martedì, settembre 13, 2011

La mia vita complicata

di Toni Hendrix Rinaldi
  
Ho 57 anni, vivo a Milano dove lavoro come fotografo, e a tempo perso scrivo dei romanzetti thriller sotto pseudonimo. Se qualcuno si chiede: perché lo pseudonimo? rispondo prontamente: perché gli autori italiani di questo genere letterario godono di scarso appeal presso i lettori italiani. I motivi andrebbero studiati con calma e con coraggio, ma per ora mi limito al semplice dato di fatto, cioè che il mio editore mi ha chiesto di adottare un nome esotico per vendere più copie, e la cosa funziona. Non sono certo l'unico: per restare nel thriller sappiamo di Enzo Verrengia, Stefano di Marino, Andrea Carlo Cappi, Giancarlo Narciso, Gianfranco Nerozzi, italianissimi che si firmano con nomi cool come Stephen Gunn, Jack Morisco, Jo Lancaster Reno ecc. Per la verità è un fenomeno diffuso non solo nel thriller; tutti sapete di Aldo 9, Tommaso Pincio, che coi loro cognomi veri, Centanin e Colapietro difficilmente avrebbero venduto quelle copie.

Prima ho scritto genere letterario, ma dovrei correggere con genere romanzesco, perché il noir-thriller, in Italia, non è considerato letteratura, ma scrittura “bassa”, di serie B. Da chi? Ovviamente da chi considera invece di genere elevato, letteratura di serie A, quella esistenziale-confessionale, nella quale dovrebbero emergere i grandi temi della vita attraverso la rappresentazione dei gesti e delle emozioni del personaggio narrante. Non entro nel merito, se non per dire en passant che sono soddisfatto del mio ruolo di scrittore di serie B, i miei libri sono confinati negli scaffali dedicati al “giallo” o “noir” o “thriller”, ma vendono più copie degli elevati. Quindi, non mi lamento.

Ma passo oltre, perché non è di questo che volevo parlare.

No, volevo parlare di me come personaggio letterario. Perché io sono anche questo, oltre che fotografo e scrittore di noir. Infatti il mio autore, Mauro Baldrati, ha raccontato le mie/nostre avventure adolescenziali, ambientate nella dura Romagna della bassa ravennate, nell'inverno del 1969, quando avevo 15 anni e il mio eroe era Jimi Hendrix, che imitavo anche nell'aspetto, dai capelli ricci a corolla ai vestiti psichedelici che mi procuravo con mille difficoltà, nella penuria di quei paesi di frontiera agricola. Jimi era anche il mio soprannome, e non c'era cittadino di Mezzaluna, ma anche dei paesi vicini, che non mi conoscesse di fama.

Mezzaluna è un paese che non figura nelle carte geografiche, e non è riconosciuto dai moderni navigatori, ma esiste, compreso nel triangolo che ha come vertici Bagnacavallo, Fusignano e Alfonsine. Era il paese più infelice del mondo, così lo chiamavamo e così viene nominato nei libri che raccontano di noi. Sono edizioni minori,  pubblicate da piccoli editori che hanno riscosso un certo successo sulla stampa locale, ma ovviamente hanno avuto una circolazione stentata, perché nell'ambiente "alto" c'è una dittatura feroce delle major editoriali, e i piccoli vengono ghettizzati. Questo vale anche giù nei territori bassi del noir, ma con modalità meno estreme per fortuna.

Mezzaluna è importante, perché è lo scenario dove è ambientata la nostra fiaba. Questo è l’incipit del primo romanzo breve, Vita complicata di Jimi, pubblicato nel 1999 dall’editore bolognese Déjà vu:

