Beatrice salutò la mamma, che le aveva appena dato il
bacio della buonanotte, e chiuse gli occhi. Ma non aveva sonno. Erano iniziate
le vacanze, non vedeva l’ora di andare al mare, in spiaggia, dove c’erano tanti
giochi nuovi, gli scivoli, il castello…
D’un
tratto sentì picchiettare alla finestra. Riconosceva quel ticchettìo. Alberino
era tornato a trovarla.
Balzò
giù dal letto e correndo a piedi scalzi sul pavimento di legno andò alla
finestra.
Alberino
le sorrideva. Vide la bocca di muschio che si allungava sulla faccia di
corteccia, coi capelli di foglie verdi che scendevano a cascata come l’edera.
Le lunghe dita di giunco stavano ancora tamburellando sul vetro. Beatrice aprì
la finestra e Alberino si affacciò.
“Ciao
Coriandolina, posso entrare?” disse con la sua voce, che sembrava il vento
quando fa stormire le foglie.
Alberino
la chiamava così, Coriandolina, perché il giorno di carnevale l’aveva vista,
sul carro che sfilava, mentre lanciava manciate di coriandoli sulla folla.
Anche Beatrice l’aveva visto, appollaiato sui rami di un pino. I loro sguardi
si erano incrociati, e Beatrice l’aveva salutato con la mano. Più tardi
Alberino aveva chiesto ai suoi amici alberi chi era quella bambina. Gli alberi
parlavano molto tra loro, si passavano i messaggi col vento, con le foglie,
oppure, quando erano lontani, ci pensavano gli insetti a portarli, le farfalle,
le coccinelle. Era stata una quercia, un albero parente di Alberino, perché
avevano la stessa corteccia, le stesse foglie, a riconoscere Beatrice
Coriandolina, che abitava in una casa vicino alla grande pineta di Cervia. Così
aveva trovato un’amica.
Alberino
srotolò la liana, che portava sulla schiena come uno zainetto, la fissò
all’attaccapanni e si calò nella camera. Era alto come Beatrice, camminava con
due corti rami, robusti e flessibili, che terminavano con pezzi di corteccia
che formavano i piedi. Portò dentro il suo odore di muschio, di erba fresca, e
di fiori.
“Hai
qualcosa per me, Coriandolina?”
“Certo”
disse Beatrice. Andò ad aprire il secondo cassetto dello scrittoio di legno
dipinto di giallo, dove c’era il vasetto del miele, la grande passione di
Alberino.
“Ecco!”
disse, e aprì il coperchio. Lo depose sul pavimento, accanto ai piedi del suo
amico di legno e foglie. Un sottile ramoscello spuntò dalla corteccia e si
tuffò nel vaso del miele, denso e profumato.
“Uhhm!”
disse la voce di vento, “che buono!”
Gli
occhi, due palline che uscivano dalla corteccia come mirtilli, si socchiusero
per il piacere.
Un
giorno Alberino le aveva raccontato la sua vita. Era molto vecchio, più del suo
papà, più del nonno, aveva circa cento anni. Era nato in un paese lontano, al
di là del mare, da una quercia che stava per essere abbattuta per fare posto a
una strada. Era vissuto in un grande bosco, per molti anni. Quando era giovane,
diceva, sugli alberi c’erano le api, coi loro favi pieni di miele. Lui si
avvicinava e chiedeva: “mi offrite un po’ di miele, sorelle api?” e loro
rispondevano: “zzzììì!”. Poi le api erano sparite, e il suo bosco era stato
abbattuto per costruire un paese. Allora aveva viaggiato, per i boschi, per le
montagne, nei fiumi, galleggiando come un tronco nella corrente, finché era
arrivato a Cervia, dove c’era una bellissima pineta. E aveva scoperto che le
api non esistevano più allo stato libero, ma solo negli alveari degli
apicultori. Però non potevano regalargli il miele, ne avevano a malapena per
loro stesse, perché il resto lo prendeva l’apicultore per venderlo nei mercati.
Quando
Alberino ebbe finito di gustare il miele il ramoscello rientrò nella corteccia.
Srotolò di nuovo la liana, l’appese al lampadario e saltò sul mobile coi
cassetti, dove c’erano i giochi di Beatrice, le bambole, i pattini, i quaderni
da disegno e gli acquerelli.
