Otherside dovrebbe stare sui banchi-vip delle librerie megastore, accanto ai thriller industriali americani e svedesi e cinesi, quelli con le hardcover fasciate da “strilli” del tipo “100.000.000 di copie vendute nel mondo”, oppure “un thriller mozzafiato che vi stringerà nella sua morsa e non vi mollerà più. Vincent Fitzpatrick” (che poi uno si chiede: ma chi è Fitzpatrick? Ma non è importante rispondere, deve pur essere qualcuno che conta!). Ha tutte le qualità, la rilegatura, la grafica, la copertina, la trama, la suspence, persino i difetti istituzionali. Insomma, sarebbe un romanzo di genere noir-avventura perfetto, con ambientazioni internazionali, non provinciale, pieno di azione, armi, un po’ di donne vampire e walkirie, soldi, droga, colpi di scena. “Quando inizierete Otherside ricordatevi di prendere le ferie dal lavoro, perché non riuscirete più a smettere! Nick Fittipaldi, Los Angeles Time).”
Invece non accadrà nulla di tutto questo. Avrà la sua vita editoriale modesta, forse stentata, come tutti i prodotti di editori di pesatura media o medio-piccola, perché gli spazi nei banchi buoni sono tutti occupati dagli editori che contano. Quelli che hanno il guanxi giusto. Il guanxi (1) vincente.
Otherside ha il merito. E sembra una ulteriore dimostrazione di come il riconoscimento del merito sia una invenzione del cosiddetto “libero mercato” o, per chiamarlo col suo vero nome, del capitalismo globalizzato. E’ un’idea subdola che viene instillata nella mente-massa dei lavoratori che si basa sull’enunciato “io sono migliore di te, quindi mi spetta di più, perché tu sei inferiore a me.” Un’idea fantastica che agisce come una leva demolitrice del concetto di egualitarismo sociale, per il quale il sindacato si è battuto per decenni, prima di soccombere definitivamente a questo ennesimo canto di sirena. Il merito in sé non conta, conta la gestione del guanxi, la mafia interna, la divisione dei lavoratori. Otherside è un perfetto romanzo di genere thriller, ma non interessa a nessuno, perché il riconoscimento del merito non esiste.
La trama, per quanto complessa, è relativamente semplice. Sembra una contraddizione, ma i plot dei romanzi di avventura noir sono spesso elementari, quello che dà l’energia sono le variabili, gli intrecci secondari, i misteri, i luoghi oscuri. Un contractor-killer italiano con una lunga esperienza di guerra si trova invischiato in un omicidio, commesso da una bella, misteriosa dark lady, con la quale ha appena avuto una storia. Subito si accorge di essere braccato dalla polizia, e dai sicari di un boss della mafia, perché dalla casa della vittima è sparito un milione di dollari, denaro che lui peraltro non ha mai visto. Inizia una lunga fuga-ricerca nel sud est asiatico, Bali, Indonesia, il Triangolo d’oro, Birmania, Laos, Thailandia, luoghi che l’autore conosce bene perché vi ha abitato a lungo. Fugge, inseguito dai killer, e al contempo cerca lei, la donna che lo stregato e fregato, per recuperare i soldi, ma noi lettori sappiamo anche per rivederla, per capire perché gli ha mentito, forse per avere conferma della sua natura straordinariamente affascinante di donna negativa e pericolosa.
La trama procede correttamente gestita dall’autore, con la giusta misura e il giusto equilibrio tra violenza, pezzi di vita vissuta, momenti di pausa dopo la battaglia. Corre alla giusta velocità verso il finale in un deserto messicano, senza fretta ma neanche inutili lunghezze per “fare volume”, cioè pagine, come talvolta accade nei thriller industriali da milioni di copie. Ci arriva con la pazienza che non mette a dura prova la pazienza del lettore, e ci riserva le sorprese di cui abbiamo bisogno, per stupirci, per divertirci, per gustare il prodotto che abbiamo acquistato e che non ci lascia delusi o arrabbiati. Tra i difetti istituzionali del genere non ci sono per esempio i dialoghi, che spesso sono improbabili, fasulli, vuoti e irritanti nei thriller-vip. I dialoghi di Otherside sono realistici, ben orchestrati, di chi sa cosa è un dialogo trasfigurato per l’avventura, e non la merce di un imprenditore di storie semi-confezionate.
