martedì, giugno 21, 2005

Sogni, responsabilità

Quando ero ragazzo seguivo la musica psichedelica, i Jefferson Airplane, Jimi Hendrix, leggevo i romanzi di Kerouac e i poemi di Allen Ginsberg, mi perdevo nel sogno americano di spazi aperti, libertà. Si sognava molto a quei tempi, e si lottava, ognuno nel suo piccolo, per realizzare i propri sogni. Le forze politiche erano in parte coinvolte da questi ideali e le loro linee d’azione erano orientate in questa direzione. Ecco quindi che le sinistre ragionavano sul progresso, sullo sviluppo, sul socialismo e sul capitalismo, sull’ambiente e sulla cultura.
E’ passato un sacco di tempo. I sogni non si sono realizzati, come spesso accade, e molti nodi sono venuti al pettine. Il rastrellamento selvaggio delle risorse ha prodotto un grave depauperamento del pianeta, e le differenze abissali tra paesi ricchi e paesi poveri continuano a produrre guerre, terrorismo, immigrazione clandestina.
Le forze politiche di sinistra hanno perso la forma partito, che garantiva il rapporto referenziale coi propri elettori, ne guidava gli orientamenti e al tempo stesso ne era l’espressione. Ora il mezzo di comunicazione principale è la televisione, e il linguaggio, l’azione stessa sono finalizzati alla spettacolarizzazione televisiva.
In Italia il dibattito politico della sinistra è quasi unicamente indirizzato verso quali forme associative assumere, quali liste creare per presentarsi alle elezioni, quali alleanze, quali leaders.
I sogni psichedelici di allargare le coscienze per cercare un futuro migliore sono quindi svaniti nel nulla, sono finiti negli scavi dei cantieri delle nuove autostrade, delle nuove industrie, nella polvere degli esplosivi dei nuovi terroristi. E’ dura ammetterlo, eppure è così.
Mia figlia, che si sta avvicinando all’età che avevo io quando ascoltavo i Jefferson Airplane e leggevo Kerouac, non avrà quei sogni. Probabilmente non saprà mai della loro esistenza, oppure, se lo saprà, non andrà oltre a una conoscenza superficiale determinata da mode e revivals. Mia figlia non ascolta Jimi Hendrix, ma i gruppi dei suoi tempi, i cui cantanti, sempre biondi, atletici e fotogenici, sono appesi sotto forma di poster nella sua stanza. Anch’io nella mia stanza avevo dei poster, di Bob Dylan, di Frank Zappa, di Jimi. Non andrà a Woodstoock, né all’Isola di Wight, ma è già andata a un concerto di Anastacia, e i raduni come quelli che ho citato sono sempre sponsorizzati da marche di birra e di gelati e sono dei grandi, interminabili Festivalbar.
Così va il mondo. Mia figlia va in parrocchia. A quei tempi, quando Grace Slick durante un concerto rispondeva a uno spettatore che le intimava di togliersi le mutande perché così voleva il libero amore alzandosi la gonna per far vedere che lei le mutande proprio non le portava, a quei tempi la parrocchia era considerata un luogo di oscurantismo, di orizzonti limitati, di assurdi divieti, di vergogna per il proprio corpo. Per noi era un luogo triste, un luogo per sfigati incapaci di affrontare il mondo.
Ma ora non esistono più i concerti di Grace Slick. E la parrocchia dove va mia figlia è retta da un parrocone che gioca a pallavolo coi ragazzi, che alla messa li fa cantare e ballare, e non ha neanche una chiesa, ma un semplice tendone verde dove ballano, giocano, cantano. Mia figlia non vede l’ora di andarci, il venerdi sera dice "non vedo l’ora che venga lunedi".
Forse è un peccato che non vi siano più i concerti dei Jefferson Airplane, o forse no. E’ inevitabile, è nella storia. Io comunque sono contento che mia figlia vada in quella parrocchia. Mi sembra che i ragazzi stiano bene, che coltivino dei sentimenti buoni. Di papa Ratzinger, dei suoi proclami contro le libertà anarchiche, dello sfarzo della sua Chiesa, e del cardinale Ruini, della sua politica attiva, non m’importa un accidente. Se dovessero prosperare col mio credito cambierebbero mestiere. Però m’importa del parrocone che gioca a pallavolo coi ragazzi e li fa cantare. Non cantano We shall over comeWhite Rabbit, non gridano "giù le mani da Cuba" né "pace in Vietnam", ma ballano al ritmo di canzoni che parlano di Maria, e addirittura degli ultimi successi di Top of the pops. Ma si divertono un sacco.
E’ andata così. Forse così doveva andare. Nella desertificazione della vita, dei sogni, delle speranze, restano questi piccoli, preziosi spazi verdi. E proprio a noi, noi che conosciamo il valore dei sogni, tocca il singolare compito di difenderli.

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