Regali di Natale
Con l’avvicinarsi delle feste arrivano i gadget, gli oggetti da regalo, e i libri illustrati, da impacchettare e da mettere sotto l’albero. In questi giorni ne ho notato due che meritano di essere segnalati anche se, forse, non sono proprio indicati come regalo per la mamma, o per la zia. Sono due libri fotografici, scritti in italiano, finalmente, perché fino a ieri sembrava inevitabile che queste edizioni fossero scritte sempre in inglese, o in tedesco.
Il primo è una raccolta di foto del vekkio voyeur Helmut Newton (Mondadori, € 35), scattate durante un ventennio di collaborazioni con Playboy. Su Newton sono stati scritti fiumi in piena di parole e stampate migliaia di pagine. E’ stato, e lo è ancora, il tormentone della fotografia glamour-erotica per una trentina d’anni. Ha fatto ammalare la fotografia di una sindrome da cui non è mai guarita, la sindrome di Newton, i cui sintomi sono i ritratti di donne con richiami dichiarati alla pornografia, pose innaturali, estreme, provocatorie, anche se è una provocazione rivolta espressamente alle “pruderie” borghesi, una sfida fine a se stessa, gratuita, al pudore popolare: famosi i contrasti, che lui inseguiva con puntiglio, di alcuni servizi realizzati in Costa Azzurra: donne supertruccate, superchic, eroticissime, ritratte accanto a bagnanti vecchi e brutti, con la pancia, le gambe storte, le rughe e la pelata. Lui era così, voleva stupire, eccitare con linguaggi “forti”, peccaminosi. Molte delle foto di questo libro, alcune famosissime, rientrano in pieno in questo stile. Le donne sembrano manichini erotici, con lo sguardo perso nel vuoto, oppure guardano in macchina con aria di sfida, anche se è sempre una sfida fredda, gelida, e la distanza che le separa da noi è enorme. Gli va dato atto che non ha mai fatto della retorica facile, non si è mai nascosto dietro dichiarazioni diplomatiche. Ha sempre detto chiaro che lui era un voyeur, che amava la pornografia, che se ne sbatteva delle critiche, delle accuse di essere un fascista (in immagini, ovviamente), e che andassero tutti a farsi fottere. Era antipatico, per certi aspetti odioso, criticabile, ma sincero, e al confronto gli epigoni di oggi, tutti quei fotografi fatti con lo stampo dei calendari, sono penosi nel loro conformismo.
L’altro libro è di Robert Mapplethorpe (Artificio Skira, € 69), un altro su cui sono stati versati torrenti di inchiostro. La sua storia, credo, è arcinota: diventò famoso negli anni Settanta con servizi-shock realizzati nei locali macho gay di New York, dove il gioco erotico alla moda era il fist fucking , cioè l’introduzione nell’ano di una mano con tutto l’avambraccio. Erano foto pazzesche, incredibili, un pugno nello stomaco. Poi ha realizzato moltissimi ritratti di artisti newyorkesi, compresi alcuni, mitici, di Patti Smith, di Lisa Lyon, di Isabella Rossellini. Questo librone raccoglie un compendio abbastanza esatto della sua produzione: ritratti, i grandi corpi nudi illuminati da quella luce purissima che lui stesso aveva inventato, che utilizzò nelle famose immagini in bianco e nero dei fiori e dei nudi statuari di uomini col sesso enorme, coi muscoli in tensione. Immagini pittoriche, curate in maniera maniacale nelle ombre, nei grigi, nelle sfumature. E caste, pulite, oneste, come quelle di Newton erano false, eccessive e disoneste. Erano due fotografi dagli stili di lavoro e di vita opposti: Newton amava mostrarsi sporcaccione, faceva sedere le modelle sulle sue ginocchia coi pantaloncini corti maliziosamente aperti sull’ombra del pube; in realtà è sempre stato un marito fedele, e ai servizi era sempre presente la moglie, pure lei fotografa. Mapplethorpe invece scattava immagini artistiche, elevate, quasi angeliche; nella vita invece era dissoluto, disperato, e i suoi eccessi l’hanno condotto nella tomba.
A questo punto, dopo quanto ho scritto, alle seguenti domande: Helmut Newton è stato un grande fotografo? risponderei sì, lo è stato, nel bene e nel male, perché le sue foto hanno colpito, hanno sfondato e distrutto, hanno segnato un’epoca e nessuno, forse, può permettersi di non fare i conti lui; e Mapplethorpe è stato un grande fotografo? No. Per quanto bravo, per quanto meticoloso e serio, le sue immagini hanno un limite di conformismo, di mancanza di coraggio, forse di fantasia. Ha inseguito l’obiettivo irraggiungibile, il sogno direi, di fare della fotografia una forma di pittura, mentre è altra cosa, è alto artigianato, è un racconto della realtà che deve fare i conti coi propri limiti, perché non può prescindere dagli elementi materiali della realtà stessa, mentre la pittura ne è esente.
Questo ovviamente è il mio personalissimo, discutibilissimo, parere.
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