di Paola Ronco
(pubblico il racconto di Paola Ronco contenuto nell'antologia Love Out. Sono molto affezionato a questo testo breve, per la sua delicatezza, ma anche per la sua profondità. L'autrice è nata a Torino nel 1976 e vive a Genova. Nel 2009 ha pubblicato il romanzo Corpi Estranei, per Perdisa Pop. Il suo primo romanzo, ancora inedito, è stato finalista al Premio Calvino 2006. Ha partecipato con un racconto alla raccolta Tutti giù all'inferno (Giulio Perrone Editore, 2006, a cura di Monica Mazzitelli). Altri suoi racconti sono stati pubblicati sulla rivista Carta e su alcuni web-magazine. )
Sei lì che dormi e russi in quella tua maniera sommessa e scomposta, i lembi del piumino incastrati sotto il fianco, a creare un bozzolo inespugnabile; ti muovi appena quando mi senti alzarmi, una specie di sbuffo lasciato a metà.
Pure io, penso, rimarrei volentieri in quella specie di dormiveglia da domenica mattina, se non fosse che per l'appunto è una domenica mattina di quelle che tocca alzarsi, correre in stazione, tornare a casa, incamminarsi al turno serale in ospedale.
Lo sai, di certo in qualche parte di te è rimasta questa informazione, e infatti il tuo russare mi pare che scenda di tono, si faccia più irregolare, quasi rassegnato a un prossimo risveglio; lo sai, e non me ne faresti una colpa, eppure mi dispiaccio e decido di prendere tempo sotto la doccia.
Il fatto è che io so quanto tu preferisca dormire al mattino, per restare la notte in compagnia di certi tuoi testi filologici, che spulci per qualche soldo nell'unica università che ti ha finora trovato posto.
Tu hai i bioritmi sfalsati, te lo dico sempre con il miglior tono professionale, cercando di restare seria. E tu hai un gran sonno, mi rispondi di solito, in certe ore della notte, le mani a svegliarmi di carezze, la bocca a raccontarmi la nostalgia che si accumula presto, lungo due vite in città diverse, gli occhi a scoprire i miei sbadigli da pantofolaia confessa.
Con ogni probabilità ti volti dall'altra parte, mentre io lascio scorrere l'acqua, mi snervo a distillare le ultime gocce dai flaconi di docciaschiuma e a cercare la temperatura giusta, rivolgo la prima occhiataccia del giorno alle tubature obsolete.
Dovresti deciderti a cambiar casa, mi viene voglia di dire ogni volta che esco dal tuo bagno; ogni tanto lo dico davvero. Lo farò, mi rispondi di solito, poi guardi le tue accademiche pile di fotocopie sul tavolo, in camera da letto, persino nell'antibagno, tra i panni stesi e i detersivi. Il dialogo di solito si interrompe così, e ci lascia un pensiero di futuro da diluire tra gli scongiuri.
Infilo una tua maglietta, torno di là e ti vedo ancora immobile, protetto nel bozzolo del piumino; mi basta spostare lo sguardo all'orologio per irrigidirmi, e costringermi a tirare su le tapparelle del soggiorno.
Mugoli qualcosa mentre una luce autunnale invade l'appartamento, trapassa il tessuto sottile delle tende, svela i piatti abbandonati nel lavello la sera prima, il posacenere mezzo pieno sul tavolo.
Se ne avessi una, accenderei la radio mentre armeggio con la caffettiera, come faccio sempre a casa mia prima di uscire. Comincio a sorridere mentre apro le ante del mobile in cucina, potrei scommettere dei soldi su quello che troverò; un residuo di zucchero nel barattolo, nessun biscotto.
La caffettiera comincia a gorgogliare insieme a te, che alla fine riesci a tirarti su e mi vieni incontro senza vedermi, in mutande, le mani annaspanti a cercare gli occhiali.
Dormito bene, sì?, chiedo senza aspettare una replica coerente, e ti metto sotto il naso la tua dose di caffeina.
Sediamo al tavolo della cucina, i gomiti su una vecchia tovaglia di plastica antimacchia. Prendi vita alla seconda tazzina, mi sfiori un braccio.
Devi proprio andare?, chiedi. Proprio adesso. Così presto.
Purtroppo, mi stringo nelle spalle. Il turno, la stazione. Le coincidenze dei treni.
Non te li asciughi i capelli?, e intanto tiri fuori la prima sigaretta dal pacchetto.
Non rispondo, scuoto soltanto la testa. Poi ti guardo in controluce, e come sempre tu pensi che ti stia osservando la spettinatura selvaggia che ti ha regalato il cuscino; allunghi la mano a cercare di aggiustarti, bofonchi qualcosa sulla doccia che dovresti fare.
È tardi, però, si fa sempre più tardi; tra poco più di un'ora sarò su un treno, e poi in una città diversa, a vivere l'altra metà della mia esistenza. Ho voglia di portare con me qualcosa di questa parte, così come avrei voglia di ricordare ogni dettaglio della tua faccia, tutte le volte che mi manca. Per questo, forse, mi avvicino a baciarti, ti cerco il collo, le labbra, sento le tue mani che riflettono le carezze delle mie, le restituiscono, si lasciano sommergere da una voglia che ci sveglia del tutto e mette fretta ai movimenti.
Mi abbracci addosso al tavolo, ci ricordiamo appena in tempo della sua gamba traballante, malamente tamponata da uno dei tuoi fascicoli; una volta di più, ripetiamo il balletto goffo di chi cerca un piano stabile, una superficie, un letto. Nel silenzio della domenica mattina il mio respiro che si spezza insieme al tuo ha un'eco strana, più reale del solito.
Più tardi, seduta al mio posto prenotato, un po' affannata per la corsa fatta, mi porterò le mani al viso, respirerò l'odore di noi mescolato in maniera indistinguibile, lo sentirò sulla pelle, unico legame indissolubile. Tu, lo so, ti starai per riaddormentare, la mano a cercare l'impronta umida che ti ho lasciato sul cuscino.
Nella foto: Paola Ronco
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