“Allora,
Coriandolina, sono iniziate le vacanze?”
“Sì!
Evviva! Domani vado al mare.”
Alberino
rise, poi usando la liana saltò giù dal mobile e si mise a camminare per la
camera, mentre Beatrice lo seguiva. Era un curiosone, apriva i cassetti,
guardava dappertutto, e se trovava un bicchiere con un po’ d’acqua, per esempio
colorata con gli acquerelli, faceva subito uscire il ramoscello per
assaggiarla.
“Senti,
Coriandolina, voglio portarti in un posto, per farti conoscere un amico.”
Beatrice
si sedette sul pavimento, incrociando le gambe.
“Adesso?”
“Sì”
disse Alberino. “E’ qui vicino, faremo presto.”
“Che
bello! E chi è il tuo amico?”
“Sarà
una sorpresa. Vedrai che simpatico.”
“Ma
come facciamo a uscire? Mamma e papà sono in salotto che guardano la
televisione.”
“A
quello ci penso io. Le hai le scarpe?”
“Sicuro!”
disse Beatrice, che corse dietro la porta a prendere le scarpette bianche da
ginnastica.
“E
una felpa?”
“Anche!”
“Andiamo,
allora.”
Beatrice
infilò la felpa e si avvicinarono alla finestra. Alberino, con la liana, si
arrampicò sul davanzale.
“Sali
anche tu” disse.
Beatrice
prese una sedia e salì.
“Ma
siamo al secondo piano” disse, guardando in basso.
“Oh,
Coriandolina, sei con una creatura degli alberi, non ti preoccupare!”
Di
fronte alla finestra c’era un grande salice piangente, coi lunghi rami che
scendevano fino a terra, come corde. Alberino fece uscire la sua voce che
sembrava vento, e con le sue braccia, formate da due rami nodosi e flessibili,
toccò le foglie del salice. L’albero ebbe un fremito, come se una improvvisa
folata di vento l’avesse mosso, poi i rami si unirono in un fitto intrico, si
intrecciarono e salirono verso Beatrice, formando un comodo sedile pronto ad
accoglierla.
“Visto?”
disse Alberino. “Sali, dai.”
Beatrice
guardò il sedile con meraviglia e si accomodò. I rami la sostennero, poi
iniziarono a farla scendere verso terra. Che bello, era come sulle giostre, sui
dischi volanti!
Scese
lentamente, dolcemente, mentre il suo amico si calava con la liana.
A
terra spirava una brezza profumata, in lontananza si sentiva il mare. Passava
qualche auto, era caldo e i turisti iniziavano ad arrivare.
“Vieni,
Coriandolina, andiamo in pineta”.
Imboccarono
il vialetto che attraversava il bosco, coperto di aghi di pino, che
scricchiolavano sotto le scarpe. C’era una bella luna piena, che illuminava la
pineta di una luce bianca e morbida.
“Ehi,
come corri!” protestò Alberino, “non ce faccio a starti dietro, non ho le gambe
lunghe come te!”
Beatrice
si fermò e guardò l’amico di legno e foglie, con le mani sui fianchi.
“Dai,
muoviti, lumacone!” Sembrava un tronco che scivolava sul vialetto, come se
avesse le ruote. Rallentò il passo e l’aspettò.
Si
avvicinavano al mare. Si sentivano i cavalloni che si frangevano sulla
spiaggia. Quel pomeriggio aveva fatto un giro, con papà. C’erano ancora tanti
oggetti portati dal mare in burrasca, interi alberi, sedie cadute dalle navi in
transito, una vecchia bambola. A Beatrice piaceva la spiaggia non ancora
ripulita per l’estate, si trovavano tante sorprese, cose strane, bottiglie che
forse contenevano messaggi misteriosi, di qualcuno prigioniero dei pirati, come
il papà di Pippi Calzelunghe, che aveva visto in un video.
“Ecco,
siamo arrivati” disse Alberino.
Erano
in una piccola piazzetta di aghi di pino, all’incrocio di due canali. Alberino
roteava la sue braccia nodose, e cantava con la sua voce di vento. Gli alberi
si muovevano, anche se l’aria era ferma, e i cespugli fremevano. Si sentiva il
gracidare delle rane e, in lontananza, il richiamo del gufo.