In principio era palude.
Banchi di sabbie mobili e canali di acqua salmastra formavano un enorme acquitrino malarico che tutti evitavano come una pestilenza. Era il "Luogo di morte della carne e dello spirto" di cui vagheggiava Amedeo Loriani, il satrapo della Romagna dotta ottocentesca, nel tremolante (e purtroppo studiato a memoria nelle scuole) Cantico di campagna.
Eppure, in tempi antichi, un manipolo di fuggiaschi vi trovò un accogliente rifugio: trecento barbari venuti da est, braccati dalle legioni romane, si avventurarono nel "fango maledetto dagli dei", dove i carri sprofondavano, e di loro si perse ogni traccia e memoria. Per la verità nel papiro conservato nell'ufficio del sindaco non vi sono riferimenti precisi, ma lui, il glorioso maestro Follicelli, l'instancabile ricercatore del nostro oscuro passato, giura che quei fatti si svolsero proprio qua, su questa terra emersa, dove ora i concittadini giocano a carte e a Mah-jong.
Il primo insediamento umano stabile risale al 1600. Un gruppo di prigionieri arabi fuggiti dalla Sicilia si addentrò nell'intrico di canali, e a nulla valsero i tentativi di stanarli. Alla fine il vescovo di Ferrara, in cambio di una professione di fede cristiana, concesse loro il diritto di abitarvi, purché si arruolassero nella legione di manovali che lo stato papalino stava reclutando. Un editto di Clemente VIII, infatti, ordinava l'avvio di quell'immane lavoro di bonifica già tentato dai duchi d'Este, dai Calcagnini e di cui si parla persino nelle antiche carte bizantine. Erano ladri, eretici, prigionieri di guerra, attirati dall'illusione di un impossibile riscatto sociale. Molti morirono, alcuni fuggirono nella vecchia vita dopo avere derubato i compagni, quasi tutti si ammalarono di malaria.
Nel 1740 i discendenti dei lavoranti e, pare, di popolazioni giunte dall'Albania, gettarono le fondamenta di un centro abitato sulle terre bonificate. Poiché sul muro di un magazzino costruito dai primi ergastolani era dipinta una falce di luna gialla, al paese venne dato il nome di Mezzaluna.
Mezzaluna, il paese più infelice del mondo.
La definizione è del mio amico Dennis. Avevamo appena letto "Storia e preistoria di Mezzaluna", il libretto-culto pubblicato a cura del comune dal nostro glorioso sindaco. Dennis era entusiasta. Quell'andirivieni caotico di pirati, barbari e malfattori lo metteva di buonumore. Ha steso davanti a sé le braccia coi pugni chiusi, per mettere in evidenza le vene: "Qui scorre cattivo sangue" ha detto, parafrasando Rimbaud. "Siamo un miscuglio di razze inferiori. Stirpi tarate. I degni abitanti del paese più infelice del mondo". E ridacchiava soddisfatto.
Mezzaluna è un paese a due piani. Di tre piani c'è qualche casa che sembra costruita per errore, di quattro solo il palazzaccio del comune. Le case sono tutte uguali, intonaci graffiati di colore grigio, verde muffa, azzurro smorto. Nessun abbellimento, nessun fronzolo. Sono raggruppate fitte in quartieri residenziali come tante conchiglie sulla schiena di una balena addormentata.
Anche gli alberi sono tutti bassi: frutteti, canneti, pochi pini o abeti spelacchiati nei cortili delle case. Quando un albero comincia a crescere e a distendere con fierezza i suoi rami viene immediatamente tagliato e sostituito con uno giovane. Gli abitanti di Mezzaluna amano il pulito, non sopportano tutte quelle foglie da spazzare in autunno. Gli unici alberi a cui è concessa l'età adulta sono le pioppe, torri solitarie nelle vaste spianate di grano e barbabietole che si perdono all'orizzonte. I grandi pioppi sono tollerati perché costituiscono i punti di sosta degli uccelli migratori. Esausti dopo avere sorvolato oceani e montagne, vengono abbattuti da decine di cacciatori, praticamente l'intera popolazione adulta maschile di Mezzaluna, nascosti dentro capannucce costruite con giunchi o teli mimetici militari (chiamano queste stragi caccia a capannino).
In una di queste case-conchiglia a due piani, una villetta nel paese nuovo, cioè uno dei quartieri nati una decina d'anni fa sulla rive-gauche del fiume Lepre, la sera del 2 dicembre 1969, ci sarei io.”

Poi parte la storia, con me-Jimi che suono un indiavolato Woodo Chile davanti allo specchio con una chitarra finta.

