Dopo le note vicende che hanno scosso la credibilità
dell’azienda, il Vaticano rinvia la quotazione in Borsa. Doveva presentarsi al
Nasdaq come il più grande social network del mondo – centinaia di milioni di
utenti collegati tra loro da un capo infallibile – ma il momento non è
propizio. In particolare la diffusione di segreti aziendali, gli scontri tra
personaggi molto in vista nella gerarchia dell’azienda, il licenziamento del
banchiere di riferimento, hanno rallentato la quotazione. In più. La curiosità
dei media si è fatta morbosa e qualcuno ha notato – come per il fondatore di
Facebook Zuckerberg – che neanche il papa mette la cravatta nelle occasioni
ufficiali. Ma quel che più turba gli utenti in tutto il mondo è il crollo di
immagine del consiglio di amministrazione. Ha fatto scalpore, infatti, la
recente dichiarazione del card. Bagnasco. I vescovi, ha detto il direttore
della filiale italiana, non sono obbligati a denunciare i preti pedofili. Cosa
che ha mandato su tutte le furie i social network concorrenti.
Se li vediamo
sulle nostre pagine noi li denunciamo, ha detto Facebook. Noi denunciamo
persino i dissidenti cinesi, ha rilanciato Google. Poi, la pubblicazione di
piantine, plastici e schemini con gli appartamenti papali ha svelato anche il
lato meno glamour dell’azienda. Se le grandi imprese tecnologiche americane si
fanno un vanto di far divertire i loro dipendenti perché questo aumenta la
produttività – ping pong, monopattini, tornei di Risiko – in Vaticano è tutto
un pregare, un raccogliersi in meditazione, un intonare nenie noiosissime. In
queste condizioni l’eventualità che qualche dipendente di ribelli è
inevitabile. Ma dalla sede centrale, un lussuoso palazzo nel centro di Roma,
filtrano le prime contromosse. Una grande manifestazione a Milano in difesa
della famiglia tradizionale, per esempio, perché i divieti su come la gente
gestisce la propria vita, la propria morte, maternità, paternità e sessualità
rimane il core business dell’azienda. L’unico social network – fanno notare in
Vaticano – che vende da duemila anni un prodotto di cui non è nemmeno certa
l’esistenza.
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