giovedì, maggio 24, 2012

Reduci


Esco dalle mie incursioni nella cosiddetta letteratura commerciale sempre più debilitato. Resta la sensazione di uno spreco di risorse, tempo, energie mentali. Non che io sia contrario di per sé allo spreco di tempo: Deleuze ha scritto che la Recherche è da intendersi non come “tempo perduto” ma come “tempo sprecato”, che Proust insegue, per riappropriarsene e restituirlo al futuro. Ma qui siamo su un altro segmento. Ho accennato al libro che avevo in lettura Il mercante di libri maledetti, scritto da un ragazzo di Comacchio, Marcello Simoni. E’ una storia ambientata nel Medio Evo, coi soliti fratacci infernali, atmosfere cupe, intrighi, e la ricerca di un misterioso libro – con una vera e propria tecnica di “caccia al tesoro”, gli indizi, i bigliettini ecc – ravvivata da qualche colpo di scena, torture (ma blande), frullati di filosofia, filologia, tutto molto “medio”, con soluzioni narrative banali. Un testo che definirei mediocre
Si avverte il calcolo di compiacere il lettore, di soddisfare le sue voglie di avventura e di mistero, ma manca lo scatto, il coraggio forse. Il finale poi è minimale, il libro “maledetto” finalmente ritrovato viene liquidato in poche righe, perdendo l’occasione di qualche trovata più o meno originale, di una verità nascosta, di un’apparenza svelata. Il senso è: “bisogna accontentarsi”.

E’ singolare questa invasione di romanzi pseudo-storici, soprattutto ambientati nel Medio Evo coi monasteri, gli omicidi, i personaggi femminili quasi del tutto assenti, o ridotti a comparse occasionali. Tutto nasce dal Nome della rosa, che quindi ha una responsabilità enorme per questa deriva, però mi chiedo perché: cosa spinge le persone a leggere e rileggere (perché come ha detto una volta Luigi Bernardi, i lettori cercano sempre il déjà vu, quello che già conoscono) sempre le stesse cose? Attrazione verso il male? Desiderio di fuga da questo nostro tempo misero e arido? Esorcizzare le proprie paure attraverso la loro rappresentazione? Ma soprattutto cosa muove me?

Credo di essere spinto dalla voglia di racconti di avventura, che viene dalle mie letture torrenziali di fumetti e libri di Salgari, Giulio Verne, la fantascienza. Però la scarsa qualità dei prodotti mi allontana, per qualche tempo; è come dopo una cena triste in un ristorante, portate smilze oppure stracotte, giuriamo a noi stessi di non tornarci più. Ma ecco che a cicli più o meno regolari per il goloso ricompare la tentazione, con conseguente, nuova delusione. Mi faccio abbindolare da quelle copertine rutilanti, colorate, imbarazzanti, strillate, da quelle rilegature promettenti (e dai prezzi bassi, incomprensibili viste le tendenze del mercato, per le hard cover), consapevole di ricadere nella solita deriva: la mano corre da sola sullo scaffale e prende. Così l’ultimo acquisto è un tomo storico di 800 pagine, La dinastia, di Andrea Frediani. E’ l’epopea dei cinque imperatori succeduti a Giulio Cesare, Ottaviano, Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone. Tutto all’insegna del vizio, della violenza, dell’intrigo, della maledizione. Promesse di meraviglie, di stupore, e di evasione. In fondo è questo che credo di cercare: l’evasione. Ma è possibile una “vera” letteratura d’evasione? Ho sempre in mente gli appunti di Gramsci sulla letteratura popolare, che ai suoi tempi era assente in Italia. E’ questa? Sono questi i feuilletton che l’Italia non riusciva a produrre?

La dinastia è stata scritta da un autore specializzato in romanzi sull’antica Roma, un paio su Giulio Cesare, sui grandi condottieri, che mi hanno sempre attirato (non solo, ho il sogno segreto di scriverne uno). Ricordo che da bambino contemplavo i disegni dei soldati romani, con quei pennacchi sugli elmi, gli scudi, gli stendardi, e i gladiatori, le legioni. Per ora ne ho lette un centinaio di pagine: si sente che la ricerca storica è di prim’ordine, ma Frediani eccede coi soliloqui dei personaggi, lunghe tirate che risultano noiose, in alcuni casi esageratamente noiose, ripetitive (talvolta i personaggi che riflettono sembrano intercambiabili), porzioni di testo da saltare. Ma è una caratteristica standard di questi libri di genere: devono avere molte pagine, e per riempirle serve zavorra, perché i Tolstoj a quanto pare sono estinti (oppure oggi non avrebbero spazio, chissà). La noia è un elemento inscindibile con la violenza, il sesso, il mistero.
Ma quando eccede?

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