Lo Stato dell’Unione di Tullio Avoledo
Di Riccardo Bigi
Lo hanno già inserito tra i Grandi Scrittori Italiani. Il ragazzo ha uno stile molto personale, fantasia da vendere, e conquista il lettore con la semplicità di uno che scrive soprattutto perché si diverte a farlo.
Lui è Tullio Avoledo, classe 1957, friulano: lavorava come avvocato nell’ufficio di una banca di Pordenone prima di essere travolto dal successo del suo primo romanzo, L’elenco telefonico di Atlantide (il cui protagonista, guarda caso, era legale di una banca). Il suo terzo libro, Lo Stato dell’Unione (Sironi), prosegue sul filone dei primi due ma mostra di aver trovato finalmente l’equilibrio che gli altri non avevano. Avoledo ha grandi doti di immaginazione, tanto da rischiare a volte di farsi prendere la mano. La sua cifra stilistica (o il suo trucco narrativo) è apparentemente semplice: prendere un personaggio “normale”, un po’ sfigato, tormentato da varie vicissitudini familiari e professionali (raccontate con buona vena umoristica) e seminare nella sua vita, via via che il racconto procede, una serie di indizi che fanno pensare a qualche complotto cosmico, o almeno internazionale, in cui il personaggio in questione finisca, suo malgrado, per essere coinvolto.
Stavolta il protagonista è Alberto Mendini, pubblicitario in declino, oppresso dai debiti, da una moglie sempre ingrugnita e dai figli ingovernabili, al quale capita l’occasione che può tirarlo fuori dai guai: un incarico dalla Regione per risvegliare l’”identità celtica” dei cittadini. Identità che non esiste, ma che con qualche trucchetto da mago della comunicazione può essere facilmente evocata. La domanda è: fino a quando si può mistificare la realtà? E dove può portare una catena di falsi storici?
Da un lato quindi ci sono Mendini e la sua famiglia, dall’altro un progetto eversivo su scala europea per creare un’unione delle regioni celtiche. In mezzo, un ex astronauta in incognito, un marchingegno elettronico che intercetta le voci dei morti, una collega di lavoro dai capelli biondi e le gambe lunghe e sode. L’elenco telefonico di Atlantide aveva l’aspetto di un sogno, che un avvocato si inventava per distrarsi da un lavoro frustrante. Qui appare tra le righe una concezione filosofica più sottile: che l’uomo di oggi, disincantato e qualunquista, incline ad accettare compromessi e a misurare tutto secondo il guadagno che ne può ricavare, si scopre invece pedina di un gioco più grande di lui, ingranaggio di un motore che porta l’umanità verso direzioni allarmanti.
Definire Lo stato dell’Unione un romanzo “politico” sarebbe senz’altro scorretto: ma certo uno dei piani di lettura è anche questo, i rischi che potremmo correre se qualcuno decidesse di usare gli strumenti di propaganda che le nuove tecnologie mettono a disposizione per attuare piani diabolici. Cosa sarebbe successo – è la domanda di uno dei personaggi del libro – se Hitler avesse avuto a disposizione le televisioni, i sondaggi, internet?
Ma Lo Stato dell’Unione non è solo questo. Lo spunto “politico” è uno strumento che nelle sapienti mani di Avoledo serve a creare una storia che attrae, stupisce, sconcerta. E il finale, poi, è un colpo di genio.
Di Riccardo Bigi
Lo hanno già inserito tra i Grandi Scrittori Italiani. Il ragazzo ha uno stile molto personale, fantasia da vendere, e conquista il lettore con la semplicità di uno che scrive soprattutto perché si diverte a farlo.
Lui è Tullio Avoledo, classe 1957, friulano: lavorava come avvocato nell’ufficio di una banca di Pordenone prima di essere travolto dal successo del suo primo romanzo, L’elenco telefonico di Atlantide (il cui protagonista, guarda caso, era legale di una banca). Il suo terzo libro, Lo Stato dell’Unione (Sironi), prosegue sul filone dei primi due ma mostra di aver trovato finalmente l’equilibrio che gli altri non avevano. Avoledo ha grandi doti di immaginazione, tanto da rischiare a volte di farsi prendere la mano. La sua cifra stilistica (o il suo trucco narrativo) è apparentemente semplice: prendere un personaggio “normale”, un po’ sfigato, tormentato da varie vicissitudini familiari e professionali (raccontate con buona vena umoristica) e seminare nella sua vita, via via che il racconto procede, una serie di indizi che fanno pensare a qualche complotto cosmico, o almeno internazionale, in cui il personaggio in questione finisca, suo malgrado, per essere coinvolto.
Stavolta il protagonista è Alberto Mendini, pubblicitario in declino, oppresso dai debiti, da una moglie sempre ingrugnita e dai figli ingovernabili, al quale capita l’occasione che può tirarlo fuori dai guai: un incarico dalla Regione per risvegliare l’”identità celtica” dei cittadini. Identità che non esiste, ma che con qualche trucchetto da mago della comunicazione può essere facilmente evocata. La domanda è: fino a quando si può mistificare la realtà? E dove può portare una catena di falsi storici?
Da un lato quindi ci sono Mendini e la sua famiglia, dall’altro un progetto eversivo su scala europea per creare un’unione delle regioni celtiche. In mezzo, un ex astronauta in incognito, un marchingegno elettronico che intercetta le voci dei morti, una collega di lavoro dai capelli biondi e le gambe lunghe e sode. L’elenco telefonico di Atlantide aveva l’aspetto di un sogno, che un avvocato si inventava per distrarsi da un lavoro frustrante. Qui appare tra le righe una concezione filosofica più sottile: che l’uomo di oggi, disincantato e qualunquista, incline ad accettare compromessi e a misurare tutto secondo il guadagno che ne può ricavare, si scopre invece pedina di un gioco più grande di lui, ingranaggio di un motore che porta l’umanità verso direzioni allarmanti.
Definire Lo stato dell’Unione un romanzo “politico” sarebbe senz’altro scorretto: ma certo uno dei piani di lettura è anche questo, i rischi che potremmo correre se qualcuno decidesse di usare gli strumenti di propaganda che le nuove tecnologie mettono a disposizione per attuare piani diabolici. Cosa sarebbe successo – è la domanda di uno dei personaggi del libro – se Hitler avesse avuto a disposizione le televisioni, i sondaggi, internet?
Ma Lo Stato dell’Unione non è solo questo. Lo spunto “politico” è uno strumento che nelle sapienti mani di Avoledo serve a creare una storia che attrae, stupisce, sconcerta. E il finale, poi, è un colpo di genio.
1 commento:
Premetto (e a questo punto dovrei probabilmente aggiungere un purtroppo) di non conoscere Avoledo. Da quel che ne scrive Bigi però direi: stuzzicante. Anche perchè mi ricorda... la Lega Lombarda. Anch'essa parla infatti di Padania, di una "nazione", di un "popolo" che in fondo non esistono: un vuoto di mercato in cui ci si è inseriti, un prodotto di marketing in ultima istanza, di cui viene (ri)costruita una identità e un passato (anche celtico...), tirato coi denti e le unghie -e di cui praticamente nessuno sa qualche cosa di preciso: ma di preciso nessuno deve neppure sapere...
E molti abboccano, perduti in quest'universo politico e sociale ormai senza coordinate che non siano quelle di un immediato ritorno in termini economici e/o prettamente epidermici. Non so dire se abbia senso chiedersi che avrebbe fatto Hitler con la TV o internet: di sicuro per Bossi & co. sono già di grosso impatto (e rilevanza) "popolare" le "Miss Padania" e le ampolle con l'acqua del Po...
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