gli statali” (non si perde certo tempo a distinguere tra dipendenti dei ministeri, dei comuni, delle regioni, troppo faticoso) venivano descritti come appartenenti a una “lobby” impegnata solo a difendere i propri privilegi. Poi si diceva, ovviamente senza fornire alcun dato - e quando mai? - che gli stipendi degli “statali” sono aumentati in maniera esagerata negli ultimi anni, superando di vari punti l’inflazione. Questi concetti sono ripresi in un articolo uscito giovedi 5 maggio sul Corriere della Sera a firma di Francesco Giavazzi, dove viene dimostrato, con tanto di percentuali fornite dall’Istat, che gli aumenti sono stati particolarmente scandalosi, ben due punti in più dell’inflazione.
Bene, questi commentatori-tuttologi non sanno, neanche vagamente, di cosa parlano. Gli hanno passato un foglietto pieno di dati, percentuali, e tanto è bastato per farli entrare in uno stato di ipereccitazione orgasmica. Ma sì, sferriamo mazzate sul pubblico, stronchiamolo, copriamolo di fango, gridiamo che tutto è allo sfascio, va di moda; così il cittadino-televisivo-moderato, già esasperato dalla burocrazia, si chiede: ma quanto mi costano tutti quei lobbisti perdigiorno? E’ presto detto, ci pensa Giavazzi, cifre alla mano: 25 euro all’anno in Lombardia e Veneto, 61 euro in Basilicata.
Qui non si tratta di negare il fatto che la burocrazia, negli ultimi tempi, è peggiorata invece che migliorare; semmai è il caso di riflettere se il pubblico è indispensabile, o se non è inevitabile aprire sempre più ai privati, ai palazzinari, ai Gasparri che tentano di liberalizzare lo scempio del territorio senza tutti quei carichi di “burocrazia”; ma è anche il caso di riflettere davvero sulle retribuzioni, quelle vere però, non quelle ricavate dai proverbi da bar Sport: un dipendente comunale di una città medio-grande, di 7° livello (per accedere al quale con concorso è richiesta la laurea), dopo 3-5 anni di anzianità non arriva a guadagnare 1100 euro; un 6° livello (è richiesto il diploma di scuola media superiore) non arriva a 1000. Sarebbero queste le scandalose retribuzioni da lobby, che aumentano senza freni, in barba all’inflazione?
In realtà dietro a questa demagogia irresponsabile c’è l’ennesimo attacco al lavoro, a ciò che resta dei diritti, delle garanzie, dopo le devastazioni del precariato che ha raso al suolo le prospettive future dei giovani che si affacciano sulla soglia del mondo. Il pubblico impiego è l’ultimo baluardo di stabilità, l’ultima difesa contro lo strapotere del nuovo capitalismo liberista globale, bisogna provvedere. Eccitiamo quindi gli animi del cittadino-televisivo-moderato, eliminiamo al più presto quest’ultima, insopportabile anomalia.
Continua, sui giornali, il gioco al massacro sui dipendenti pubblici, e questo in un momento particolarmente delicato, coi contratti scaduti da oltre un anno. Qualche tempo fa su un quotidiano, La Repubblica se non ricordo male, uscì l’articolo di uno di quei commentatori-tuttologi che pontificano su tutto lo scibile umano in cui “gli statali” (non si perde certo tempo a distinguere tra dipendenti dei ministeri, dei comuni, delle regioni, troppo faticoso) venivano descritti come appartenenti a una “lobby” impegnata solo a difendere i propri privilegi. Poi si diceva, ovviamente senza fornire alcun dato - e quando mai? - che gli stipendi degli “statali” sono aumentati in maniera esagerata negli ultimi anni, superando di vari punti l’inflazione. Questi concetti sono ripresi in un articolo uscito giovedi 5 maggio sul Corriere della Sera a firma di Francesco Giavazzi, dove viene dimostrato, con tanto di percentuali fornite dall’Istat, che gli aumenti sono stati particolarmente scandalosi, ben due punti in più dell’inflazione.
Bene, questi commentatori-tuttologi non sanno, neanche vagamente, di cosa parlano. Gli hanno passato un foglietto pieno di dati, percentuali, e tanto è bastato per farli entrare in uno stato di ipereccitazione orgasmica. Ma sì, sferriamo mazzate sul pubblico, stronchiamolo, copriamolo di fango, gridiamo che tutto è allo sfascio, va di moda; così il cittadino-televisivo-moderato, già esasperato dalla burocrazia, si chiede: ma quanto mi costano tutti quei lobbisti perdigiorno? E’ presto detto, ci pensa Giavazzi, cifre alla mano: 25 euro all’anno in Lombardia e Veneto, 61 euro in Basilicata.
Qui non si tratta di negare il fatto che la burocrazia, negli ultimi tempi, è peggiorata invece che migliorare; semmai è il caso di riflettere se il pubblico è indispensabile, o se non è inevitabile aprire sempre più ai privati, ai palazzinari, ai Gasparri che tentano di liberalizzare lo scempio del territorio senza tutti quei carichi di “burocrazia”; ma è anche il caso di riflettere davvero sulle retribuzioni, quelle vere però, non quelle ricavate dai proverbi da bar Sport: un dipendente comunale di una città medio-grande, di 7° livello (per accedere al quale con concorso è richiesta la laurea), dopo 3-5 anni di anzianità non arriva a guadagnare 1100 euro; un 6° livello (è richiesto il diploma di scuola media superiore) non arriva a 1000. Sarebbero queste le scandalose retribuzioni da lobby, che aumentano senza freni, in barba all’inflazione?
In realtà dietro a questa demagogia irresponsabile c’è l’ennesimo attacco al lavoro, a ciò che resta dei diritti, delle garanzie, dopo le devastazioni del precariato che ha raso al suolo le prospettive future dei giovani che si affacciano sulla soglia del mondo. Il pubblico impiego è l’ultimo baluardo di stabilità, l’ultima difesa contro lo strapotere del nuovo capitalismo liberista globale, bisogna provvedere. Eccitiamo quindi gli animi del cittadino-televisivo-moderato, eliminiamo al più presto quest’ultima, insopportabile anomalia.
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