Poi
Alberino indicò un cespuglio, che sembrò aprirsi formando una piccola grotta. E
da qui spuntò una macchia bianca, una cosa morbida, rotonda. Beatrice si
abbassò, incuriosita. Sì, era proprio quello che sembrava: un coniglietto
bianco, con striature del pelo marrone e nere, dolce, soffice. L’accarezzò. La
pelliccia era delicata, piacevole al tatto. Le annusava le mani, i piedi,
sembrava cercare il suo calore. Beatrice lo prese in braccio. Era bellissimo.
“Ti
presento Enrichetto Coniglietto” disse Alberino. Beatrice lo sfiorò con la
guancia, lo baciò. Enrichetto era caldo, e stava immobile, come se, tra le sue
braccia, stesse finalmente riposando.
“Si
è perduto nella pineta” disse Alberino. “E non è un posto facile, per un
piccolo coniglio. Ci sono tanti pericoli, il falco, la civetta, la volpe.”
Tacque
per un istante, osservando Beatrice che cullava Enrichetto Coniglietto.
“Lo
vuoi prendere con te? Lo vuoi come amico?”
Beatrice
lo guardò stupita.
“Io?
E come faccio? Mamma e papà hanno detto che per qualche anno non si possono
tenere animali. Loro vanno a lavorare e io a scuola, non si può!”
La
bocca di muschio si allungò in un sorriso.
“Enrichetto
ci sa fare, vedrai. Sa come passare inosservato. Mangia solo una carota al
giorno. Ce l’hai una carotina?”
Beatrice
pensò al grande frigorifero della cucina, dove c’erano sempre le carote, che
mangiava in pinzimonio.
“Sì”
disse.
“E
allora è fatta, Coriandolina. Ora torniamo a casa, e porta Enrichetto con te.
Andrà tutto bene”
La
mattina dopo la mamma aprì la finestra, facendo entrare il bel sole di inizio
estate.
“Buon
giorno, Bea! Hai voglia di andare al mare?”
Beatrice
aprì gli occhi e si alzò a sedere sul letto.
“Al
mare, sì! Che bello!”
“Viene
anche la tua amica Gloria, starà tutto il giorno con noi” disse la mamma.
Beatrice
accolse la notizia con entusiasmo. Al mare con Gloria, sui giochi, che
meraviglia!
Poi
la mamma si avvicinò al letto. Sembrava avere visto qualcosa. Allora Beatrice
si ricordò di Enrichetto Coniglietto, che la sera prima si era addormentato
accanto a lei, sul cuscino. E ora, come lo avrebbe spiegato alla mamma? Come
avrebbe potuto tenerlo con sé? Dove sarebbe andato Enrichetto, che sarebbe
stato di lui?
“E
questo da dove spunta?” chiese la mamma, avvicinandosi al letto. Beatrice ebbe
un tuffo al cuore. Povero Enrichetto, era stato scoperto. Ma l’avrebbe difeso,
ce l’avrebbe messa tutta, forse mamma e papà si sarebbero convinti. Solo una
carotina al giorno, non era una gran cosa.
La
mamma allungò una mano e prese il peluche sul cuscino. Un peluche di quelli belli,
un coniglietto bianco, morbido, col pelo striato di marrone e di nero. Lo
soppesò, lo accarezzò.
”Non
ricordo questo peluche” disse la mamma, osservandolo attentamente. “Quando
l’abbiamo comprato? O te l’hanno regalato?” Beatrice, dentro di sé, era sbalordita
e rideva, pensando al suo amico Alberino.
“Bea,
hai tanti di quei peluche che è impossibile ricordarli tutti” disse la mamma.
Poi lo appoggiò sul materasso e le diede un bacio sulla fronte.
“Bene,
preparati adesso, fai colazione che tra mezz’ora arriva Gloria.”
Beatrice
si stirò, e gridò un “sììì!” pensando alla spiaggia piena di sole, e al tappeto
elastico dove lei e l’amica avrebbero saltato tutta la mattina.
Poi
guardò il peluche, e fu certa che Enrichetto, adagiato sul materasso, immobile,
a pancia in su, le facesse l’occhiolino.
2 commenti:
pensa se fosse davvero così....
"Davvero" Elisabetta, oppure "ancora", perché forse lo è stato, forse le abbiamo davvero viste queste cose, quando toccava a noi...
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