L’ultimo viaggio di Tiziano Terzani
Quando ho iniziato a leggere Ultimo giro di giostra, un paio di mesi fa, qualcosa mi disturbava. Ero reduce della lettura di Buonanotte signor Lenin, dove un eccesso di anticomunismo perdeva il suo pathos di sentimento antisovietico, antiregime, per confondersi con un sentimento viscerale di individualismo borghese con tinte di rimpianto per la perduta eleganza zarista ecc. Era il limite di quel libro, che pure mi aveva appassionato e dove il talento del grande giornalista emergeva fiero e potente. In questo libro mi sembrava che un eccesso di scetticismo rappresentasse di nuovo un limite che distraeva, scollegava la lettura.
Credo che la storia sia nota: a Tiziano Terzani fu diagnosticato un cancro: “Signor Terzani, lei ha il cancro”. All’inizio non si disperò, né si commosse, come se la cosa non lo riguardasse. Ma la notte porta consiglio, e così, come un animale ferito che si risveglia, iniziò a elaborare una strategia di difesa. Decise di rivolgersi al più prestigioso ospedale del mondo, il Memorial Sloan-Kettering Cancer Centre (MSKCC). Lui, che era vissuto trent’anni in oriente, e conosceva bene le discipline filosofiche e mediche, decise di partire con la medicina occidentale pura, la medicina empirica fatta di farmaci e terapie pesanti, chemioterapia, radioterapia, antibiotici.
E qui inizia la grande avventura. Dopo una terapia massacrante, e la chirurgia, gravemente provato, prostrato, senza rimorsi, ma neanche dubbi sui limiti di una medicina invasiva e parziale, che aggredisce “la malattia” quasi senza occuparsi del malato, decide di intraprendere un lungo viaggio attraverso le pratiche mediche del mondo orientale, alla ricerca della “cura delle cure”. Ma esiste? La curiosità sempre vigile del grande reporter, il suo straordinario talento narrativo, la sua abilità di ritrattista lo portano ad avventurarsi nello sterminato, caotico mondo da baraccone della new age, delle pratiche alternative e pseudomistiche che tanto spazio stanno guadagnando in un mondo che si rinchiude ogni giorno di più nella brutalità del materialismo. E quanti santoni, quanti guaritori, quanti esperti che propongono cure, rimedi infallibili, medicine antiche e naturali che vengono da chissà dove, sempre miracolose, sempre uniche, incontra sul suo cammino. Eccolo a New York a frequentare un corso di qi gong; eccolo in Thailandia in un centro dove “lavano” il colon con continui clisteri che “depurano”; eccolo impegnato con l’omeopatia, con l’ayur veda, con lo yoga, con la medicina tibetana, con gli “psicochirughi” filippini. E lentamente, mentre lo seguivo nel suo cammino accidentato, quella sorta di scetticismo che, talvolta con ferocia, smascherava il santone di turno, mutava forma: assumeva le forme di una lucidità estrema che lo portava a riflettere in profondità sulla natura stessa della malattia, sul rapporto tra la malattia e se stessi. Riflette sulla sua lunga vita di viaggiatore, e cerca di stilare un bilancio, seppure parziale: “la ragione di tutto quel muovermi, di quell’andare continuamente fuori in cerca di qualcosa era semplice: io non avevo niente dentro di me. Ero vuoto”. Il niente. Il vuoto. Questa consapevolezza lo porta a scavare dentro le pratiche mediche, dentro le filosofie, e studia, chiede, indaga, ride, ma con rinnovata umiltà, cercando di combattere il suo scetticismo un po’ arrogante di europeo per scoprire in tutte le scuole, in tutti i corsi, nei medici naturisti o mistici, ognuno con le sue ricette, le sue certezze, qualcosa di buono. Perché in tutto, ovunque, e in tutti, c’è il buono e il cattivo, il bene e il male, dipende da noi scegliere, capire, osservare senza paure e senza preconcetti. Eccolo quindi il vero, interminabile viaggio: è dentro noi stessi, è la ricerca della propria essenza vitale, dell’equilibrio della vita e della morte.
Superata la prima, superficiale sensazione di fastidio per uno scetticismo che non era scetticismo, ma curiosità e disincanto, ho quindi rallentato la lettura perché non volevo terminare questo libro. E’ stato un grande, prezioso compagno, e una guida. E’ stato un libro avventuroso, emozionante, divertente e avvincente, e anche istruttivo, perché contiene un compendio semplice ma abbastanza dettagliato di filosofie orientali, una storia della spiritualità e della ricerca filosofica. Non è un libro teorico o teosofico, non è noioso, mai, né pedante, è anzi veloce, profondo. E’ un libro perfetto, penso di poterlo affermare con tranquillità. E Tiziano Terzani, che ci guida in questa avventura fino agli ultimi giorni sull’Himalaya, quando il suo tempo sta ormai finendo, è un maestro, forse l’unico grande sadhu mai vissuto in Italia; è anche un amico sincero, un amico spiritoso, arguto, disponibile, che sa farci ridere, che ci racconta storie meravigliose, che traccia ritratti irresistibili di tipi strani, e ci aiuta a capire.
Ed è con lui, e con questo suo ultimo lavoro, che auguro Buon Natale a tutti, con un pensiero particolare alle persone sole, a chi, in questi giorni di frenesia, non ha con chi organizzare il cenone, con chi scambiarsi i regali. Per loro riporto questo passo della Bhagavad Gita: "l'uomo saldo, che sopporta con animo uguale dolore e piacere, è un saggio pronto per l'immortalità".
4 commenti:
Durante la lettura mi sono venute in mente due citazioni... Una è di Pessoa: "Il più grande dominio di noi stessi consiste nell'indifferenza verso noi stessi, il considerarsi, anima e corpo, come la casa e il parco dove il destino ha voluto farci passare la vita."
L'altra di Montaigne: "Noi non siamo mai in noi, siamo sempre al di là."
Buone feste
maline
Viene voglia di leggerlo. Un pensierino comunque l'avevo già.
"Individualismo borghese": esiste ancora?
Mi associo agli auguri alle persone sole e malate.
Ho comprato quel libro attratta dal titolo, dalla metafora della giostra, dall'idea dell'ultimo viaggio.
L'ho li' sul comodino, lo guardo...non so quando cominciare.
la ricerca dell'essenza vitale non dovrebbe essere l'ultimo viaggio...
Una di queste sere, forse saro' un po' piu' .....un po' piu' serena e allora saliro' sulla giostra.
Si un abbraccio a chi e' solo.
alle centinaia di anziani parcheggiati dai parenti abbienti nelle corsie di ospedale, come si legge sul messaggero di oggi...
pap
E' un termine fuori moda, ma costituisce sempre un significante adeguato a un certo modo di "essere" occidentale, un pensiero sostanzialmente pessimista, scettico, chiuso nelle proprie certezze.
Pap, ribadisco che non è un libro triste, non è "l'ultimo viaggio" verso la fine, verso il nulla; è "ultimo" perché il suo autore è scompraso, in quel senso.
Ho letto tre volte le tue citazioni maline, e mi sembrano pertinenti, specialmente la prima.
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