venerdì, maggio 13, 2005

Bologna di nuovo nell’occhio del ciclone?

Ieri sera puntata mitica di Otto e mezzo, con Sergio Cofferati e Franco Giordano di Rifondazione Comunista. In questi giorni gli sguardi golosi dei media nazionali sono puntati su Bologna, perché si sta ripresentando, sembra, il fenomeno della dissociazione tra la maggioranza di sinistra che ha vinto le elezioni e Rifondazione, che minaccia di uscire dalla Giunta perché non condivide certe scelte.
Quali scelte? Uno sgombero di occupazione abusiva, una delle tante, da parte di una famiglia Rom; la mancata ratifica di un accordo sindacale stipulato con la precedente amministrazione, che avrebbe “ingannato” i sindacati con un accordo senza copertura finanziaria; un’ordinanza che vieta il consumo degli alcoolici dopo le 21 fuori dai locali; un atteggiamento critico, di sostanziale chiusura, verso un grande rave-party che si dovrebbe tenere in città.
Cofferati ha ribattuto con puntiglio, scendendo nei particolari, e con frequenti richiami alla legalità e al rispetto delle regole, a tutte le accuse. Non mi addentro nei dettagli, perché le questioni sono assai complesse, richiederebbero troppo spazio, un vero e proprio trattatello. Franco Giordano, spalleggiato da Ritanna Armeni, ha tentato di reiterare le accuse, ma era evidente la sua informazione carente sulle questioni bolognesi, il suo non essere parte della città: le sue erano argomentazioni generiche, slogan nazionali. Cofferati invece entrava nel merito, e non si smuoveva di un millimetro. Una quercia, solida, dura, con radici potenti ben piantate nella terra; nel complesso era convincente, perché è sempre convincente il parlare chiaro, il richiamo alla legalità, al rispetto delle regole. Non a caso Ferrara è letteralmente impazzito. L’atteggiamento di Cofferati, quel suo essere, finalmente, un politico “con le palle” lo ha fatto entrare in uno stato di ipereccitazione orgasmica. E proprio da qui, a mio avviso, emerge un segnale inquietante. Ferrara ha un animo profondamente violento, ed è dotato di una intelligenza fredda, raffinata; è furbo, una vecchia belva che ha voltato gabbana e conosce a fondo il mondo dell’ex P.C.I. Ha visto nel “Principe” (questo è il soprannome che gli hanno affibbiato i sindacati autonomi bolognesi) quell’icona di “tolleranza zero” che in Italia è del tutto sconosciuta.
In parte è proprio così. A me sembra che il sindaco di Bologna riproponga un modello assolutamente identico al P.C.I. bolognese della fine degli anni Settanta, quello che si trovò, impreparato e inadeguato dal punto di vista culturale, al centro della contestazione studentesca del ’77. Quel P.C.I. di Luciano Lama che definiva gli studenti con la faccia dipinta “poveri untorelli”, arroccato nella “legge e ordine”, che ha pagato duramente per questa inflessibilità, perché molti giovani l’hanno identificato col difensore a oltranza della Bologna ricca ed egoista, la borghesia “rossa” della città, e si sono irrimediabilmente allontanati. Qui è il pericolo vero: che la legalità di Cofferati, limpida e per certi aspetti condivisibile, si riduca, nei fatti, alla tutela di uno status-quo alquanto preoccupante, con le case in città che costano cifre scandalose, un posto letto che costa 250-300 euro al mese, e masse di cittadini che fuggono verso l’estrema periferia.
I poveri, gli illegali, i disperati, non si possono cancellare: gli sgomberi li fanno spostare di duecento metri, un chilometro, ma tornano. Tornano sempre. Perché il degrado si è ormai infiltrato in profondità in una città divorata dalla speculazione. E’ qui il vero nocciolo duro. Il modello legge-e-ordine-a-tutti-i-costi forse poteva funzionare negli anni Settanta e Ottanta, quando c’erano più soldi, più risorse, e il degrado non si era ancora trasformato in entropia. Oggi appare come una difesa, non come un rimedio strutturale. Significa, come direbbe Kafka, concentrarsi sulla procedura senza avere il coraggio di concludere il procedimento. Oggi avere “le palle” vuol dire studiare a muso duro soluzioni al problema drammatico della casa, degli emarginati, impedire che la città si svuoti dai suoi cittadini per diventare terra di conquista delle banche, delle finanziarie. Questi non sono discorsi estremisti o demagogici. Un urbanista come Pier Luigi Cervellati diversi anni fa in un libro intitolato L’arte di curare la città puntava il dito verso la mancanza di coraggio degli amministratori che rinunciano a una pianificazione coraggiosa, e faceva balenare il pericolo dello svuotamento delle città. Avere “le palle” significa avere il coraggio di andare contro la potente casta dei commercianti e risolvere finalmente il problema del traffico caotico, dell’inquinamento.
Se non si hanno questi obiettivi in primo piano la legge-e-ordine-a-tutti-i-costi attirerà ancora una volta delusione, diffidenza e allontanerà i giovani, che sono le vere forze creative dell’umanità. E se da un lato tracimerà il consenso della borghesia, sempre più spaventata dall’avanzare del degrado, ma troppo vile e opportunista per mettere in discussione i propri non-valori, dall’altro arriveranno, sempre più sonori, dei bruttissimi cori di malcontento e assordanti proteste.

1 commento:

Anonimo ha detto...

ABBIAMO UN SINDACO CHE SECONDO ME' SOFFRE DI PROTAGONISMO...NON MI PIACE X NIENTE COME DEFINIZIONE MA MI SEMBRA UN"GRAN FURBETTO"
CIAO BALDRUS
PIERO