Fiaba, ho detto. E’ questo che ha voluto scrivere l’autore: racconti di un tempo perduto, quasi una dimensione senza tempo, come le storie di Conan il barbaro, o l’Iliade, il cantico degli antichi eroi. Eroi estinti, scomparsi. Però sono racconti fedeli, perché noi eravamo davvero così. Mauro ha restituito alla perfezione quel mix di follia, tenerezza, disperazione, rabbia, che rappresentava una componente importante delle nostre vite di adolescenti. Ho provato stupore, ma anche un certo disagio leggendo di me stesso. C’è ovviamente una componente fantasmagorica e spettacolarizzata, e questo come autore lo capisco, ma ci sono veramente in quelle storie. Io, Toni-Jimi Hendrix di Mezzaluna.

Mauro lo ricordo: era tra noi, era uno di noi, ma parlava poco, stava appartato, leggeva molto e credo che, con un vezzo tipico di molti autori (per esempio Hitchcock che riprendeva se stesso in scene fugaci nei suoi film), si sia inserito nel personaggio surreale di Danubio, che fa una piccola apparizione nel secondo romanzo breve, Capodanno in Val Gardena. Insomma, rappresentando me e gli altri eroi ritengo abbia usato un procedimento simile a quello di Kerouac, prendere dalla vita, dai personaggi reali, per narrare un’epopea.

I due romanzi-fiaba oggi sono introvabili, e a quanto ne so Mauro ha tentato di ripubblicarli, ma ha incontrato il disinteresse degli editori. Credo che questo dipenda dal fatto che nel mondo degli elevati domina la moda del momento, e questi romanzi sono evidentemente old fashion, essendo favole che non parlano degli argomenti di attualità, come invece richiede in questo periodo la letteratura di genere alto.

In una prossima puntata vorrei parlare degli altri personaggi, soprattutto Dennis, che vive tutt’ora a Mezzaluna, e mi ha inviato una lettera interessante che riporterò. Intanto, per concludere, copio la quarta di copertina di Crosstown Traffic, Vita complicata del compagno Jimi Hendrix, una edizione del 2003 che raccoglie entrambi i romanzi brevi; la foto della copertina fu realizzata da me a Milano, quando portavo avanti una ricerca sulla moda abbinata alle opere d’arte:

Chi è “il compagno” Jimi Hendrix? Sicuramente l’immortale musicista che ha rivoluzionato la storia della musica rock-blues, tanto che, come ha detto Patti Smith, dopo il suo passaggio “nulla è più come prima”; ma è anche il giovanissimo protagonista dei due romanzi che compongono questo libro, il ragazzo che vive nel paese più infelice del mondo, un agglomerato di case conchiglia sperduto nella dura provincia romagnola del 1969. Jimi Hendrix è il suo eroe, la sua guida. Ne imita l’aspetto, i vestiti, i capelli, fantastica di suonare Woodoo Chile di fronte a un pubblico entusiasta impugnando una scopa al posto della leggendaria Stratocaster bianca. Nel primo romanzo facciamo la sua conoscenza, incontriamo i personaggi, ci inoltriamo nei luoghi. Jimi combatte la sua battaglia, difende con le unghie e coi denti la sua giovinezza minacciata dal vuoto assoluto che lo circonda. Nel secondo romanzo Jimi e gli amici vanno in Val Gardena per festeggiare il capodanno in compagnia di un gruppo di marxisti-leninisti. Se ne vedono delle belle in questo incontro-scontro tra due culture: libertaria e creativa quella dei ragazzi gypsy, dogmatica e conflittuale quella degli extraparlamentari.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Non sapevo che il blog di Baldrus avesse ripreso a girare. Mi fa piacere, molto piacere. Credo sia un po’ come quando il bucato smette di sgocciolare o, che ne so, come quando ci si ricorda di mettere una briciola di curry nel ragù.
E allora tu sei uno scrittore di romanzetti thriller sotto pseudonimo, e poi, oltre che fotografo, sei anche l’autore di due romanzi fiaba ambientati in Romagna. Com’è che li hai chiamati questi ultimi? Racconti di un tempo perduto, fiabe, roba tipo Iliade o Conan il barbaro. Ben detto. Io ci avrei messo anche l’Odissea e il Don Chisciotte, ma va bene lo stesso. A me, sai, piace ancora molto l’idea di riportare tutto a casa, e poi, perché no, di continuare anche a girare fuori dal tempo e fuori dal mondo.
Comunque il problema, caro il mio Toni Rinaldi, è sempre quello di imparare ad abitare il posto in cui ci si trova a vivere, anche se questo posto non esiste, non è mai esistito e mai esisterà. On the road again, on the way home? Come dice Georges Roditi, “I nomadi non creano nulla e i sedentari sono troppo saggi. Per una grande opera, ci vuole un avventuriero che resti a casa”.
Posso mollare adesso una quisquilia decisamente fuori luogo, una scorreggina senza nulla pretendere? Il Don Giovanni di Mozart sembrò piuttosto barbaro all’imperatore che lo pagò, e barbara dovette apparire anche la chitarra di Jimi Hendrix, così come il Sergent Pepper dei Beatles e il Bob Dylan elettrico di Newport 1965. Posso poi anche aggiungere che a me non frega proprio niente se i nostri simili preferiscono la realtà all’immaginazione. Peggio per loro. Il buon vecchio Satie diceva che “l’uomo ha bisogno della Fantasia come io di una gamba di legno”.
Ai giallisti il monopolio dell’attualità; e il resto è fantasy, neige d’atan, vintage adolescenziale. Tu poi, oltre che coinvolto in tutte queste cosone, sei anche un fotografo con tutti gli eccetera del caso.
E se Jimi, Fotografo e Sergente Draghi fossero la stessa persona, e se questi tre figliocci di Apollo non avessero più la fedeltà sufficiente per raccontare il dato di fatto? E’ una domanda, forse anche un segno della nostra umana e divina imperfettibilità.
Kafka afferma di essere entrato nella letteratura dal momento in cui ha potuto sostituire “io” con “egli”.
Ma dove sta il problema? perché un problema c’è, non è vero? La serie A e la serie B, ecco il problema. La prima gode di molte considerazioni, ma vende poco. La seconda vende un pochino di più, ma gli accademici non se la filano proprio. La prima parla dei grandi temi della vita, la seconda è uno svago come la televisione.
Devo andare avanti? Ovviamente sì e, non essendo uno scrittore in attività, penso di potermelo anche permettere. Ricapitolando, diciamo allora che i tuoi thriller sono di serie B. Su questo non ci sono problemi. Le fiabe adolescenziali sono invece un prodotto di serie A. Per quanto riguarda il mestiere di fotografo, mi ritrovo con le idee molto meno chiare. Puoi aiutarmi? A me pare sia A ma anche B: anima e pornografia, esercito della salvezza e serial killer, letame e diamanti.
Adesso, e prendilo come un intermezzo, mi tornano in mente i giorni del Nobel a Montale, di quando il mondo era ancora così giovane, così scemo.... “Esterina, i vent’anni ti minacciano” e poi ancora “Esterina, i ventenni ti minacciano”. Insomma, non c’è niente da fare, prima o poi bisogna proprio decidersi tra il paradiso delle canzoni e quell’altra bella cosa che c’è giù in strada. E’ una questione di rispetto nei confronti di Cronos e, per favore, che nessuno si permetta adesso di fare l’elogio dell’astemio celibe, di Forrest Gump e di Chance il giardiniere.
Profondità e superficie, pesantezza e leggerezza, cultura alta e cultura bassa. Ci sono degli scambi...
E poi il mondo non si guarda, si ode; non si legge, si ascolta. Quelli che sono cresciuti con Beatles, Bob Dylan e Jimi Hendrix questo gioco lo conoscono bene. Ma senti cosa mi viene in mente adesso che sto per salutarti: Bach e Beethoven hanno legato la terra con il cielo per impedire a Mozart di volare via.
Atsalut Dennis

TONI ha detto...

Caro Dennis, grazie del tuo commento. E salutami Mezzaluna