I difetti istituzionali sono i buchi nel flusso, facili rimedi a situazioni divenute ingestibili. Sergio ha bisogno di aiuto per togliersi dai guai, va da vecchi compagni d’avventura che, così su due piedi, senza chiedere nulla, si fanno in quattro per lui, mettendo anche a rischio le loro stesse vite. Oppure mentre è in cerca di Gloria incontra un tale che gli dice che in un locale di Bangkok è stata notata una turista che le somiglia. Così salta sul primo aereo e vola in una metropoli di milioni di abitanti zeppa di turisti occidentali per scoprire che non è lei. Poi un altro gli parla di una donna vista in Birmania, e via di nuovo in aereo, poi in Vietnam, in Indonesia, per giorni, settimane, mesi.
Ma questi sono difetti normali e perfettamente perdonabili. Il lettore non esperto di thriller avventurosi non ha idea di quante soluzioni ridicole adottino i grandi autori-imprenditori quando si trovano alle strette. Se i loro eroi sono ormai senza risorse incontrano per caso persone che per caso svelano la soluzione del problema. Oppure si trovano senza scampo, accerchiati, senza munizioni, già morti, ed ecco che dal nulla spuntano dei lontani conoscenti o addirittura degli sconosciuti che mettono in fuga gli assalitori, chissà da dove e perché. E quante tiritere interminabili nei finali per cercare di spiegare, e di nuovo rispiegare perché diavolo è spuntato il tale che ha fatto quelle cose, pagine e pagine astruse dove cercano di convincerci, di tirarci dalla loro parte, di farsi perdonare.
C’è anche qualche difetto non istituzionale, ma per così dire privato: piccole cadute nella scrittura, con ricorsi non a slang letterari ma proprio a modi di dire da Bar Sport, tipo “non me ne può fregare di meno”; oppure forme di autocompiacimento, con l’eroe che ha una storiella con una tipa che gli dice “noi due siamo dei perdenti” e giù a crogiolarsi con l’etica dello sconfitto nella vita. Ma sono scivoloni occasionali che non intaccano il requisito di lettura paziente richiesto dal genere.
Il fatto è che il thriller d’avventura è un prodotto difficile. Non bastano le conoscenze di balistica, di metallurgia, di economia, di politica, di informatica, e i rudimenti di psicologia, spesso indispensabili per gestire una storia moderna. Occorre tenere le fila di intrecci che si complicano, talvolta confliggono, o diventano irrisolvibili. Lo diventano da soli, come se, una volta lanciati, gli eventi e i personaggi vivessero di vita propria. Proprio come se la realtà di tutti i giorni, con la sua faccia nera e non patinata, con la minaccia del caso, della sfortuna incombente, e la sua follia, entrasse a gamba testa nelle storie raccontate sparigliando tutto e creando un furibondo scompiglio.
Otherside, di Giancarlo Narciso, Perdisapop 2011
(1) Il guanxi è il sistema, o network, di alleanze, accordi, protezioni, rapporti commerciali della mafia cinese, la Triade.
1 commento:
Riguardo al "quante soluzioni ridicole adottino i grandi autori-imprenditori quando si trovano alle strette" mi viene in mente il grande Chandler che amava dire che quando si trovava in un vicolo cieco della narrazione, faceva spuntare una pistola sulla schiena di Marlowe e tutto si rimetteva in moto.
Ottimo post, Baldrus, grazie. Cercherò Otherside.
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